§ SPECCHIO DEL TEMPO

MAASTRICHT NON BASTA PIU'




Carlo Scognamiglio



"Buscar el Levante por el Poniente": questa è una delle poche frasi celebri di Cristoforo Colombo che si conoscano. La frase svelava il suo progetto di aprire una nuova rotta commerciale giungendo in Oriente (il Cipango) navigando verso Occidente.
Si sa come finì: navigando verso Occidente Colombo si ritrovò, appunto, in Occidente, anche se, salvo forse per un breve attimo, non si rese mai conto di avere scoperto un continente nuovo.
Si tratta di un chiaro precedente, e di un ancora più chiaro esempio, di scambio inconsapevole tra finalità e strumenti, sul quale anche oggi sarebbe assai opportuno riflettere. Il "viaggio" verso l'Europa politica (delle istituzioni) che stiamo compiendo nel nostro tempo ripete la vicenda di Colombo. Esso inizia con il fallimento del tentativo di raggiungere l'unione politica federale per via diretta, e con la conseguente decisione di giungervi attraverso l'unione economica e monetaria.
Con il Trattato di Roma del 1957, l'atto unico voluto da Jacques Delors, il Sistema monetario europeo, creano le condizioni per realizzare la piena unificazione europea, ma, come molto lucidamente ha osservato Tommaso Padoa Schioppa, quegli elementi di unità contenevano una contraddizione che avrebbe portato, poi, alla instabilità del sistema. Padoa Schioppa aveva previsto le conseguenze della creazione del mercato unico, che aveva definito in sintesi "il quartetto incompatibile".
L'espressione indicava l'impossibilità di conseguire simultaneamente le quattro condizioni che si volevano raggiungere, e cioè cambi fissi, piena libertà di circolazione dei capitali, piena libertà di circolazione delle merci e piena sovranità nazionale nel campo della politica monetaria. In presenza di questi quattro elementi, uno deve cedere: o viene meno la piena sovranità monetaria dei singoli Paesi, oppure il sistema dei cambi fissi, o la libera circolazione delle merci e dei capitali, e così via. Da questa constatazione, e cioè che la costruzione dell'Europa con l'Atto Unico racchiudeva una contraddizione, nacque l'idea di far cadere uno dei quattro elementi del "quartetto incompatibile", e cioè la piena sovranità monetaria dei singoli Paesi; di qui nasce anche l'idea del Trattato di Maastricht, che non è altro che il completamento del processo avviato con l'Atto Unico del 1987.
Perché il Trattato di Maastricht è stato, alla luce dell'esperienza successiva, complessivamente un errore? Non certo perché non fosse corretto ritenere che l'Atto Unico contenesse una condizione sulla instabilità valutaria in Europa, ma perché il Trattato di Maastricht fu concepito tra il 1987 e il 1989, e ratificato nel 1992. Il Trattato fu concepito nelle sue linee fondamentali, appunto, nel 1987, cioè nel pieno di una fase in cui l'economia europea cresceva con un ritmo che poche volte aveva registrato in passato. In seguito, la situazione fu completamente diversa da quella nella quale quel Trattato era stato progettato. Da un lato, non si era più in una fase di espansione dell'economia, ma in una fase di recessione; dall'altro lato, si era verificato un evento di portata storica incomparabile, quale la caduta del Muro di Berlino, e cioè l'apertura alla democrazia dei Paesi dell'Europa dell'Est.
Di qui l'emergere dei difetti di concezione del Trattato. Il primo è che il Trattato di Maastricht, ovvero l'unificazione monetaria, era considerato dalla maggior parte degli europei come un Trattato che comportava dei costi, sia pure volti a conseguire un obiettivo politico di straordinaria importanza, come l'unione politica europea.
E' chiaro che ciò potrebbe essere tollerato senza uno sforzo eccessivo quando la situazione dell'economia è molto brillante, come lo era quando si pensò al Trattato di Maastricht; diverso è il caso se l'economia è in recessione, come appunto accadde in seguito alla ratifica del Trattato.
Per gli italiani, ad esempio, il Trattato di Maastricht significava imporre una dura disciplina alla finanza pubblica. Occorreva adottare una politica fiscale che prevedesse un aumento delle entrate e una forte riduzione delle spese, con conseguenti sacrifici per tutti.
Per la Germania, il timore era che il Trattato di unificazione monetaria comportasse l'obbligo di aiutare le economie più deboli, il che poteva forse essere tollerabile prima che la Germania si addossasse l'immenso onere dovuto all'unificazione con i Länder della Germania orientale.
Insomma, il Trattato di Maastricht veniva percepito dai Paesi europei come un sacrificio che si faceva sempre più pesante via via che la recessione si aggravava, e sempre meno valeva il conseguimento di un obiettivo politico certamente nobile, ma ancora evanescente. Nei confronti dei Paesi dell'Europa dell'Est, giunti nel frattempo alla democrazia, il Trattato di Maastricht appariva come un accordo tra ricchi per accedere al quale era necessario raggiungere livelli di benessere e di ricchezza che erano, e che sono, purtroppo, lontanissimi dalle possibilità di quei Paesi; appariva un Club che avrebbe escluso quelle giovani e povere democrazie da una comunanza di democrazie più antiche e più ricche: un patto, dunque, che appariva espressione di egoismo.
