Risale
all'aprile del 1990 il mio primo approccio con l'arte di Luca Errico:
un catalogo, piccolo e umile come di chi inizia, e una dedica: "Al
maestro Lionello Mandorino, a ricordo di questa sorta di iniziazione
da lei tanto gentilmente datami".
Mi aveva colpito quel ragazzo, impressionato positivamente: la sua vivacità,
la sua inquietudine, come di qualcosa che arde dentro, unita ad una
grande modestia e ad un magma di idee ancora non chiaramente delineate,
ma già vive e urgenti.
Da allora non l'ho mal più perso di vista: sentivo che dovevo
aiutarlo a "nascere" come artista, come anima; dovevo non
fargli venir meno il coraggio necessario, coltivare quella pianta che
la connaturata inquietudine della sua indole, le spine e le cadute di
un cammino impervio come quello dell'arte potevano soffocare. E ho avuto
ragione.
Luca Errico non abita nel mio paese, ma c'incontravamo spesso: lo vedevo
"bere" le mie parole, non in modo passivo, ma ponendosi sempre
in chiave criticamente positiva, e con se stesso e con quello che via
via io andavo dicendogli.
Ed è con l'orgoglio del maestro, che bene ha visto, che ho presentato
la mostra orafa di questo artista nella Libreria Einaudi di Maglie,
gentilmente concessa dall'amico Toma, segretario del Lions Club di Maglie.
Del termine "artista" troppo spesso si usa e ancor più
spesso si abusa. Ma per Luca Errico sono sicuro che è la parola
giusta. Luca non è un semplice orafo: la sua arte è tale
perché sconfina in altri campi dell'espressione, supera le pastoie
dell'artigianato, si supporta con gli echi della sua anima inquieta,
si rinforza con la precisione di disegni e sviluppi tecnici.
Nato a Modena 32 anni fa, da madre emiliana e da padre salentino, Luca
Errico, fin da bambino, trascorre le vacanze estive a Collepasso, un
piccolo centro della provincia di Lecce.
Avido di sole e di luce, quando può viene a riempirsi anima e
cuore del bianco abbacinante delle case del Sud, della luce senza confini
del sole del Sud, del dolore pudico e selvaggio del Sud.
"Ne ho bisogno - dice oggi l'artista Luca Errico - quando il grigio
uniforme della terra padana mi toglie il respiro; quando la frenesia
di un vivere che ha smarrito il gusto del pianto mi fa invocare il lamento
di bestia ferita del dolore della mia nonna del Sud; quando il volto
pallido del sole modenese mi fa sentire necessario il volto selvaggio
e crudele di quello che ormai è il "mio" sole. Quindi
Luca Errico viene sempre più spesso nel nostro Salento; arriva
sempre più inquieto, più dolorosamente combattuto. Alcuni
suoi versi rendono perfettamente questa sua inquietudine:
Inquieto corro
tra anime e soli diversi
cercando verità umane che voglio mie per crescere.
Soffro quell'incertezza
di chi non sa
da che parte sale e da che parte scende il sole.
Lascio brandelli
di cuore di errabondo ondivagare,
tra industriose, materne, nebbie padane,
e levantino, paterno, essere meridionale.
Inquieto, quindi,
ma sempre più cosciente di quello che la sua arte deve essere:
specchio di due mondi, fusione di due anime, sintesi di due concezioni
di vita: il sole e la nebbia, il frenetico inseguire il benessere
e il cammino nell'anima dell'universo-uomo, il materiale povero dell'ulivo,
del ciottolo di mare e l'oro simbolo di orgoglioso possesso.
Il mare e il sole rinvigoriscono e purificano il suo spirito, donano
lucentezza ai metalli che le sue mani lavorano. La sua creatività
è accesa e stimolata da immagini che hanno sedimentato nella
sua anima e che la lontananza fisica e temporale hanno fatto decantare,
togliendo loro falsità e limiti di stereotipi: le vecchie case
cubiche, i rosari delle vecchie madri salentine, il levigato nitore
dei ciottoli del mare del Sud.
La creatività è poi supportata da una geometrizzazione
tecnica che egli infonde ai materiali per "dire": un momento,
un episodio, una storia.
Luca Errico diceva in quel catalogo da lui donatomi nel 1990: "Tra
le mani di un bambino una lucidatrice diventa un microfono per cantare,
una scatola di scarpe un promontorio su cui mettere il faro che illumina
le scarpe diventate improvvisamente navi, una seggiola il volante
di un'automobile ... ". E il discorso continua con altre similitudini.
Molto importante la scelta dei materiali che l'artista adopera per
la realizzazione dell'oggetto. Oltre all'oro, all'argento, al diamante,
al topazio, al corallo, usa materiali poveri: il legno d'ulivo, il
legno colorato impastato con sabbia e vetri colorati che si associano
e si armonizzano così bene con i preziosi.
