§ IL PROBLEMA STRANIERI

IL LAVORO E L'ALLARME




Mario Deaglio



L'immigrazione extracomunitaria costituisce un problema reale per milioni di cittadini. Chi si allarma, chi ha paura, chi è costretto a cambiare abitudini di vita non può essere tacciato semplicisticamente di intolleranza o di razzismo solo perché invoca un atteggiamento più severo delle autorità. Il problema degli immigrati non è, però, di facile soluzione e non si risolve certo con l'espulsione immediata di tutti i presenti e futuri clandestini.
Se è vero che i clandestini sono circa 800 mila, la loro espulsione sarebbe un'operazione gigantesca che richiederebbe il reclutamento di decine di migliaia di poliziotti e agenti di custodia, l'approntamento dei campi temporanei di smistamento che ricorderebbero fin troppo i lager del nazismo, una spesa di migliaia di miliardi, la trasformazione in senso oppressivo del clima stesso della nostra società.
A questi pesantissimi costi diretti si aggiungerebbero numerosi costi indiretti. Pensiamo veramente che i Paesi d'origine accoglierebbero in tutta tranquillità le navi cariche di migliaia dei loro connazionali espulsi? A parte il caso estremo di un rifiuto allo sbarco, il che lascerebbe all'Italia la responsabilità di tutte queste persone, è facile prevederne misure di rappresaglia con l'espulsione di italiani, il boicottaggio di merci italiane, la revoca di contratti a imprese italiane. Come minimo, l'Italia ci perderebbe un numero imprecisato, ma rilevante, di posti di lavoro.
Sgombriamo quindi il campo da questa semplicistica soluzione radicale del problema. Occorre invece partire dalla constatazione che l'immigrazione extracomunitaria ha, in ogni caso, creato per il Paese costi economici e umani, sia che gli immigrati restino sia che invece vengano espulsi. E' quindi necessario cercare di realizzare una politica equilibrata che renda minimi questi costi, senza sperare di annullarli con un tocco di bacchetta magica.
In primo luogo, una parte cospicua, probabilmente la maggioranza, dei clandestini di fatto lavora (e la loro partenza, fra l'altro, danneggerebbe il Paese perché nessuno li vorrebbe sostituire in una serie di lavori umili). Di questi, è necessario procedere non già all'espulsione bensì al censimento, con l'intento di giungere a una regolarizzazione della loro posizione, con un'applicazione graduale delle normative previdenziali.
Lo Stato italiano, poi, non dovrebbe, in via normale, espellere i più giovani ma obbligarli a frequentare le nostre scuole (un'operazione a costo pressoché zero, visto che gli insegnanti abbondano e il calo demografico rende mezze vuote le classi) con l'intento di farne dei futuri cittadini responsabili e non già, come capita troppo spesso, dei piccoli mendicanti abbandonati a se stessi.
All'altro estremo, una parte, relativamente piccola, di clandestini non svolge solo attività irregolari dal punto di vista delle normative sul lavoro, ma vive di attività criminali, soprattutto furti, spaccio di droga e prostituzione organizzata. Questi vanno rapidamente e severamente espulsi, senza attendere una condanna definitiva ed è semplicemente ridicolo, una prova della nostra inettitudine legislativa, che su sessantamila colpiti l'anno scorso da un provvedimento di espulsione, cinquantamila siano ancora qui, magari perché hanno fatto ricorso al Tar. E' sufficiente adottare la normativa inglese o quella americana per ottenere, nella stragrande maggioranza dei casi, una decisione definitiva nel giro di una quindicina di giorni. Occorre, quindi, che cessi la generale, rassegnata tolleranza verso comportamenti apertamente illegali di clandestini, ma è bene ricordare che dietro un furto compiuto da un clandestino c'è quasi sempre un ricettatore italiano, dietro uno spacciatore extracomunitario c'è un "grossista" italiano della droga, dietro la prostituzione nera o slava ci sono organizzazioni italiane, oltre che clienti italiani. Non è pensabile una lotta valida alla criminalità extracomunitaria che non sia contemporaneamente una lotta alla criminalità nazionale, un riesame critico di comportamenti diffusi tra gli italiani.
Questa politica pragmatica deve mirare a far riguadagnare allo Stato il controllo del territorio. E' intollerabile che esistano nelle città italiane dei quartieri, come quello torinese di San Salvario, dove di fatto non vige la legge dello Stato. Sono necessari provvedimenti urgenti, ma questi devono riguardare tutte le azioni malavitose, senza demonizzare nessuno. Esiste invece il forte pericolo di scatenare una "caccia al nero", di fare dell'immigrato un comodo capro espiatorio.


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