§ SPECCHIO DEL TEMPO

SFIDA SME




M.B.



Le dichiarazioni tedesche - peraltro ripetute - non hanno messo in crisi soltanto la lira e le valute dei Paesi di cui è incerta la partecipazione al nucleo della moneta unica, ma anche il franco francese che è, insieme con il marco, trave portante del progetto di unificazione monetaria. Ciò significa che i mercati finanziari hanno messo in dubbio la realizzazione stessa del progetto. E, coerentemente, hanno puntato su quella che, senza unificazione, rimane la moneta nazionale forte e dominante, il marco tedesco. Ciò ha aggiunto debolezza al dollaro e alle monete, come la lira e la peseta, che ne seguono le sorti.
Il peggior modo per gestire la transizione fino al 1998, anno in cui si definirà il nucleo di Paesi che daranno vita alla nuova moneta europea, è quello di voler far sapere di tanto in tanto chi sarà della partita e chi resterà tagliato fuori. Questi elenchi provvisori stilati da esponenti delle parti in causa suscitano immediate e forti reazioni nei mercati finanziari, come si è visto e come è naturale che sia. Reazioni che possono compromettere la convergenza degli indicatori macroeconomici - inflazione, tassi di interesse, deficit e debito pubblico - previsti dal Trattato di Maastricht; con il rischio di ridurre la massa del nucleo dell'Unione monetaria.
L'elenco stilato da Waigel è costato al nostro Paese mezzo punto percentuale in più di tassi di interesse sui titoli di Stato, con riflessi visibili sul costo delle nuove emissioni e quindi sul deficit pubblico.
Purtroppo, dichiarazioni sulla impossibilità che alcuni Paesi, e prima fra tutti l'Italia, facciano parte del nucleo sono parte importante del dibattito politico interno alla Germania. Due terzi degli elettori tedeschi sono contrari all'Unione monetaria e alla rinuncia al Deutschmark in favore di una moneta europea della quale tra l'altro è ancora incerto il nome. Temono che questa risulti svilita dalla partecipazione di nazioni in cui assai meno radicato è il senso del valore della moneta. I politici che hanno il difficile compito di convincerli ad accettare la moneta europea non possono che sottolineare continuamente che ciò non avverrà. E la Banca centrale tedesca, che istituzionalmente rappresenta come in nessun Paese il rispetto dei cittadini per il valore della moneta, tende ad alzare la posta, mostrando la massima rigidità, come ha fatto nel recente passato, e non escludendo affatto un rinvio oltre il 1999.
Dobbiamo dunque attenderci, con tutta probabilità, altre esternazioni tedesche, che non solo colpiranno le monete più deboli, ma che porranno anche in forse l'effettiva realizzazione del progetto, così come concepito. Dobbiamo prevedere altre turbolenze valutarie e finanziarie, con tutte le loro conseguenze.
C'è quindi la possibilità, tutt'altro che trascurabile, che l'Unione monetaria, com'è oggi prevista, non si faccia; che venga rinviata, che sia rivalutata l'idea che essa rappresenti il suggello di una effettiva e ampia convergenza piuttosto che una scadenza in cui si deciderà chi appartiene a un'élite e chi no.
L'appartenenza dell'Italia agli accordi di cambio del Sistema monetario europeo non isolerebbe la nostra economia dalle perturbazioni finanziarie originate dai problemi politici interni della Germania.
L'andamento del cambio della lira e dei tassi di interesse italiani durante le fasi di turbolenza dei mercati finanziari è del tutto simile a quello della peseta e dei tassi della Spagna, che a differenza nostra è nello Sme. Né il nostro rientro immediato negli accordi di cambio potrebbe dare una qualche maggiore consistenza al progetto dell'Unione monetaria. Forse i cittadini tedeschi avrebbero addirittura maggior motivo di preoccupazione, spingendo i loro rappresentanti ad esternazioni per essi ancora più rassicuranti e per noi più destabilizzanti, per non dire proprio umilianti.
Se essere dentro lo Sme poco ci ripagherà degli shock esterni, non ci aiuta neanche a rimettere a posto i nostri conti pubblici e la nostra inflazione, cioè a convergere verso quanto richiesto dall'Unione monetaria (sempre che gli avvenimenti politici interni non ci costringano poi a riuscire dallo Sme, con conseguenze politiche internazionali e psicologiche generali esiziali). Dovrebbe essere ormai chiaro che è dalle nostre risorse civili e politiche, e non da imposizioni esterne, che dobbiamo trarre la forza per continuare nel risanamento della finanza pubblica, nell'abbattimento dell'inflazione verso valori europei. Ed è del tutto evidente che i mercati finanziari non credono - l'esperienza della Francia lo dimostra esplicitamente - alla validità di scommesse sulla rapida convergenza di un Paese al rigore.
Come si vede, il teatro dell'Unione monetaria europea non offre un programma sicuro e distensivo per il quale si tratta solo di decidere se prendere oppure no il biglietto d'ingresso. Dall'Italia si attende una valutazione precisa almeno dei fatti qui elencati: un giudizio sulla qualità dei suoi programmi, una dichiarazione d'intenti sulle eventualità che esso potrà comportare per tutto il Paese, sulle modifiche da apportare. Su tutto questo l'Europa ci invita a prendere chiara posizione.


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