§ PIETRE DEL SUD

SE TORNANO GLI DEI




Tonino Caputo, Gianfranco Langatta, Stefano Greco



L'occasione è stata data da una mostra a Terracina sulle Paludi Pontine e sui tentativi di bonifica settecenteschi, quelli di Papa Pio VI, che aprì lungo la Via Appia un canale di drenaggio e di navigazione tuttora esistente e che da quel pontefice prese il nome. La mostra è stata tenuta nel palazzo che appartenne al Papa stesso, il celebre Giovanni Angelo Braschi (e Palazzo Braschi fu sede della presidenza del Consiglio dei Ministri prima che si passasse all'attuale Montecitorio). Una mostra che è stata uno studio documentato di architetti, di ingegneri e di legislatori dell'epoca, e che ha illustrato la malia delle paludi e delle architetture di recupero. Ne è emersa un'Italia che si vorrebbe vedere più spesso, di ricerca antica, esteticamente raffinata, disciplinarmente precisa e tenuta troppo in archivio. Un'Italia che attira gli italiani curiosi, avidi di conoscenza, di arricchimento culturale, che ha aperto per un momento "uno dei tanti rubinetti del nostro petrolio segreto, la storia nascosta fra reperti d'ogni tipo, sotto e sopra il suolo".
Chi ha scritto queste parole è stato Stanis (Stanislao) Nievo, scrittore, figlio d'arte (suo padre era il celeberrimo Ippolito), secondo il quale, andando in giro, quella mostra poteva diventare "museo, poi ecomuseo di materie diverse e d'archeologia industriale, poi Parco letterario. Per fornire moderni pascoli d'allevamento alla memoria collettiva, economia turistica ed informatica a cui il nostro Paese va incontro", anche se con eccessiva lentezza. E malgrado ciò, ogni tentativo analogo a quello di Terracina va considerato positivamente. Perché, è presto detto: Terracina è a metà Italia, tra Nord e Sud, anche sotto il profilo economico. E' un "discorso per soldoni, ma indicativo: a Nord un'economia di intensità europea; a Sud l'altra, l'economia dell'assistenzialismo, della frustrazione industriale, dei taglieggi e delle rassegnazioni cruente".
(Ci sarebbe molto da discutere su queste affermazioni apodittiche: l'assistenzialismo ha raggiunto da gran tempo anche il Nord sociale e industriale; quanto a "taglieggi" e a mafie, non si scherza neanche nelle regioni ricche, se è vero, come è vero, che il marcio scovato dalla magistratura non risparmia alcuna area e alcuna attività. Ma questo sarebbe un altro discorso).
Questa Italia, sostiene Nievo, riguarda la Magna Grecia, la cui anima oggi come oggi è malata. Allora, perché non curarla con una dieta adatta all'anima? E' questione di vocazioni e di sintonia. Taranto prosegue con i convegni internazionali sull'eredità della Magna Grecia (ne ha tenuto nel '95 il XXV°); è seguita, a Venezia, una mostra sui Greci d'Occidente; la stessa città bimare ha proclamato il 1996 "Anno della Magna Grecia": dunque, la Magna Grecia è entrata in Europa. Ma che cos'è, geograficamente parlando, la Magna Grecia? E' il Mezzogiorno continentale a sud di Terracina, con qualche coinvolgimento di Sicilia orientale, se proprio si vuole, visto che l'isola fa un po' storia a sé, e storia altrettanto grande. Ma tant'è, sostiene Stanis Nievo: l'area coi suoi problemi è storicamente quella, e, al di fuori di una approfondita analisi, forse se ne può trarre una considerazione generale: l'industria delle cose materiali non è adatta alla Magna Grecia, i cui figli avvertono come estranea l'attività della grande fabbrica, tante volte abortita da queste parti.
