§ LIBRI E BIBLIOTECHE

LA RICERCA STORICO-BIBLIOGRAFICA DI GINO PISANO'




Emilio Panarese



Cesellare con estrema cura ed approfondito studio la storia delle più antiche biblioteche pubbliche del Salento sulla lamina delle poche fonti documentarie e letterarie, riuscire a sbalzarvi, con effetti coloristici, la storia della città, in cui ha sede la raccolta secolare di manoscritti e di volumi stampati dal tardo '400 ai giorni nostri "con le sue istituzioni, la sua cultura, le sue tensioni civili" è certamente impresa ardua per chiunque si provi, per quanto valente ed esperto egli sia.
Ma non per Gino Pisanò, saggista e storico di vaglia sulla scia della feconda tradizione annalista francese di Bloch e di Braudel, non nuovo a questi impegnativi studi prospettici (v. il suo Seicento letterario in Terra d'Otranto, 1993) sulla cultura salentina.
Sono mancati sinora in Italia studi seri e completi in questa direzione di lavoro e solo in questi ultimi decenni cominciano ad apparire ricerche approfondite e documentate sulle biblioteche, pubbliche e private, nate dalla magnificenza di vescovi, di cardinali, di papi, di principi e di signori bibliofili.
Fu la rivoluzionaria invenzione e la progressiva diffusione della stampa, soprattutto nell'età della Controriforma, a determinare il progressivo diffondersi delle biblioteche e, quindi, delle nuove idee e delle informazioni specialistiche.
Le prime biblioteche pubbliche, prototipo delle moderne, si aprono solo agli albori del Seicento: a Milano, nel 1609 l'Ambrosiana; a Roma, nel 1614 l'Angelica e tra il 1661 e il 1670 l'Alessandrina.
Nacque quest'ultima per volontà del papa Alessandro VII, già vescovo di Nardò nel 1635, antipascaliano e antigianseniano, lo stesso papa che nel 1666 approvò le Costituzioni con cui Francesco Piccinno, arciprete magliese di spirito aperto e lungimirante, fondò la più antica e cospicua biblioteca pugliese (2.000 volumi circa) destinata all'uso pubblico.
Difficile affermare o negare che le Costituzioni piccinniane siano lo specchio di un modello statutario precedente (ambrosiano o alessandrino che sia); più agevole è invece, dalla corretta e rigorosa interpretazione del 17 artt. del documento, evidenziare, come afferma Gino Pisanò in Contributi alla storia delle biblioteche salentine. Le comunali di Maglie e Gallipoli (Congedo, 1995), il "carattere di razionalità espositiva preilluministica, la moderna prudenza, la capillare attenzione ai problemi di una pubblica libraria", che neppure oggi si riesce a risolvere all'atto della fondazione di biblioteche comunali.
A questa notabile biblioteca un'altra pubblica (1.100 voll.) si aggiunse, dopo sette decenni, nel 1739, quella del dotto e ricchissimo sacerdote magliese (non arciprete) Ignazio Ricci, che secondo un'aleatoria tradizione ebbe fama di mago, forse perché, come testimoniano alcuni suoi libri, ebbe interessi anche per la magia, l'alchimia, l'ermetismo e l'occultismo.
Un prezioso nucleo dei suoi libri era costituito da opere giuridiche, ma ciò non deve sorprendere più di tanto se si ricorda che il Ricci era laureato in utroque iure e che godeva ai suoi tempi di meritata fama di canonista e giureconsulto.
Se mai può destare meraviglia la "singolare povertà di opere a carattere religioso" (G. Bino, Libri e librerie, 1995).
Del fondo librario del Ricci Gino Pisanò esamina scrupolosamente le "presenze" più significative, gli autori leciti e quelli proibiti dalla Sacra Congregazione dell'Indice o sospettati di eresia, i numerosi libri di matematica, di algebra, di medicina, di geografia, i testi letterari italiani, latini e greci, le "sezioni" di lessicografia e soprattutto di storiografia, che "testimoniano una curiosità intellettuale aperta ed orientata verso settecentesche prospettive laiche, illuministiche, filosofiche più che teologiche".
Istituì il Ricci anche una cattedra di teologia, che funzionò, con brevi interruzioni, sino ai primi anni del'900, quando il legato venne destinato ad altri usi pubblici.
