§ DELLA DEMOCRAZIA

LA FORZA DEL DUBBIO




Norberto Bobbio



La democrazia ha sempre dubitato e continua a dubitare di se stessa. Se non lo facesse, verrebbe meno alla sua ragion d'essere. I suoi critici, vecchi e nuovi, ritengono che il dubitare di se stessa sia la sua debolezza. E', invece, la sua forza. Il dubbio la preserva dall'eccessiva fiducia nel proprio immancabile futuro. Nella storia dell'uomo il futuro è imprevedibile. Occorre essere sempre in stato d'allarme, e pronti al peggio.
La democrazia non ha mai dimostrato la sua superiorità, nei riguardi delle altre forme di convivenza, come in questi ultimi anni. Eppure non mai, prima di oggi, si era interrogata, ansiosa, sulla sua possibile fine. Ha vinto la prima guerra mondiale contro gl'imperi centrali e ha consentito la liberazione delle piccole nazionalità da secoli oppresse. Ha vinto la seconda guerra mondiale, la guerra fredda, non guerreggiata ma combattuta a distanza attraverso i lunghi anni dell'equilibrio del terrore, contro il comunismo: fascismo e comunismo, i suoi due nemici mortali. Molti regimi militari e autoritari sono caduti, non solo in Europa, ma nell'America Latina e nel continente asiatico. Abbattuto lo Stato razziale del Sud Africa. E' aumentato enormemente il numero degli Stati di nuova, se pur ancora incerta, forse precaria, democrazia nel mondo. Ciononostante..
Ciononostante, sull'avvenire dei regimi democratici le vecchie ombre non si sono mai dissipate e se ne addensano continuamente all'orizzonte di nuove. Non si tratta, si badi bene, della vecchia e ricorrente critica, venuta in ogni epoca dall'esterno, dagli scrittori nemici della democrazia, a cominciare da Platone, o della società aperta, come sono stati chiamati nel celebre libro di Karl Popper.
Si tratta di una critica interna che si va sviluppando sempre più intensamente con accenti sempre più drammatici entro la stessa cerchia degli scrittori delle cui convinzioni democratiche non si può dubitare. La critica della democrazia da parte degli scrittori democratici di oggi è il frutto di una speranza, forse eccessiva, delusa, di una certezza, forse troppo sicura di sé, venuta meno. E' la inevitabile reazione a nuovi ostacoli imprevisti che paiono insormontabili.
Ho letto nel libro postumo di Christopher Lasch, La ribellione delle élite, che ha un sottotitolo di per sé eloquente, "II tradimento della democrazia", un capitolo su questo tema: La democrazia merita di sopravvivere? Così formulata, la domanda è nuova rispetto alla domanda formulata più volte
negli anni dello scontro mortale tra le due grandi potenze: "Può la democrazia sopravvivere?". E' come se si dicesse: le democrazie possono anche sopravvivere, ma nello stato di decadenza morale in cui si trovano, di oblio dei loro presupposti etici, voluto e ostentato, e di manifesto "tradimento" dei principi cui si sono ispirate, ne vale la pena?
L'autore è il noto teorico del "populismo", inteso positivamente come l'ideologia del ritorno alle antiche virtù che la società moderna (si riferisce in modo specifico agli Stati Uniti) ha abbandonato. Come virtù civica - egli assicura - la tolleranza non basta. Occorre qualche cosa di più: il rispetto, che "presuppone l'esercizio di un giudizio discriminante, non l'accettazione indiscriminata" (come è proprio della semplice tolleranza). Ricorda che il cantore della democrazia americana, Walt Whitman, aveva scritto che il valore della democrazia sta nella sua capacità di produrre "una compagine di eroi, di personalità, di imprese, di sofferenze, di prosperità e di sventure, di gloria e di disgrazia comune a tutti". Quale distanza tra l'ideale etico della democrazia del buon tempo antico e lo stato moralmente miserevole della società presente, sempre più corrotta, resa insicura dalla diffusione del crimine e dalla crescita della povertà: "Proprio nel momento del suo massimo trionfo sul comunismo - commenta - la democrazia si trova sotto tiro nella sua stessa patria e le critiche sono destinate ad aumentare, se la situazione continuerà a degenerare al ritmo attuale".
E' sin troppo facile respingere infastiditi simile giudizio, accusandolo di moralismo. Ma perché non ricordare che, nel distinguere le tre forme di governo in base ai princìpi che le reggono, Montesquieu aveva contrassegnato la democrazia mediante il principio della virtù? Possiamo anche dire la stessa cosa in modo meno solenne. Non c'è buona democrazia senza costume democratico, e costume democratico significa rispetto di sé e degli altri, correttezza nell'esercizio dei propri affari, lealtà negli scambi (e questo vale anche nei rapporti di mercato), consapevolezza degli obblighi, non solo giuridici ma anche morali, che ciascuno di noi ha verso il prossimo, saper distinguere e non confondere l'interesse privato con quello pubblico. Aggiungerei ancora: senso di appartenenza a una patria comune, si tratti pure di quello che viene chiamato oggi il patriottismo della Costituzione (ma occorre che una Costituzione ci sia e non sia contestata, disprezzata e delegittimata); fiducia nelle istituzioni e negli uomini che di volta in volta le rappresentano, non importa se al governo o all'opposizione.
In una parola: ferma e incrollabile convinzione che il vivere in democrazia, anche in una democrazia a basso rendimento, com'è quella di cui crediamo di avere qualche esperienza, è rispetto a tutte le possibili forme di governo autoritario, anche ad altissimo rendimento, un privilegio di cui è lecito lamentarsi a ogni ora del giorno, ma senza rimpianti per i governi forti del passato e senza abbandonarsi al miraggio rassicurante di quelli del futuro: un privilegio che bisogna meritarsi giorno dopo giorno col darsene pensiero, o, come diceva il repubblicano Machiavelli della libertà fiorentina, "tenendoci sopra le mani".
Non c'è maggior nemico della democrazia che il cittadino apatico, indifferente, scettico o, al contrario, poco rispettoso delle regole, che viola senza tanti scrupoli quando è sicuro di passare inosservato. I signori costituzionalisti hanno un bell'inventare la più perfetta legge elettorale, ma avranno fatto un lavoro inutile, se i cittadini che ne hanno diritto non vanno a votare, o, peggio, se coloro che debbono applicarla fanno brogli.


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