Certamente, nel primo Ottocento certe iniziative antesignane del Re di Napoli (Ferdinandopoli, San Leucio, ad esempio), per comunicazione (Napoli-Portici, prima nave a vapore del Mediterraneo) e industria, furono all'avanguardia in Europa, ma lo furono proprio perché erano d'avanguardia, spettacolari in sé, in qualche modo teatrali. E' questa componente, tanto presente qui nell'individuo, che può emergere. Il futuro del Sud è nel suo eterno presente, teatro di storia solare, tra quinte e guardaroba preziosi. Per turisti e studiosi, visitatori e mercanti. Migliaia di posti attendono giovani e vecchi disoccupati su questo palcoscenico. Non ci sono tre o quattro persone in ogni comune che potrebbero occuparsi di uno sforzo produttivo del genere? Tre o quattro per ottomila comuni italiani: trentamila persone. Poco, per cominciare? A loro, comunque, è rivolto questo discorso.
Non ci sembra il caso di aprire un dibattito sul pregiudizio dell'incapacità meridionale di metter su e gestire imprese industriali, in un intero Paese a paleocapitalismo industriale, a scuola disastrata, a giustizia sociale stravolgente, a corruzione esasperante, ad evasione fiscale impunita, ad imprese settentrionali che vivono in regime monopolistico o sorrette con i soldi pubblici, ad aree depresse storicamente vessate e abbandonate.
Ci interessa la parte del discorso che tocca un argomento di estrema attualità: quello del ruolo e della funzione dell'arte e della cultura nella formazione di posti di lavoro nel Mezzogiorno. I giacimenti del Sud sono, quasi da sempre, e pervicacemente, esclusi da ogni prospettiva economica e di occupazione. Accanto a una realtà industriale avanzata, terziaria avanzata, commerciale avanzata, formerebbero una ricchezza inesauribile per le regioni meridionali. Per industria, terziario e commercio, in presenza di un mercato di milioni di persone, e soprattutto in rapporto a Stati in progressivo sviluppo con i quali si potrebbero intrattenere scambi proficui per il Mezzogiorno (pensiamo in particolare all'Egitto e alla Turchia) è problema di impostazione di programmazioni rigorose e lungimiranti: esempi in vari Paesi d'Europa non mancano, c'è dunque poco da inventare, basta fotocopiare.
Diverso il discorso per i giacimenti d'arte dislocati nelle aree del Sud. Si tratta di una ricchezza unica, concentrata in un'area che non ha riscontri nel mondo, neanche nella "Madre Grecia" che in grandissima parte l'ha originata. E, su questo, nessuno può dare torto a Nievo. Il quale ha direttamente sperimentato (in Basilicata e in Calabria) anche i "Parchi letterari", iniziative di lavoro fiorite nei luoghi della grande ispirazione poetica e narrativa. Sottolinea Nievo: "Le miniere future non sono quelle di zolfo o salgemma o il flusso caotico dell'immigrazione extra-comunitaria, ma i teatri già pronti da dove emergono gli antichi personaggi della regione a rappresentare la bellezza eterna, mobile o immobile, il grande pettegolezzo mitico che questi artieri del sole e della parola - cantastorie o musici che siano -sanno interpretare d'istinto".
Dunque, la porta che dà sull'avvenire sembra essere prevalentemente questa. Un avvenire, non un salvataggio effimero e momentaneo. Aprendola, l'Europa troverà qualcosa che esiste molto meno altrove e che qui, un po' sporco e negletto, è già pronto. Bisogna metterlo in moto, e in più costerebbe poco. "Il recupero della storia passata davanti a casa in tanti territori del Sud -ognuno ha di che vantarsi per antico pelo - è la chiave. Produce stima di sé, sveglia la tradizione, ossigena la creatività in tutti i cinque sensi - fra canti, profumi, pantomime, pietanze e prosceni - e si applica ad arti e mestieri".
Il ragionamento che si fa è questo: il resto d'Italia, come la più gran parte d'Europa, ha in economia un'efficienza avviata, diversa, e ciò rende più difficile l'innesto sopra descritto. Il Sud, al contrario, per l'attuale degrado economico, ha questa carta da giocare. Nel corso della sua antichissima storia, questo Sud ha prodotto grandi materiali immateriali, cultura e detriti, pietre, arte e filosofia, oltre all'emigrazione e - non va sottaciuto - alla malavita: ma in ogni caso, con appassionata partecipazione al dramma umano.
