§ FRONTIERE DELLA SCIENZA

IL MONDO E' RICERCA




Carlo Rubbia



L'Europa della Scienza, la cui dimensione supera largamente le frontiere dell'Unione Europea, è dotata di una ricchissima e antica tradizione, il cui retaggio vivente si esprime all'interno di centinaia di Istituti e di Università. Il ruolo scientifico sulla scena mondiale di questo insieme di 400 milioni di abitanti sarebbe senza dubbio ancora più grande se un miglior coordinamento gli permettesse di essere più efficace. In una certa misura, dipende dagli europei e da loro soli la possibilità di dominare i campi scientifici più disparati.
L'Europa, a differenza degli altri grandi blocchi scientifici del nostro secolo - Stati Uniti, Giappone e Russia - è uno spazio multiculturale e multilingue. In passato si è pensato che ciò rendesse la collaborazione problematica. Ma tale difficoltà è più apparente che reale. Infatti, da un lato il linguaggio della scienza - il ragionamento logico, il linguaggio matematico - è per natura universale e quindi accessibile a tutti. Inoltre esiste una lingua veicolare, nel passato il latino, oggi l'inglese, o meglio il cosiddetto "broken English" (l'inglese sbocconcellato). Nella pratica, essa coesiste in maniera ottimale con le lingue nazionali in cui gli scienziati (probabilmente) continuano ancora a pensare.
In realtà la diversità culturale degli europei è un autentico punto di forza. Un'Europa unita, scevra da nazionalismi perniciosi, ha le potenzialità per divenire un polo di attrazione per gli scienziati del mondo intero, che sono portati a comunicare più facilmente con noi e tra di loro in mezzo a noi.
Lo stato di salute della ricerca fondamentale in Europa - grazie soprattutto a tale collaborazione internazionale sempre più estesa - è oggi del tutto soddisfacente. Se si considera il numero di Premi Nobel come approssimativo indicatore di qualità, si constata che dal 1953 settantanove europei hanno ricevuto un Nobel scientifico (114 americani e 27 del resto del mondo). Da circa una decina di anni si constata una tendenza all'aumento del numero di Nobel europei per scoperte recenti. Nel periodo tra il 1984 e il 1992 ci furono in fisica undici laureati europei, sette americani e uno dal resto del mondo. E' questo un cambiamento radicale in rapporto al periodo precedente ('74-'83) in cui gli americani furono sedici, gli europei quattro e il resto del mondo due. E' interessante notare come il più alto numero di Nobel per abitante competa alla Svizzera! La scienza europea ha contribuito ad aprire campi nuovi di ricerca.
Ricordiamo le scoperte nel settore delle particelle elementari e della strumentazione ad essa associata, i semiconduttori a temperatura ambiente, i Fullereni (molecole di 60 atomi di carbone in forma di pallone di calcio, una specie di benzene a tre dimensioni) e, anche se non premiata ancora da un Nobel, la scoperta del virus e le successive ricerche nel campo dell'Aids.
Ciononostante molto resta ancora da fare. La mobilitazione di certi soggetti "caldi" sembra ad esempio meno massiva e meno spontanea in Europa che in altri Paesi. E' questo il risultato di una mancanza di mobilità tematica, contropartita della perseveranza tipicamente europea? O c'è semplicemente mancanza di coordinazione dovuta al fatto che le nostre comunità scientifiche reagiscono più lentamente al cambiamento? O è l'assenza di giornali scientifici europei veramente di opinione che tiene i nostri ricercatori in posizione di debolezza? Senza dubbio, bisogna riflettere su questi problemi. Non è normale che le collaborazioni scientifiche si materializzino più facilmente tra europei e americani che tra europei tra di loro.
E' necessario consolidare una vera coscienza europea all'interno dell'insieme della comunità scientifica. In questo quadro, l'esperienza del Cern, oggi divenuto la referenza mondiale nella sua disciplina, sorpassa largamente il suo campo specialistico. Ben prima della Comunità Europea, il Cern è stato il prototipo di una catena di Istituzioni Europee dello Spazio, Astronomia, Biologia Molecolare e Luce di Sincrotrone (Esa, Eso, Embl, Esrf, ecc.). Tali brillanti esempi dell'organizzazione della ricerca fondamentale ad un livello veramente europeo potrebbero essere messi a profitto in molti altri campi e, come vedremo, anche a Bruxelles.
