§ PER IL SUD

LA STRADA DELLE RIFORME




Napoleone Colajanni



Non possono esserci dubbi sul fatto che il difficile momento che l'economia italiana sta attraversando comporta per il Mezzogiorno conseguenze particolarmente pesanti. Da ogni parte si esercitano pressioni per il contenimento della spesa pubblica e, come è ben noto, in queste circostanze la prima vittima è costituita dalla spesa per investimenti e trasferimenti alle imprese, due voci che sono essenziali per la politica meridionalista. Dovrebbe però esser chiaro che occorre prendere atto con serietà della situazione e rendersi conto che non ci sono alternative alla politica di contenimento della spesa. Se vogliono essere davvero una forza nazionale, i meridionalisti debbono dare in questa congiuntura esempio di serietà e di responsabilità: il momento non è propizio alle demagogie.
In tutte le fasi di crisi che il Paese ha attraversato è stato sistematicamente riproposto il dilemma della scelta tra intervento congiunturale ed intervento sulla struttura: il superamento della congiuntura negativa diventava l'obiettivo principale e ogni politica mirata al cambiamento della struttura delle forze produttive veniva rinviata a tempi migliori. A questa linea la sinistra si è sempre opposta combattendo i sacrifici con l'argomento che in questo modo si colpivano i più deboli e che le ragioni della crisi dovevano essere ricercate nella struttura produttiva. Aveva ragione, solo che la sinistra non è mai riuscita, tranne che nella brevissima stagione della solidarietà nazionale, a proporre una linea capace di affrontare la situazione negativa del presente per uscirne verso un avvenire diverso; per questo motivo si è ridotta a posizioni predicatorie e spesso demagogiche, ed è stata sistematicamente punita perché, di fronte ai fatti, ha finito per non essere credibile.
Qualcosa di simile è accaduto ai meridionalisti, e alla base del consenso che le leghe trovano c'è anche la sensazione diffusa, specialmente al Nord, ma non solo al Nord, che in momenti di ristrettezza ogni spesa di cui non si vede l'utilità immediata non sia altro che uno spreco, nella migliore delle ipotesi, uno strumento di corruzione, nella peggiore. Deve quindi essere chiaro che nella situazione attuale l'opposizione ad una riduzione della spesa pubblica nel Mezzogiorno non può essere la posizione principale dei meridionalisti: la spesa va ridotta e le cose non possono restare come prima. Ma occorre pure riflettere sulle esperienze del passato. Nei fatti, la congiuntura è stata sempre privilegiata, si sono rinviati gli impegni per il Mezzogiorno, e quando la fase recessiva è stata superata non si è fatto niente. A questo si può opporre soltanto una linea che riconosca la necessità di una riduzione della spesa, ma che, nello stesso tempo, cominci a creare immediatamente le condizioni per una ripresa dal carattere diverso.
Oggi questa posizione può essere soltanto quella della qualificazione della spesa. E' sulla qualità che occorre ancora una volta insistere, accettando quelle restrizioni quantitative che la situazione ci impone. E qui si ripropongono i temi che ormai da tempo dividono il meridionalismo autentico da quello straccione: privilegiare la spesa per investimenti rispetto a quella corrente; selezionare rigorosamente i settori; scegliere le zone di sviluppo piuttosto che quelle arretrate, anche a costo di aumentare le differenziazioni all'interno del Mezzogiorno, e quindi ferma opposizione agli investimenti a pioggia e all'egualitarismo; qualificazione progettuale degli interventi e degli apparati.
Oggi c'è la possibilità di un'azione meridionalistica sistematicamente orientata in questa direzione. Gli accordi di programma devono dare il punto di riferimento necessario, in quanto sono - appunto - lo strumento adatto a selezionare la spesa. Ma la cosa più rilevante sarebbe il riuscire a dare un nuovo respiro ed una nuova forza al meridionalismo, ricollegandosi alle grandi correnti che in questo momento percorrono la scena mondiale.
Il mondo sta cambiando assai di più ed assai più rapidamente di quanto non si creda. Per noi, dunque, si tratta di comprender bene che non si può riproporre sic et simpliciter lo schema keynesiano, ma occorre andare verso nuovi orizzonti di intervento pubblico, selezionato e nell'ambito del mercato, ma non limitato ad alimentare la domanda globale. Il meridionalismo che ha sempre sostenuto la politica delle riforme e dell'intervento dello Stato non solo può trarre nuovo slancio da questi orientamenti, ma può anche darvi un contributo originale, ed, almeno in Italia, decisivo.
Si devono creare le condizioni per cui l'unica via d'uscita dalla crisi sia quella delle riforme e della programmazione. E tornano attuali gli insegnamenti di Ugo La Malfa, di Giorgio Amendola e di Pasquale Saraceno. Occorre capire in tempo ed aver voglia di tornare a combattere.


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