§ RAPPORTO SVIMEZ 1995

MEZZOGIORNO ALLA DERIVA




Attilio Compasso



Il divario tra Nord e Sud resta la grande, inamovibile palla al piede della situazione economica e sociale del Paese. L'economia italiana nel 1994 è uscita dalla fase recessiva con una forte ripresa della domanda estera, il cui impulso si è aggiunto a quello delle esportazioni. Ne è conseguito un aumento del PIL in termini reali del 2,2%, che segna un nettissimo miglioramento rispetto alla diminuzione dell'1,2% dell'anno precedente.
L'economia italiana tira. I dati forniti dall'Isco (Istituto di Ricerca sulla congiuntura) confermano la crescita dell'economia italiana e ipotizzano un aumento (+3,2%) nel 1995 e nel 1996 (2,6%). A raffreddare gli entusiasmi piomba l'annuale Rapporto Svimez sull'economia del Mezzogiorno. Bastano pochi dati per capire che le regioni meridionali hanno partecipato molto debolmente alla ripresa del 1994. Una ripresa localizzata al Nord: sulla "supercrescita" dell'economia italiana il governatore della Banca d'Italia, Antonio Fazio, ha espresso allarme e preoccupazione per il suo potenziale inflazionistico.
Non può, dunque, destare sorpresa il quadro dell'economia meridionale tracciato dalla Svimez: il PIL del Mezzogiorno è aumentato solo dell'1% contro il 2,6% del Centro-Nord. Esso è rimasto nel 1994, a differenza di quello del Centro-Nord, ancora al di sotto del livello raggiunto nel 1992. La riduzione del numero degli occupati è stata decisamente maggiore che nel Centro-Nord.
L'emergenza occupazione è il malessere più acuto e devastante dell'attuale condizione economico-sociale del Mezzogiorno. "E' quest'ultima, afferma Salvatore Cafiero, direttore generale della Svimez, la circostanza socialmente meno accettabile e alla quale è politicamente più difficile far fronte". Il divario tra i tassi di disoccupazione (21% al Sud e 8% al Nord) è l'indice di una situazione assai grave: essa è ancora più grave ed allarmante, al limite del collasso sociale, se si considerano i tassi di disoccupazione giovanile (56% al Sud contro il 18% al Nord).
Le proporzioni del divario Nord-Sud sono catastrofiche se si confrontano alcuni parametri. Il reddito pro-capite del Mezzogiorno (che nel 1991 rappresentava il 59,8% di quello del Centro-Nord) nel 1994 scende al 57%. All'interno dell'area meridionale, il reddito pro-capite della Calabria è appena al 47% rispetto alla media del Centro-Nord; solo la regione Abruzzo può vantare un reddito pro-capite del 71,4%, di gran lunga inferiore a quello registrato nel 1991 (75,6%).
Se si passa ad analizzare la situazione occupazionale, l'allarme della Svimez pone questioni urgenti, scelte prioritarie da compiere, indirizzi di politica economica e industriale che non possono essere rinviati. Il divario territoriale tra i tassi di disoccupazione totale stando ai dati dell'ultima rilevazione Istat di aprile (21,2% nel Mezzogiorno contro il 7,6% del Centro-Nord) è indice di una situazione assai grave. Il tasso di disoccupazione della Campania - la regione meridionale più gravemente colpita - è quasi il triplo di quello settentrionale (22,8% contro l'8,4% del Nord).
L'emergenza occupazione nel Mezzogiorno è ancora più grave se si considerano i tassi di disoccupazione giovanile, cioè delle forze di lavoro in età compresa tra i15 e i 24 anni (56% nel Mezzogiorno contro il 26% nelle regioni del Centro e il 18% in quelle del Nord). Le dimensioni e le caratteristiche assunte dalla disoccupazione meridionale sono al limite di una situazione sociale insostenibile anche per le conseguenze dirette che non possono non derivarne dalla diffusione della illegalità, alla quale significativamente nel Rapporto di quest'anno è riservata un'analisi attenta.