La messa in comune delle risorse è paradossalmente solo una delle ragioni di tale successo, le altre, e ben più importanti, essendo 1) un rapporto simbiotico tra Ricerca nazionale e internazionale; 2) il coraggio di puntare sull'innovazione; 3) le scelte strategiche definite all'interno della comunità scientifica attiva e non a priori da politici o, peggio ancora, da burocrati, questi ultimi tendenti naturalmente ad eliminare i criteri di merito a favore del negoziato e del compromesso politico.
C'è coesistenza e complementarità tra Laboratori supernazionali ed Istituti e Università nazionali. La metafora è quella della "piramide di risorse", di potenza crescente, ai livelli regionale, nazionale ed europeo. Gli sforzi in ambito nazionale - in uno spirito di elevata competizione - sono immersi in una strategia globale basata esclusivamente sul merito (le leggi del mercato) e su di un minimo di duplicazioni. E' questa "coerenza di intenti" della Comunità nel suo insieme che ha permesso all'Europa di migliorare grandemente l'efficienza della Ricerca fondamentale senza aumentarne apprezzabilmente i costi.
Il secondo punto cruciale è che i centri europei di eccellenza non sono dei sistemi chiusi, hanno radici profonde che penetrano nell'insieme dell'Europa con strutture che sono totalmente di servizio. Le decisioni maggiori sono prese con l'aiuto delle figure marcanti delle comunità nazionali. I posti di potere sono strettamente rotazionali con periodi relativamente brevi di alternanza. Come conseguenza, il centro supernazionale non è visto come un'alternativa alle strutture nazionali, ma come il punto focale dello sforzo scientifico della comunità.
Infine, c'è la massima priorità data alle risorse umane e all'eccellenza. Ad esempio, i giovani migliori sono naturalmente attratti al Cern soprattutto per il successo dei suoi programmi, alla frontiera delle conoscenze, e la disponibilità di strumenti di ricerca unici e senza confronti. Il Cern è divenuto il crocevia planetario e obbligatorio per i migliori scienziati del settore.
Tutto ciò suggerisce una semplice regola: un'istituzione scientifica internazionale non si giustifica come tale a meno che i vantaggi ad essa associati per le comunità nazionali non siano enormemente superiori a quello che si può realizzare presso dei laboratori nazionali.
Ciononostante, oggi gli obiettivi della Scienza e della Ricerca sono in una fase di profondo cambiamento. E' comunemente accettato che la scienza debba fornire alla società conoscenze e risposte alle questioni fondamentali. Ma c'è una ragione ben più importante che rende la scienza di oggi essenziale, e cioè il suo scopo di assicurare condizioni di vita migliori. La liberalizzazione crescente dei mercati e la globalizzazione dell'economia mondiale hanno reso predominante l'importanza dei presupposti su cui l'economia si sviluppa, come ogni Paese debba essere capace di assicurare le condizioni necessarie di un vero margine concorrenziale, spesso estremamente ristretto, in riferimento al resto del mondo. La ricerca, soprattutto se sostenuta dal denaro pubblico, non può eludere questa nuova funzione fondamentale. E la ricerca presa a prestito, lasciando agli altri la responsabilità e l'indipendenza di scoprire, per poi copiare e applicare senza relazione di causa ed effetto, non si applica ai Paesi che vogliono mantenere allo stesso tempo un adeguato livello economico e le protezioni sociali di base.
Quindi, inevitabilmente, la scienza deve oggi avventurarsi sul cammino delle priorità e dell'utilità dei risultati da conseguire. Le interazioni tra politici, imprenditori e scienziati non sono mai state semplici e la nostra formazione europea è la meno adatta per supplire a tali carenze. In un futuro prevedibile, il sostegno del governo alla Ricerca Scientifica sarà probabilmente condizionato soprattutto dal suo rapporto con gli obiettivi di rilevanza per la società, nella cui scelta i circoli politici avranno un ruolo importante. Ma ciò non sarà esente da problemi. In generale, e con ben poche eccezioni, i politici non sono particolarmente preparati a dirigere la ricerca. In più, la loro prospettiva temporale è spesso ristretta, limitandosi di solito a pochi mesi o, nel migliore dei casi, ad alcuni anni. L'influenza dei mass-media, la cui prospettiva è perfino più breve - giorni o settimane - rende il quadro ancora più critico, dato che i problemi principali che il mondo si trova ad affrontare sono soprattutto quelli a lungo termine (dai 10 ai 50 anni): Aids, cancro, malattie genetiche, energia, ambiente, ecc. E' per questo che la ricerca e lo sviluppo, per trovare soluzione a questi grandi problemi, necessiteranno di un sostegno a lungo termine (per dieci anni o più), con delle priorità che non cambino ad ogni alternanza ministeriale. Dobbiamo creare una struttura che aiuti i politici nelle loro scelte e che assicuri loro un solido supporto e le competenze necessarie a definire gli obiettivi a lunga scadenza. Tale strategia, oggi, deve attuarsi a livello europeo. L'Assemblea Europea della Scienza e della Tecnologia (Esta) creata da Antonio Ruberti mira a questo scopo. Tuttavia la presenza di personalità scientifiche forti e indipendenti andrebbe rafforzata, affinché essa diventi un vero forum indipendente di opinioni.