Diceva il Gattopardo che questi sono luoghi abitati dagli Dei, poveri o ricchi che siano, nascosti o chiassosi, propizi o avversi. Non sono creature dalle vie ben allineate verso il terzo millennio, "sono uomini senza tempo, eccelsi, con geometria verticale tra abisso e cielo. Abitano appunto un Olimpo, lontano nei secoli e visceralmente vicino quando la rappresentazione intona il coro greco, all'apparire del fato e degli impulsi che spingono ognuno di noi attraverso l'infinita corsa quotidiana. E' un discorso lungo, ma personaggi del genere non possono essere rinchiusi in una fabbrica, per bella che sia, se vogliono restare se stessi. Sono individui del sole, soldati del proscenio, unici e tanti come De Filippo e Totò, capiscuola che il Nord non può offrire".
E allora, perché non privilegiare un'economia che tenga conto di questa individualità alta e fragile, unica nell'evoluzione continentale? Si discute tanto di assistenzialismo: "Non si può guarire coi soldi estranei un Paese affamato d'anima propria. Nei figli della Magna Grecia c'è la nostra alba di civiltà, qualcosa di assoluto che corre nel Dna e protegge dal caos della vita. Il caos qui è di casa. Ma gli uomini vi hanno stabilito all'interno norme impensate, autoproposte, venate d'ironia raffinata, rispetto e raggiro, sacralità verbale. A casa e in chiesa, in prigione e al bar, al lavoro come nel gioco, gli Dei non vogliono annoiarsi. La noia, ombra grigia della sicurezza e del civismo, è buccia del benessere. In definitiva, non degna d'esser ingoiata, insapore e indistinta". C'è un plumbeo confine, che divide nettamente l'Italia delle ciminiere da quella dei grandi giacimenti d'arte e di cultura magnogreca. E oltre questo confine si possono trovare gli anticorpi migliori. La Magna Grecia, regione d'Europa, può diventarne l'Olimpo e la cantina. Può diventarne la coscienza più alta e la testimonianza aurorale più nobile, più completa, più aristocratica.
Non fu così con Napoli, nobilissima pezzente sul suo inimitabile sfondo, casa del Re settecentesco, trionfo della sperequazione nei diritti e della tortuosità nei doveri? e groviglio di bellezza di giardini e salotti, ma anche baraonda di case e di tane, di strade e di vicoli, di galantuomini e maluomini: teatro, insomma, dal quale era bandito l'egualitarismo a favore dell'interpretazione, anche la più sfrenata. Un teatro di estorsioni, inganni, soprusi; ma anche di finezze, di generosità, di iperboli. Per questo Napoli, il Sud, la Magna Grecia, e la stessa Sicilia devono uscire dalla loro infinita solitudine: non per allinearsi, ma per autoproporsi all'Europa, perché il canto del pastore errante nell'Asia continui, non al chiaro di luna, ma en plein air, per un'alta economia culturale.
Si osserva: per far nascere un posto di lavoro nel settore dell'industria, la collettività deve spendere trecento milioni di lire e un costo aggiuntivo è rappresentato dai rischi di inquinamento ambientale e dalla trasformazione, spesso radicale, del paesaggio. Per creare un posto di lavoro in rapporto ai giacimenti culturali, occorrono da cinquanta a settanta milioni, col recupero non soltanto delle "sacre pietre" che quel giacimento formano, ma anche del paesaggio circostante, con la tutela ambientale, con la valorizzazione generale e complessiva dell'area interessata.
Ciò non significa escludere lo sviluppo industriale. Questo deve seguire il suo corso, possibilmente biforcato lungo le direttrici dell'artigianato e delle imprese senza ciminiere, collegate cioè all'elettronica, alla telematica, alle comunicazioni, e via di seguito. il che non è, e non può essere, un sogno: le ciminiere restino dove sono, in Italia; e nel Sud non si riducano, ma si trasformino, si riconvertano tecnologicamente, in modo che non si influisca negativamente sull'ambiente.
Ciò significa sfruttare al massimo i giacimenti esistenti e rimettere alla luce del sole quelli che ancora si trovano sotto il pelo della terra. Le cifre sono più che incoraggianti. In Italia ci sono, allo stato attuale, 2.099 aree e monumenti archeologici. La maggior parte, l'ottanta per cento, si trova nel Centro e nel Sud della penisola. Ma le aree e i monumenti aperti al pubblico sono 1.033, oltre a 296 visitabili soltanto su richiesta. Va aggiunto che i musei italiani sono 3.517, mentre gli scavi in corso sono appena ventiquattro. Dunque, anche se può variare da un giorno all'altro, nel senso che il numero delle aree può aumentare da un giorno all'altro, una radiografia c'è, e con essa -si presume - un avvio di diagnosi.