La ripresa trainata dalle esportazioni è stata più intensa nelle aree del Centro-Nord fino a determinare l'incapacità della ormai declinante offerta di lavoro locale a soddisfare la domanda.
All'Italia delle regioni centro-settentrionali che lavora e produce, che reclama una ripresa dell'emigrazione dal Sud al Nord per soddisfare la domanda locale di lavoratori, si contrappone l'altra Italia, quella delle regioni meridionali che - come osserva con lucida ed impietosa immagine Emanuele Imperiali sul Mattino - arranca, perde colpi, vive il dramma di una crescente disoccupazione e non riesce ad uscire dal guado del sottosviluppo. E' questa, in estrema sintesi, la radiografia dell'Italia, divisa in due, dello storico divario tra Nord e Sud che tende ad aggravarsi anche a causa di una lunga e negativa fase di inattività dell'azione pubblica di sviluppo dell'area meridionale.
"Non è bastato un biennio perché dalla cessazione dell'intervento straordinario per il Mezzogiorno seguisse il decollo dell'intervento ordinario": è l'amaro commento di Cafiero. Si è ulteriormente ridotta la già scarsa capacità di assumere e realizzare gli impegni relativi agli interventi cofinanziati dall'Unione europea (il ministro Masera è stato costretto a rinegoziare con i partners europei i finanziamenti non utilizzati dalle regioni meridionali per la loro collaudata incapacità progettuale) e si è ancora lontani dal poter mobilitare capitali ed iniziative di natura privata per la realizzazione e l'esercizio delle infrastrutture e dei servizi suscettibili di gestione di mercato.

Il Rapporto Svimez, com'è nella tradizione dell'Istituto, non si ferma alle analisi, per impietose che siano, delinea il complesso delle iniziative e strategie necessarie per "una più decisiva azione nei confronti del grande squilibrio che affligge tutt'ora il sistema economico nazionale" (Massimo Annesi).
L'intervento ordinario non decolla. Ed è perciò necessario definire criteri, strumenti e modalità per la concessione ed erogazione degli incentivi non automatici; che le amministrazioni ed i diversi livelli di governo competenti per settore e per territorio armonizzino procedure e competenze ai nuovi compiti e alle regole che disciplinano i cofinanziamenti comunitari; che si dia effettivo avvio ad una efficace azione di coordinamento e monitoraggio degli interventi.
La terapia suggerita dalla Svimez per la rimozione degli ostacoli normativi, organizzativi e procedurali, che hanno impedito o ritardato l'attuazione di interventi già finanziati con risorse pubbliche nazionali e comunitarie, non può conseguire risultati apprezzabili se non si rimuove, con atti e provvedimenti concreti, la pregiudiziale antimeridionalistica, resa più evidente dalla degenerazione dell'intervento nel Mezzogiorno. Ha fatto molto bene il prof. Cafiero a ricordare che la Svimez in prima fila ed i meridionalisti più attenti hanno sempre criticato tale degenerazione e hanno con insistenza ricordato che "per l'interesse e la dignità dell'intero Paese non si può prescindere da una politica meridionalistica".
La pregiudiziale antimeridionalistica ha impedito la conversione in legge di decreti essenziali per lo sviluppo del Mezzogiorno. E ciò ha determinato il blocco sostanziale degli interventi a sostegno delle aree meridionali. Il lento, confuso trapasso dall'intervento straordinario a quello ordinario ha impedito alle amministrazioni ordinarie, anche per la non tempestiva emanazione dei provvedimenti regolamentari ed organizzativi, di far fronte concretamente alle funzioni loro trasferite.
I recenti atti di governo - a cominciare dalla riconversione il 7 aprile, dopo ben 11 reiterazioni infruttuose, del decreto che accelera la concessione delle agevolazioni e la introduzione nella manovra finanziaria di febbraio di una norma che aumenta le disponibilità per interventi nel Mezzogiorno - consentono di individuare una linea che vuole uscire dall'emergenza per dare concreta attuazione al sistema degli interventi ordinari.
Alla presentazione del Rapporto, il ministro del Bilancio Rainer Masera e quello dei Lavori Pubblici, Paolo Baratta, hanno indicato le linee-guida essenziali per chiudere la fase più confusa e farraginosa dell'intervento straordinario, per superare, in particolare, la gravissima impasse rappresentata dalla limitata capacità progettuale ed esecutiva delle amministrazioni ordinarie e di quelle regionali e locali in misura più larga.