Come tutte le istituzioni e le fondazioni pure la "Piccinno-Ricci" attraversò un lungo periodo di crisi e di abbandono. Ma anche l'oblio è una forma della memoria: per rivivere aveva bisogno di nuovi e forti impulsi, impulsi che coincidono con la "rinascenza culturale ottocentesca di Maglie", con la nascita di un'altra biblioteca, la "Capece", col fervore suscitato intorno al libro, alle riviste, alla tipografia del Collegio, alla legatoria, al teatro, agli studi dialettologici e alla stampa su Lo studente magliese di materiale storico-linguistico-folclorico, voluti da quei due geniali operatori culturali d'avanguardia che furono Orlando De Donno e Pietro Pellizzari.
Dopo la fusione di tutte le biblioteche in una (Piccinno, Ricci, Conventuali, Capece, Foscolo), la "Piccinno" è andata via via sempre più ingrandendosi con varie donazioni e ha continuamente svolto, tranne le parentesi della prima guerra mondiale, una fervida attività di lavoro, meritandosi il primo posto, tra le biblioteche salentine, "per il rapporto cultura-territorio".
Diversa e più recente è la storia della biblioteca gallipolina, nata nel 1825 con la donazione al Comune (circa 3.000 volumi) del canonico Carmine Fontò.
Con ricchezza di particolari Pisanò ricorda gli anni difficili della gestione del patrimonio librario, i primi operosi bibliotecari (N.M. Cataldi, D. Briganti jr., E. Barba, figura di primo piano nella storia della cultura gallipolina), la solenne inaugurazione della biblioteca, ritornata al Comune, e dell'Osservatorio meteorologico del 16 marzo del 1879, in una "civica atmosfera di tripudio festaiolo", la tumultuosa insurrezione popolare contro la decisione del vescovo Carfaganini, che "insensibile alle ragioni della cultura e della scienza" si opponeva che la biblioteca restasse ancora gratuitamente nei locali del Seminario.
Alla fine del secolo la riapertura di una nuova sede, a cui seguirono purtroppo lunghi anni oscuri di crisi, di declino, di affievolimenti di entusiasmi e di incrementi.
Lenta, in questi anni, la ripresa.
Per un quadro più ampio di tutta la storia della cultura nel Salento questa ricerca di Pisanò è fondamentale, basilare.
Vibranti ed intense le pagine in cui egli sostiene magistralmente la sua tesi che "dietro la storia di una pubblica biblioteca respira anche quella della città con la sua cultura, le sue istituzioni, le sue tensioni civili" o in cui scorge gli effetti di lunga durata delle fondazioni librarie salentine nel "senso di rinascenza in Maglie, come a Gallipoli, a Lecce e in altri Comuni", nel "collettivo fiorire di studi, di arti, di iniziative", negli ultimi anni dell'800, sotto l'impulso delle nuove idee positivistiche, che diffondevano l'ingenua ed ottimistica speranza di avanzamento democratico, di emancipazione, di rinnovamento, di grande progresso, di giustizia e felicità sociale.
Da qui la concezione "civile", nuova ed aperta, sia nella cultura in generale sia della biblioteca, "letta" come un unico macrotesto con le sue testimonianze secolari, i suoi "linguaggi epocali", come mezzo indiscusso, con le sue aperture ai centri diffusori del sapere, italiani ed europei, di educazione e di incivilimento, come inesauribile fonte di arricchimento dell'intelletto umano.
Con questa preziosa ricerca, che ha il suo fulcro su una scelta bibliografica accuratamente compulsata, l'autore ha soprattutto il grosso merito di essere riuscito a ricostruire, attraverso un attento esame storico-filologico, la genesi e la struttura delle due prime biblioteche pubbliche salentine, dandoci, nello stesso tempo, informazioni precise sul contenuto e sugli autori dei testi-chiave delle cinquecentine e delle secentine e, in modo particolare, di aver saputo focalizzare i "circuiti culturali" penetrati nel Salento, in una delle zone geograficamente più periferiche, a cominciare dalla divulgazione dei primi incunàboli.
Ora con la sua esplorazione abbiamo saputo ciò che ci era oscuro, abbiamo "letto" le due biblioteche di Maglie e di Gallipoli su un grande piano orizzontale e "panoramico".


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