L'arte dell'orafo è antichissima e proviene dall'Egitto. In
molte botteghe italiane quasi sempre si sono usati materiali preziosi.
Nel Meridione non mancarono maestranze di alto livello artistico,
anche se predomina l'argento sbalzato negli oggetti liturgici, soprattutto
nel periodo barocco napoletano, quanto nel foggiano e nel barese.
E perché no nel leccese? Proprio in questi giorni l'ho appreso
da una pubblicazione sugli orafi a Lecce nel '500, grazie alle ricerche
del nostro conterraneo Giovanni Cosi.
Dopo questi aspetti di carattere informativo, interessiamoci del nostro
Errico, che con i suoi materiali e con la sua tecnica cerca di evadere
quanto più è possibile da vecchi schemi rigorosamente
tendenti a quello artigianale di un tempo e principalmente da quel
"Déco" o "Neo-Liberty" troppo ondulato
e sfruttato, specialmente dall'industria per le esigenze moderne.
Nell'oggetto di Luca Errico troviamo e rileviamo vibrazioni e ritmi
essenzialmente lineari.
I suoi disegni trovano profonda eco nella vita e nella natura che
intendono valorizzare e contemporaneamente illuminano il sofferto
io dell'artista carico di profonda fede cristiana.
Nella sua produzione non troviamo quasi mai del pedante accademismo
o echi neoclassici o neo-gotici o barocchi (eseguiti o per committenza
o per interessi prettamente commerciali). La concezione di vita o
di pensiero di questo artista, nelle opere in quella occasione esposte,
non sono altro che un riscontro poetico di direzione culturale che
spesso accomuna il suo io e accompagna l'opera in dimensione unitaria.
Una sorta di accordo che lega la tecnica al simbolo, il simbolo alla
poesia, senza cadere nell'ornamentario dell'oggetto.
Per Luca, il gioiello deve essere indossato in qualunque momento e
in qualunque occasione. Perciò utilizza criteri semplici e
funzionali sia per quanto riguarda la scelta dei materiali che quella
dei motivi decorativi.
A lui interessano i fluidi motivi lineari portati a forma-prodotto,
bellezza e semplicità della forma tendente a scrivere una generazione
nuova e meno legata al tradizionale.
Niente di stereotipato, niente che venga dalla macchina per servire
i gusti di produzione; ma l'oggetto, per il creatore, deve essere
eseguito artigianalmente per diventare valore estetico, artistico,
lavoro manuale senza l'utilizzo della cera.
Sono tredici in tutto i pezzi di questa piccola antologica che va
dal 1989 al 1995. Si comincia con "Frammenti di vita", con
una scelta di materiali (argento, legno colorato e sabbia) dove si
può notare che il gioiello si è ridotto solo ad un fatto
estetico. La forma è simbolo associato all'uomo. Gli intarsi,
l'impasto, il legno colorato vogliono ricordare la croce e la vita
di Cristo, e mentre la semisfera è il pensiero dell'uomo, la
sfericità è rivolta a Dio.
In "Resurrezione", mi ha riferito l'artista, gli angoli
smussati del quadrato diventano unione tra Dio e l'uomo e i colori
(l'azzurro del cielo e del mare e il verde della terra promessa) portano
al pensiero dell'infinito.
In lui domina spesso come fatto concettuale la materia che diventa
simbolo. L'oro è Dio, l'argento è l'uomo, " ...
antiche nobili radici / costituiscono le nostre origini, / lucenti
e pure come l'oro".
Tre quadrati di fondo formano la composizione trittica verticale dal
titolo "Lacrima": una croce, uno squarcio, una lavica lacrima
tempestata di diamanti, mentre il legno, il corallo rosso vuole rappresentare
il dolore dell'uomo-Cristo. In questo gioiello, la forma si rifà
al momento storico stilistico dei collari greci, romani, etruschi,
ma sempre con un intendimento personalissimo, sia per l'utilizzo del
materiale che per la concettualità della forma.
In "Crocifisso", il chiodo, il legno, le corde, il vetro
significano per l'autore la radice della fede e della carità.
L'autore di questi gioielli si libera, nel 1994, della tematica un
po' travagliata dal punto di vista spirituale per entrare in una nuova
fase: in quella dell'amore liberato, anche se la corda conduce ancora
a Dio. Un gabbiano in volo tempestato di diamanti si accosta ad una
nuova speranza, verso un nuovo cammino, che è quello poi raggiunto
nel 1995 con "Occhi meridionali", pervasi dagli orizzonti
marittimi del Meridione o, meglio, dalle onde marine salentine e dalla
rappresentazione grafica della città marinara di Gallipoli,
con le sue mura che galleggiano su di un vitreo mare cristallino.
Finisco con alcuni suoi versi che s'intrecciano con i suoi capolavori:
Io
vivo per te in un sole
cui padana nebbia
ruba l'ombra.
Nelle vene
luce tua senza confini.
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