In conclusione, la speranza che si potesse giungere all'unificazione politica dell'Europa attraverso strumenti economici si è rivelata errata.
Credo che se saremo capaci di attivare l'Unione europea come una struttura federale che possa sostenere le singole economie, facendo percepire la costruzione europea non più come un costo, ma come uno strumento di aiuto ai singoli Paesi, il clima, l'atteggiamento dei cittadini nei confronti dell'Europa cambierebbero radicalmente e credo che in quel modo potremo riprendere il "viaggio".
I problemi scritti su un'ideale agenda per l'Europa sono sostanzialmente tre: a) il sentimento europeista; b) le conseguenze del differimento delle scadenze del Trattato di Maastricht; c) la riforma istituzionale dell'Unione europea.
1) Noi italiani siamo oggetto di una imputazione collettiva di riduzione del sentimento europeo. L'accusa è in parte giustificata, in parte non lo è. E' giustificata in quanto in tutta l'Europa questo fenomeno si è verificato. Non lo è in quanto questa accusa è il riflesso di una trasposizione secondo cui l'Italia avrebbe approfittato di una svalutazione del cambio competitiva per godere dei vantaggi derivanti dall'unione economica europea, senza accettarne, e tanto meno subirne, i costi.
Personalmente ritengo che l'accusa sia da respingere. Ma, dato che le parole sono assai meno importanti dei fatti e dei comportamenti concreti, l'unica risposta all'accusa che l'Europa ci rivolge non può che essere quella di preparare le condizioni per presentare una richiesta, ai nostri soci europei, di rientrare nel Sistema monetario europeo: una richiesta presentata in condizioni da non dover essere respinta; o da essere accolta per poi provocare una nuova uscita del nostro Paese in tempi molto brevi.
2) Per quanto riguarda le conseguenze del differimento dei termini delle scadenze del Trattato di Maastricht, a me pare del tutto evidente l'apparente paradosso per effetto del quale il differimento dei termini rende più attuale il problema per noi.
Si tratta di un paradosso apparente, perché nella realtà termini molto approssimati rendevano impossibile l'esecuzione degli impegni che quei termini comportavano. L'allungamento delle scadenze, invece, rende per noi non evitabile l'esecuzione degli impegni.
3) La costruzione dell'Unione europea ha riflesso l'indirizzo della rotta che a questo progetto è stata impartita quarant'anni fa. Mentre si puntava senza esitazione alla costruzione dell'Unione economica europea, i temi politici e istituzionali vivevano solo di luce riflessa. La costruzione politico-istituzionale dell'Europa oggi risente della deformazione delle prospettive di molti anni fa.
Il Parlamento europeo ha pochissimi poteri, come riflesso del suo inserimento nella costituzione dell'Europa, in contraddizione con il principio della sovranità degli Stati costituenti. La Commissione ha assunto la veste di un ministero federale per gli affari economici. Il Consiglio d'Europa, che avrebbe dovuto svolgere la funzione legislativa della costruzione europea, risente del suo allargamento dagli Stati originariamente membri della Comunità europea ai quindici attuali. E' del tutto evidente che riprendere la costruzione dell'Unione europea significa innanzitutto riprendere il concetto della costituzione di un'Europa federale, oppure confederale. Anche questo traguardo minimo comporterebbe, senza dubbio, l'affiancamento alle funzioni già svolte dalla Commissione europea in materia di politica economica, con altri organi che possano svolgere un ruolo confederale in materia di politica estera, di difesa, di affari interni.
Il ruolo del Consiglio europeo suscita nella sua attuale configurazione molti dubbi. Non può riconoscersi nella sua attuale funzione un ruolo esecutivo. Neppure può riconoscersi un ruolo legislativo.
Contro la funzione assunta dal Consiglio europeo c'è il crescente disagio espresso dal concetto di "deficit di democrazia". In effetti, l'Europa procede nella sua funzione legislativa senza che nessuno dei suoi organi, né la Commissione, né il Consiglio d'Europa, risulti direttamente eletto dai popoli europei.
L'insieme di queste contraddizioni fa pensare che la ripresa del "viaggio" potrà avvenire solo se si raggiungerà il comune convincimento che la costruzione istituzionale dell'Europa debba subire importanti modifiche.
Le principali fra queste sono costituite dall'affiancamento alla Commissione europea di altri organismi che possano assolvere la funzione di dare all'Europa una politica estera, di sicurezza, e interna comune. E, in secondo luogo, la sostituzione del Consiglio d'Europa con un Consiglio legislativo legittimamente eletto dagli Stati che compongono l'Unione europea; ovvero, secondo una definizione suggestiva, da un Senato degli Stati europei.


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