All'obiettivo di utilizzare al massimo grado le risorse nazionali e comunitarie destinate alle aree depresse e per fronteggiare l'incapacità progettuale ed operativa delle regioni, il ministro del Bilancio avvia l'esperienza delle "cabine di regia" nazionali. Il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Lamberto Cardia, precisa che, probabilmente, l'istituzione della "cabina di regia" sarà proposta come emendamento alla legge comunitaria all'esame del Parlamento.
La "cabina di regia" nazionale è un organismo rappresentativo di tutte le amministrazioni centrali, delle regioni meridionali, di sindacati e Confindustria. Essa ha il compito di coordinare gli investimenti cofinanziati da Bruxelles e di effettuare un monitoraggio dei soldi spesi. Dovrà tendere, in via preliminare, a rimuovere gli ostacoli e la inefficienza delle amministrazioni, facendo intervenire il CIPE in caso di conflitti che impediscono il celere utilizzo dei fondi europei. Al CIPE, il ministro del Bilancio assegna la funzione di "organismo di governo della politica economica nazionale" e non più sede formale di registrazione di iniziative già decise dalle singole Amministrazioni.
In questa nuova direzione di marcia si recupera in pieno la logica della programmazione e la priorità delle scelte. In tal modo, secondo le intenzioni del ministro, il CIPE diverrà "soggetto politico di sintesi degli obiettivi di sviluppo nelle aree depresse del Paese". Si coglie in questa nuova impostazione la giusta esigenza, sempre invocata dalla Svimez, della unitarietà della politica di sviluppo. Una unitarietà - osserva Massimo Annesi - che implica una stretta concertazione delle strategie da adottare da parte di tutti i soggetti istituzionali interessati. Tanto più necessaria data la pluralità di tali soggetti, operanti a vari livelli: comunitario, nazionale, regionale.


Il finanziamento della politica di riequilibrio territoriale è un impegno nazionale che deve essere onorato. Il prof. Cafiero ha citato la politica di unificazione economica delle due Germanie ed i positivi risultati raggiunti in pochi anni. Il contrasto è netto tra il generale discredito che ha investito la recente politica per il Mezzogiorno ed il generale apprezzamento riscosso dalla politica tedesca verso i Länder orientali: una gigantesca operazione assistenziale, valutata in oltre 200 miliardi di marchi, pari al cambio attuale a circa 240 mila miliardi di lire. Quattro volte le importazioni nette del Mezzogiorno. Nessuna opposizione, paragonabile a quella italiana dopo la cessazione dell'intervento straordinario, si è levata in Germania per contrastare la politica del riequilibrio territoriale.
Dalla Svimez emergono i punti fermi di una nuova politica meridionalistica. In primo luogo, lo sviluppo di un tessuto di imprese competitive, capaci di migliorare la qualità dei prodotti e l'efficienza delle tecniche e dell'organizzazione di produzione e di vendita. Al centro delle strategie di sviluppo dovranno porsi l'industria di trasformazione e i servizi finanziari e reali ad essa complementari (ricerca, formazione, consulenza).
Per lo sviluppo delle regioni in ritardo strutturale, la formazione di sistemi territoriali di imprese di produzione e di servizio assume una funzione strategica. Per attenuare, nel breve periodo, la elevatissima disoccupazione meridionale è necessario riprendere l'azione pubblica a sostegno del miglioramento infrastrutturale del territorio meridionale.
L'emergenza meridionale può essere affrontata solo con un diffuso processo di industrializzazione, che deve poter contare sull'intervento pubblico a sostegno della creazione di nuove imprese.
Il finanziamento della politica di sviluppo del Mezzogiorno risponde non solo ad un principio costituzionale, ma, come ha opportunamente ricordato Cafiero, a "quegli ideali liberali, ai quali tutti o quasi tutti dichiarano oggi di ispirarsi".


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