§ RITMI E TECNOLOGIE

LA RIVOLUZIONE DEL TEMPO




David Saul Landes
Storico dell'Economia-Harvard University



Il lavoro richiede tempo. E' una verità ovvia come assioma o come principio generale; ma la relazione lavoro-tempo è tutt'altro che scontata e fornisce molteplici spunti di analisi. Vediamo il caso del lavoro retribuito.
Nell'ottica del datore di lavoro l'essenza del rapporto di lavoro consiste nell'assicurare una prestazione. Volente o nolente, il lavoratore vende il suo tempo (ciò che Marx chiamava la sua forza-lavoro), in condizioni più o meno favorevoli. E per quanto possa prometterlo, non venderà la sua prestazione. Il compito del datore di lavoro o del suo collaboratore è quello di massimizzare la quantità e la qualità della prestazione, vale a dire massimizzare la produttività.
Il modo ordinario di assicurare una buona prestazione è la supervisione: il datore di lavoro o i suoi collaboratori (assistenti, capi reparto) controllano i lavoratori nello svolgimento dei loro compiti, si accertano della loro puntualità, del buon uso degli strumenti a loro disposizione, della loro efficienza e precisione, e così via. Il cuore del processo di supervisione è il tempo: l'utilizzazione piena ed efficace del tempo pagato dal datore di lavoro.
Inutile dire che nelle diverse circostanze i datori di lavoro hanno cercato a lungo il modo di interessare i dipendenti alla loro produttività. Certamente ci sono le pressioni di un mercato impersonale: in un mercato competitivo, i lavoratori che non offrono una buona prestazione si ritroveranno presto senza lavoro. Anche se il principale non li licenziasse (e ciò può dimostrarsi assai difficile e costoso), sarebbe il mercato a "licenziare" l'azienda. Questo è il "bastone". La debolezza di questo incentivo negativo consiste nel fatto che i lavoratori non credono agli avvertimenti che ricevono a questo proposito. L'imprenditore potrebbe spiegare che se non lavoreranno con maggiore impegno l'azienda perderà terreno nei confronti della concorrenza e che, con tutta la buona volontà, non può permettersi di mantenere personale in eccedenza o tollerare inefficienze. Potrebbe additare svariati concorrenti, ma chi crederebbe ad una predica interessata?
Ma c'è anche la "carota" dell'interesse: il lavoratore si impegnerà di più se ne otterrà un vantaggio. Un sistema è quello di pagarlo a pezzo o a prestazione. E se il lavoro può essere svolto altrove o a casa dal lavoratore, si può pagare al termine della prestazione o alla consegna del prodotto. Nessun bisogno di controllo: se il prodotto non soddisfa, si rifiuta o se ne abbassa il prezzo.
Questi sistemi di retribuzione basati sulla prestazione alterano drasticamente il ruolo del tempo. In alcuni casi, rendono superflui i controlli temporali: il lavoratore è spinto dal suo stesso interesse a impegnarsi a fondo. Può iniziare e terminare quando vuole, ma se la remunerazione è allettante e se risponde ai "normali" incentivi economici, svolgerà il lavoro senza il bisogno di sollecitazioni. Il grosso problema, tuttavia, consiste in quei due "se": se la retribuzione è allettante e se risponde ai "normali" incentivi economici...
Ma cosa è normale? I produttori-commercianti inglesi nel XVIII secolo notavano che i loro filatori e tessitori privilegiavano il tempo libero rispetto al lavoro: una volta guadagnato ciò che ritenevano sufficiente, si fermavano a bere e a giocare (o più esattamente iniziavano il lavoro più tardi, dopo avere smaltito i postumi delle bevute). Avevano anche la disgraziata abitudine di rubare (appropriazione, era il termine usato) i materiali forniti dal produttore (o dal suo collaboratore) per lavorarli in proprio e rivenderli. Più aumentava la domanda e con essa il costo del lavoro, più diminuivano le ore passate a lavorare e maggiore era l'incentivo all'appropriazione.