L'Unione Europea ha avuto un'azione benefica nell'incrementare la mobilità tra ricercatori e nella "Small Science". E' il passo successivo che desta preoccupazioni. Non c'è dubbio che la cooperazione europea nel campo della Ricerca industriale ha riscosso alcuni grandissimi successi: Ariane, AirBus, i treni ad alta velocità, il compact disk, la chimica fine, ecc., sono dei superbi esempi di che cosa l'Europa sia capace di fare qualora riunisca i suoi talenti. In gran parte di questi successi, Bruxelles, l'Europa "istituzionale", brilla per la sua assenza. La Commissione ha da parte sua accumulato una serie impressionante di insuccessi: esempi siano la televisione analogica ad alta definizione, abbandonata dopo anni di lavoro e cinquemila miliardi di spesa, la situazione catastrofica del calcolo ad alta velocità che non riesce a decollare di fronte alla concorrenza americana e giapponese, il ruolo insignificante dell'Euratom nell'approvvigionamento energetico, ecc. Come spiegare tanti e tali disastri?
A mio parere, ciò è dovuto a fondamentali errori di metodo della Commissione nell'uso delle somme a sua disposizione per la ricerca e lo sviluppo. E queste somme sono particolarmente importanti. Oggi circa il 13 per cento dei fondi pubblici per la ricerca e lo sviluppo passa attraverso Bruxelles. Gli accordi di Maastricht hanno ulteriormente ampliato i poteri della Commissione nel campo della ricerca. I tagli e le ristrutturazioni associate alla recente crisi economica hanno reso l'influenza dei finanziamenti europei ancora più determinante.
L'amministrazione italiana ha segnato la demarcazione tra i sistemi poco efficienti del passato e un primo, coraggioso tentativo di rimettere in questione modi e finalità. Bisogna che la Commissione ne tenga il dovuto conto.
Il metodo tradizionale seguito a Bruxelles è stato il ben noto schema di distribuzione di fondi all'interno di una rete di soggetti e finanziamenti predeterminati, definiti a priori con precisione microscopica da funzionari zelanti, ma lontani dalla realtà delle regole del mercato e della competizione mondiale. La mia esperienza personale è che idee anche moderatamente innovatrici non possono trovar risonanza in un tale schema, rigido e predeterminato. Riempire uno dei "formulari" è stato per me un'esperienza assolutamente traumatica. Questo metodo è esattamente il contrario di quello che ha fatto il successo del Cern e delle altre istituzioni europee. Le critiche a tale metodo sono numerose: ad esempio, la lettera aperta in cui i quattro Nobel svizzeri sostengono che i soldi per la ricerca sarebbero meglio spesi direttamente nel loro Paese invece di essere riciclati attraverso Bruxelles.
In questa epoca di privatizzazioni e di rafforzamento della competitività di mercato, il lasciare a funzionari e al mondo politico la responsabilità di stabilire priorità assolute invece di seguire le leggi del mercato e della libera iniziativa nella ricerca di soluzioni ai problemi urgenti dell'Europa, è contraddittorio e rischioso. Sarebbe allora meglio ridurre le tasse e lasciare al mondo industriale la scelta degli investimenti, piuttosto che ridistribuire in maniera aprioristica finanziamenti sottratti necessariamente al potere di acquisto dei contribuenti e quindi al mercato.
E' perciò urgente che la politica della ricerca comunitaria sia profondamente rivista nelle sue finalità e nei suoi metodi, facendo prezioso uso delle esperienze acquisite dai programmi europei di successo, in cooperazione e al servizio di tutti i programmi nazionali e delle vere necessità della ricerca.
Bisogna lasciare a coloro che hanno le idee e la volontà di portare avanti la responsabilità di suggerire e costruire un programma dell'Europa basato su punti di forza dimostrati, e non a priori. Una politica dirigenziale condotta esclusivamente da politici e influenzata da interessi più o meno corporativi non può essere a lungo termine la risposta alle giuste attese e alle necessità della comunità dei ricercatori europei, né tantomeno la risposta al ruolo che il cittadino (colui che paga le tasse!) ha il diritto di esigere dalla Scienza Europea.


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