Tra le regioni italiane, il Lazio è di gran lunga la più ricca di testimonianze archeologiche, seguita a distanza dalla Campania e dalla Sardegna, quindi dalla Sicilia, dalla Toscana e dall'Umbria. Il Sud e le isole insieme prevalgono di poco sul Centro e di moltissimo sul Nord. Quanto alla proprietà, lo Stato ha la quota maggiore; ma si scopre con sorpresa che lo seguono nell'ordine i privati, prima ancora dei Comuni, delle Regioni e della Chiesa.
Note, adesso, dolenti. I monumenti e i siti archeologici fruibili, come abbiamo detto, sono meno della metà. Aggiungiamo che, se ci fosse una "voce" sullo stato di conservazione, le sorprese sgradevoli sarebbero più inquietanti; e peggio ancora andrebbe se ci fosse una "voce" sull'adeguatezza della tutela. Siamo troppo ricchi di tesori sepolti, viene da commentare. O meglio, siamo troppo ricchi per una tutela sufficiente, che implicherebbe a disposizione dei Beni Culturali mezzi assai maggiori di quelli abitualmente stanziati. E in questo modo, gli Dei non possono sorridere: non valorizziamo adeguatamente un patrimonio unico al mondo perché non vi sono stanziamenti adeguati; e quel patrimonio rende assai meno di quel che potrebbe perché non è valorizzato. Allora, non è possibile esprimersi in termini economici e di occupazione, a meno che non si metta, nero su bianco, un grande progetto di valorizzazione di tutti i giacimenti, supportato da un progetto complementare di creazione di strutture che attraggano, e soprattutto convincano a fermarsi, i turisti. Non va dimenticato che la facilità degli spostamenti a lunga distanza è oggi tale, che le scelte dei visitatori (specialmente stranieri) si orientano in larga misura secondo l'accoglienza prevedibile. Le complesse strutture dei musei americani dovrebbe insegnarci qualcosa.
Chissà che fine hanno fatto gli "itinerari turistici" che erano stati progettati poco più di una decina di anni fa, e che si proponevano di proporre una serie di "percorsi" turistico-culturali attraverso il Mezzogiorno. Allora vennero presentati, con gran clamore di stampa e di incontri e dibattiti, come dei toccasana dell'economia di alcune aree meridionali. Per finire, poi, come tante altre iniziative italiane sfiorate appena dalla progettualità esecutiva, ma abbondantemente contaminate dalla propaganda politica, nel dimenticatoio.
Eppure, l'idea non era peregrina. Metter su, oggi, "canali culturali" da indicare a turisti, stranieri ma anche italiani, come vie preferenziali per vacanze intelligenti, come è di moda in questi anni, significa far leva su una materia prima che nelle regioni meridionali sicuramente è abbondante e di prim'ordine. Si pensi, per quel che riguarda la Puglia, agli echi greco-troiani che sono presenti nel Gargano e nelle Tremiti (o Diomedee, dall'eroe greco reduce dalla guerra decennale sulle coste anatoliche); all'arte svevo-normanna che include l'architettura e la scultura in Gargano, nella provincia di Bari e in quella alto-brindisina; al barocco plateresco che, oltre agli splendori di Lecce, coinvolge molti centri storici della provincia, con "varianti" su Otranto, Galatina di Santa Caterina d'Alessandria, Casaranello dei mosaici; varianti valide anche per il discorso sull'arca messapica.
E si pensi al museo che potrebbe nascere a Taranto (e a Reggio Calabria, per affinità di reperti), se venissero dissepolti dai magazzini i materiali innumerevoli che forse sono appena catalogati. Una ricchezza enorme, tanto quanto sconosciuta e persino non apprezzata nel suo potenziale in ordine alla creazione di reticoli e poli d'attrazione di primo livello; ovviamente pubblicizzati adeguatamente in ambito europeo, e attrezzati con strutture ricettive e, appunto, "di cantina", a prezzi accessibili.
