§ L'AUTORE E IL SUO LINGUAGGIO

L'IMMAGINE FOTOGRAFICA (IV)




Franco Barbieri



Sin dalle origini, e tuttora, l'immagine, l'ombra, il riflesso, il nome, l'anima, lo spirito sono stati e sono sinonimi: rappresentano l'altro io, ovvero il "doppio".
L'immagine mentale, che appare come la struttura essenziale della coscienza, è una presenza vissuta ed una assenza reale, di modo che l'oggetto è assente nella presenza stessa, confermando l'esistenza della presenza-assenza.
La proiezione, o allucinazione, valorizza e spinge verso l'esterno l'immagine mentale, attribuendole corpo, rilievo, autonomia, e realizza l'incontro tra la più grande soggettività e la più grande obiettività; nel punto d'incontro tra la maggiore alienazione e il più grande bisogno, è l'immagine spettro dell'uomo, cioè il suo doppio.
Da Hoffmann a Oscar Wilde, da Raimund ad Heine, da Maupassant a Jean Paul, da Edgar Allan Poe a Dostoevskij, ed altri, il tema del doppio è stato oggetto di descrizioni e di studi nella specifica luce della psicoanalisi, trattato come patologia della psiche o malattia dell'anima.
Nel suo saggio Il doppio del 1914, Otto Rank, discepolo di Freud, ha mostrato, dissentendo dal maestro, che, fin dalle sue prime manifestazioni, l'uomo ha avuto, nel suo immaginario sociale oltre che individuale, l'esigenza di configurare, non già come patologia, l'esistenza di un altro lo autonomo e attivo, quindi interattivo, in quanto la realtà è, invero, rappresentata dal loro reciproco rapporto.
Apprendiamo, così, che in Tasmania lo stesso termine indica l'ombra e lo spirito; che per gli indiani d'America, Algonchini, l'anima è un'ombra e per gli Arawachi neja significa ombra, anima, immagine mentre per gli Abiponi loakal è ombra, anima, eco, immagine, che per alcuni indigeni d'Australia vi è un'anima del cuore ed un'altra anima nell'ombra e presso i popoli della Nuova Guinea arugo è lo spirito o anima del defunto come anche ombra e riflesso e che per gli indigeni delle isole Figij yaloyalo (ombra) deriva da "yalo" (anima); che in Omero l'uomo ha una duplice presenza sulla terra, una nella sua apparizione sensibile, l'altra nell'immagine invisibile che si libera solo con la morte e che l'immagine ripetitiva dell'Io si ritrova nel significato originario del genio dei Romani, dei frovauli dei Persiani e del ka degli Egizi.
Per Spiess, riguardo ai popoli civilizzati, e per Fraser, per quelli primitivi, la credenza dell'anima si collega alla morte, regno delle ombre. Gli autori e le espressioni religiose, mistiche e artistiche conosciute rilevano e rivelano la originaria e comune esigenza di ipotizzare l'esistenza del secondo Io.


La fotografia, con la propria tecnica, è stata ed è lo strumento con il quale è stato possibile "materializzare" l'idea del doppio, e tutte le virtù insite nella fotografia hanno permesso di definire la "fotogenia" che, secondo Edgar Morin, è "quella qualità complessa ed unica di ombra, di riflesso e di doppio che permette alle potenze affettive proprie dell'immagine mentale di fissarsi sull'immagine frutto della riproduzione fotografica", ovvero è "ciò che risulta dal trasferimento nell'immagine fotografica delle qualità proprie dell'immagine mentale e della presenza delle qualità di ombra e di riflesso nella natura stessa dello sdoppiamento fotografico".
La fotogenia è l'estremo aspetto poetico degli esseri e delle cose (Delluc), tutto ciò che accresce la sua qualità morale e che risulta maggiorato dalla riproduzione fotografica; è l'embrione di una chiaroveggenza mitica che fissa sulla pellicola non solo gli ectoplasmi materializzati, ma anche gli spettri invisibili all'occhio umano, rivelando qualità di cui l'originale è sprovvisto.
Così l'immagine fotografica che è fisica e materiale risulta dotata e ricca di qualità psichiche, affettive ed emozionali. La potenza affettiva dell'immagine fotografica viene poi arricchita dall'arte, cioè dalla qualità emozionante della fotogenia, qualità latente del doppio.
L'immagine fotografica può, quindi, essere più vera della natura e più viva della vita, perché essa somiglia al prodotto più spontaneo e universale dell'immagine mentale e del doppio.


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