E' comprensibile che in tali circostanze il pensiero dei datori di lavoro si rivolgesse alla supervisione e al controllo del tempo, per ottenere puntualità e presenza costanti. La soluzione fu la grande fabbrica, una soluzione antieconomica. Mentre nell'azienda a conduzione familiare era il lavoratore che doveva provvedere agli impianti e alle attrezzature, nella grande fabbrica era il datore di lavoro a pagare. Inoltre, i lavoratori preferivano la libertà che garantiva la piccola azienda e bisognava pagarli di più per farli lavorare nelle fabbriche. Risultato: finché le tecniche rimasero le stesse, le grosse fabbriche non riuscirono a competere con le aziende a conduzione familiare.
Fu la macchina, il potere meccanico, a rendere la fabbrica competitiva, e più che competitiva: dominante. E a questo punto il tempo divenne un aspetto cruciale dell'organizzazione del lavoro. Non era concepibile sprecare capitale per abitudini temporali sbagliate. Bisognava educare i lavoratori ad arrivare presto e a lavorare con costanza, ad un ritmo fissato dalle macchine e fatto rispettare dagli uomini. Non era un compito da poco in una società abituata a ben altri ritmi.
E' evidente che quanto maggiore è il capitale per lavoratore, tanto maggiori saranno la produttività e i salari; più. alti sono i salari, maggiore sarà l'incentivo a intensificare la manodopera e a ricavare una prestazione. Questo incentivo viene, poi, esasperato dal costo dei rallentamenti nella produzione e dai ritmi pressanti. Di fatto, l'industria si è trovata nella stessa posizione in cui era nel XVIII secolo: in uno stato di grande impazienza. Oggi come allora ha cercato risposta nella sostituzione della macchina all'uomo attualmente facendo ricorso all'automazione, alla cibernetica e a sistemi numerici di controllo che permettono ai dirigenti di avere a disposizione i migliori lavoratori e tecnici, ultimo tributo umano necessario.
Queste tecnologie spostano il controllo del tempo e del lavoro dalla fabbrica all'ufficio, dai colletti blu ai colletti bianchi. Sono ancora nelle prime fasi di sviluppo e devono affrontare una competizione agguerrita da parte della manodopera a basso costo. Questo si può vedere in Giappone, ad esempio, dove l'industria degli orologi si rivolge al continente asiatico per avere prodotti più economici, investendo contemporaneamente all'interno del Paese in tecniche numeriche di controllo. I produttori d'oltremare rispondono ad un eccesso di domanda oltre i limiti che una prudente politica di espansione può tollerare all'interno. Alcuni considerano queste tecniche un'opportunità particolare per le imprese più piccole e più flessibili, come quelle che hanno avuto successo in Italia: dopo tutto, questi controlli numerici si prestano a variazioni del prodotto semplici ed economiche; basta passare da un comando di istruzioni ad un altro.
Ma non è così semplice. Le aziende più grandi possono acquistare questi stessi macchinari con maggiore facilità e possono usarli per eliminare i processi più lunghi e diversificare il prodotto. La flessibilità è alla portata di tutti.
Stessa delusione per la speranza di ritornare a piccole industrie sparse a conduzione familiare. Alcune nuove tecnologie di computer e di comunicazione incoraggerebbero questa tendenza con soddisfazione dei lavoratori part-time e delle donne vincolate alla casa.
Ma negli Stati Uniti i sindacati si sono opposti a queste proposte, che considerano come un ritorno allo sfruttamento della manodopera e una possibilità di sfuggire a quel controllo delle condizioni di lavoro conquistato a fatica. In ogni caso, questo tipo di lavoro, sempre presente, non sostituirà la produzione in fabbrica, ma la integrerà.
Nel frattempo, molti elementi concorrono a rendere il tempo più prezioso che mai: una maggiore produttività, apparecchiature più costose, un'estrema competitività.
I giapponesi, che sono stati allievi dell'Occidente, ora segnano il passo: sfruttando in pieno gli orari di lavoro, migliorandone i ritmi, facendo ciò che è necessario fare con assoluta puntualità. Se vogliamo stare al passo dobbiamo raggiungerli, in qualche modo rallentarli o escluderli dalla competizione.
Non è detto che partiamo favoriti in questa accelerazione. Recita il proverbio: "Ars longa, vita brevis". Nel caso dell'arte industriale dobbiamo modificarlo in: "Ars brevis, tempus breve".


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