§ SPECCHIO DEL TEMPO

FUORI DAL TUNNEL DI LENTI DEFORMANTI




Giuseppe Galasso



Chissà quando l'Europa finirà di fare il processo a se stessa, alla sua storia, alla sua identità! Un tale processo è utile, è necessario per costruire una nuova e più vera identità europea? Lo si può ammettere. Ma si può anche ritenere suscettibile di successo la ricerca di una tale identità se tutti gli aspetti dell'identità storica europea quale fino al presente è stata elaborata e sentita vengono sistematicamente contestati, squalificati e rifiutati?
Sono considerazioni cui non può non indurre la lettura di una ricostruzione dell'identità europea come "identità distorta" dovuta a uno storico giustamente apprezzato per i suoi studi di storia economica dell'età moderna e contemporanea, qual è Josep Fontana (L'Europa allo specchio. Storia di una identità distorta). Consegue da questa ricostruzione che non vi è in pratica quasi alcun aspetto del passato europeo che sia andato per il verso giusto. Se l'Europa si è creduta o si crede la parte del mondo che ha maturato e diffuso la civiltà moderna, ciò significa solo che essa ha preso e prende per suo titolo di gloria l'imposizione del suo modello al resto del mondo, realizzata con la violenza delle armi e delle idee. Ben più: questa stessa civiltà ha comportato che si siano conculcati e distrutti gli altri possibili modi di svolgimento delle attività e delle società umane elaborati da culture e popoli extraeuropei. La "rivoluzione industriale", culmine della modernità europea, non è, in effetti, che una grandiosa rapina ecologica, foriera di epiloghi rovinosi. Quando altri, come i giapponesi, si sono industrializzati, lo hanno fatto assai meglio dal punto di vista sociale.
Non è, peraltro, solo nei confronti del resto del mondo che l'Europa si è atteggiata in maniera presuntuosa e distorta. Della sua stessa vicenda interna essa ha costruito una storia di comodo, fatta di vantaggiose contrapposizioni di un livello qualificato come superiore a un livello qualificato come inferiore e, quindi, condannato, esorcizzato, perseguitato.
L'extra-europeo è stato il barbaro, l'infedele, il selvaggio, il primitivo, agli occhi dell'europeo; ma questi stessi stereotipi con appena qualche adattamento sono stati applicati all'interno dell'Europa e fra europei: il contadino, l'eretico, il sovversivo, ecc. Sempre, insomma, una serie di specchi deformanti, in cui l'Europa - o, meglio, le culture e i gruppi dominanti in Europa - hanno inquadrato l'altro per farsene uno sgabello ideologico (l'ideologia come "cattiva coscienza") in vista del perseguimento dei propri interessi e fini di dominio.
Quel che qui lascia perplessi non è, però, questa teoria degli specchi. Quale cultura umana non ha avuto o non ha i suoi? Quale cultura non considera se stessa come parametro di riferimento e di giudizio per tutte le altre? I cinesi, molto semplicemente, si considerano il popolo "di mezzo", ossia al centro dell'universo, e a lungo hanno considerato se stessi raffinati e civili rispetto, in particolare, proprio ai barbari e rozzi europei.
Barbara e infedele l'Europa era (è?) considerata dai musulmani, ai quali molto prima che i cristiani si dessero alle "crociate" apparteneva il concetto di "guerra santa" (i romani, più modestamente, si accontentavano di combattere "guerre giuste"). E si potrebbe continuare, ovviamente. Così come si potrebbero contrapporre ai genocidi fisici e culturali operati dagli europei quelli degli "altri": la violenta islamizzazione dei popoli tra l'India e il Maghreb in meno di un secolo, la cinesizzazione permanente delle aree periferiche dell'Impero di mezzo (si ricordi, ai nostri tempi, il Tibet) e così via. Del resto, Fontana stesso ricorda le collusioni tra europei e "altri" in imprese, come la tratta dei neri africani nelle Americhe e come altre, che certo non tornano a onore di nessuna humanitas.
E quanto agli "specchi" al proprio interno, il sistema indiano delle caste o la feroce oppressione dei contadini cinesi da parte dei loro "padroni", per fare solo due casi, hanno molto da insegnare e nulla da invidiare in materia. Né risulta che califfi e sultani, "Figli del Cielo" e "gran Khan", caciechi e mandarini, visir e shogun, paschià e ras abbiano potuto rappresentare dal punto di vista politico qualcosa di meglio della Generalità di Catalogna, del Parlamento britannico o del "veneto Senato".
Ma che senso ha, poi, una riflessione storica fatta di accuse e difese, di bilanci tutti in rosso, di gare a chi è il migliore? Fontana - la cui dottrina storica gli ha consentito di scrivere un libro ricchissimo di dati e richiami di grande interesse - ha perfettamente ragione: bisogna uscire dalla "galleria degli specchi", cercare identità più in armonia con la realtà storica e con un auspicabile migliore futuro.
Ma è mai possibile definirsi, se non in rapporto ad altri? Ed è possibile "mettere le brache alla storia", come diceva uno scrittore che certo non spiace a Fontana, ossia espungere l'elemento della scelta, delle passioni e degli interessi che la dettano, dei relativi condizionamenti storico-sociali e ideologici, della lotta per tradurre la scelta in realtà e dei costi di violenza e di male che ne conseguono? E' possibile pensare che l'affermazione dell'Europa nel mondo sia stata tutta un sopruso e una violenza, il frutto di una scelta sbagliata, e non l'effetto anche di grandi idee e di grandi conquiste dell'uomo? E' possibile ignorare che l'Europa conquistatrice e dominatrice dentro e fuori di sé è anche la patria delle grandi idee di riscatto e di liberazione, di giustizia e di progresso per tutti, ossia di idee non maturate in nessun'altra parte del mondo e in base alle quali il resto del mondo si è poi ribellato all'Europa? E non sono idee del tutto europee quelle che Fontana, con uno slancio così brillante, utilizza nelle sue pagine?
La storia dell'uomo è stata quella che è stata. Poteva essere migliore. Poteva anche essere peggiore. L'Europa, che nel bene e nel male ha finito per contribuirvi in maniera fortemente protagonistica, può tanto meno spogliarsi del suo passato in quanto né dal passato, né dal presente si propongono a lei modelli alternativi convincenti. Quali sarebbero stati o sarebbero? Le strutture comunitarie o tribali di popolazioni di questa o quella parte del mondo?
L'industrializzazione (e il regime?) della Cina di oggi? Lasciamo stare. Guardiamo al passato europeo, seguendo anche la suggestione di Fontana, con lo sguardo più "laico possibile, ma anche con la realistica certezza che il grande edificio civile costruito in quel passato in Europa per gli europei e per l'intera umanità è ancora, col suo patrimonio tecnico-scientifico e ideale, la sola garanzia di un comune ulteriore avanzamento di tutti.


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