Tutto questo non può farlo soltanto lo Stato. E' necessaria la mobilitazione di forze private, di fondazioni, di centri culturali e giovanili, di imprese sponsorizzatrici, e via di seguito. In altre parole, dovrebbe ripetersi - ma in termini di impegno moderno -quella che fu l'esperienza iniziale dell'Iri, sperimentata in Puglia particolarmente nella regione barese. L'Iri fuse capitali pubblici e privati, avviando imprese, aprendo loro i mercati, e nel momento in cui era evidente che l'iniziativa poteva camminare con le proprie gambe la cedeva per intero ai privati, a prezzo agevolato. L'onda lunga di questo comportamento ha sempre impedito all'area di accusare i ricorrenti stati di crisi che si sono determinati in altre zone del Mezzogiorno.
Qualcosa di analogo potrebbe essere realizzato in almeno una trentina di bacini archeologici, paesaggistici, artistici, e anche di "ispirazione poetica e narrativa" del Sud continentale e insulare. Da questo punto di vista, Nievo può anche avere ragione per quel che riguarderebbe la non-vocazione industriale del Mezzogiorno. Ma solo ed esclusivamente che l'offerta di cervelli a servizio di queste iniziative, in rapporto al lavoro disponibile, organizzato come il mercato almeno inizialmente comanda, creerebbe di per sé un calmieramento dei costi, a loro volta rapportati alle entrate, alle capacità d'iniziativa e d'intrapresa.
Cadrebbero in questo modo anche le assurde -ben note, in passato, e comunque ingannevoli in ogni tempo - pretese di "gabbie salariali" riproposte come panacea per risolvere i problemi della disoccupazione nel Sud.
Se proprio vogliamo, questo era compito tra i primi delle Regioni, che è venuto meno con puntuale fatalità e con drammatiche conseguenze. E ne sono prova i finanziamenti comunitari, destinati a progetti e iniziative produttive e occupazionali, ma rimasti a Bruxelles perché l'Italia, ma il Sud in modo particolare, non ha saputo immaginarne di validi. Fenomeno che non si è verificato per altri Stati, come il Portogallo, l'Irlanda, la Grecia, che pure non sono in condizioni socio-economiche molto diverse da quelle del Mezzogiorno d'Italia, e ai quali sono stati destinati i finanziamenti elusi da noi.
Ciò significa innanzitutto crisi di ideazione, di progettualità e di previsione. Crisi tanto più grave, in quanto la materia prima c'è, la storia la conforta di uno spessore di prima grandezza, è alla base della civiltà europea; in quanto ci sono enti preposti a promuovere, in Italia e all'estero, l'afflusso turistico: enti che costano e che devono lavorare in modo diverso da quello del piccolo cabotaggio al quale la mentalità burocratica li ha abituati, per difetto d'origine; in quanto le condizioni finanziarie dello Stato e le esigenze della vita moderna non consentono più di alimentare l'elefantiasi burosaura, che costa e non produce: costa al cittadino e non produce per la collettività, tant'è che altrove, nei Paesi avanzati, è continuamente assottigliata dal ricorso a tecnologie d'avanguardia.
Torneranno, allora, a sorridere gli Dei nel Sud? E torneranno a risplendere le splendide pietre continentali, siciliane, sarde? Investiremo in arte, in cultura, in conoscenza, oltre che in fabbriche e in colletti bianchi? L'uomo, ha scritto Hegel, non è altro che la serie delle sue azioni. Ora, il Sud deve fare i conti col suo presente. E se ad un passato proprio deve collegarsi, non è, non può più essere quello che va dalla presa di Gaeta in poi, fino a ieri soltanto, ma quello che lo vide, nel Settecento, primeggiare in Italia e in Europa.
Un vento neoilluministico, di strategie razionali, di progettualità creativa, deve percorrere una terra dai sogni spezzati, ma non del tutto distrutti. E' compito delle classi politica, amministrativa, imprenditoriale, e dei giovani, aprirsi varchi nel futuro, anche facendo ricorso alle "materie immateriali" che sono il più alto patrimonio di cui dispongono a cielo aperto. Altrimenti, riseppelliamo le pietre del Sud. Che ci ricordano quanto fummo grandi, e quanto poco siamo, al confronto con quella grandezza.


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