"...
Verrà un giorno in cui qualche tenace operaio della ricerca scientifica
imparerà come si possa ritardare il progressivo affaticarsi del
cuore. E così la morte sarà cacciata indietro, sempre
più indietro".
(Paul de Kruif)
L'articolo non
prenderà in esame i problemi inerenti la eziopatogenesi, la
fisiopatologia e la clinica della vecchiaia; sarà circoscritto
ad alcuni aspetti secondari, ma di non marginale valenza, ove si considerino
le statistiche demoscopiche degli anziani, l'incremento progressivo
della vita media, le loro patologie croniche e la precarietà
della loro assistenza.
Nella graduatoria internazionale degli anziani (indagine demoscopica
quadriennio 1987-91), il nostro Paese si insediò ai primi posti
col 13,9% di ultrasessantacinquenni (rispettivamente 3.234.000 uomini
e 4.735.000 donne).
Per gli ultraottantenni la percentuale fu del 2,9%, con 536.000 uomini
e 1.104.000 donne.
In campo europeo i longevi italiani, con oltre 4.000 ultracentenari,
occupano il primo posto.
L'incremento della longevità, associandosi a quello della denatalità,
determina e vieppiù determinerà una popolazione civile
prevalentemente di anziani e di pensionati. Il che induce e indurrà
lo Stato a maggiori obblighi assistenziali ed oneri finanziari.
Le nostre statistiche demoscopiche dicono anche che nel periodo 1951-1971
il gruppo di anziani dai 61 ai 70 anni ha subito una crescita del
58%, in quello dai 71 agli 80 anni del 52%; e in quello dagli 81 ai
90 anni del 91%, al di sopra dei 91 anni del 203%.
Dal nostro censimento del 1992 è emersa la presenza di 8.557.000
ultrasessantacinquenni (15%) dell'intera popolazione e di 1.877.000
ultraottantenni (3,2%). Da valutare attentamente è l'aliquota
del 3-4% di non autosufficienti a 65 anni; aliquota che si eleva al
40% negli ultrasessantenni e al 50% circa negli ultrasettantacinquenni.
Disomogenea è la ripartizione nelle nostre regioni. Nel 1951
il maggiore numero di ultrasessantacinquenni era segnalato in Piemonte
(11%) ed il più basso in Campania (6%). Nei due decenni successivi,
al primo posto è balzata la Liguria (16%), rimanendo all'ultimo
sempre la Campania (8%).
La vita media che nel periodo 1910-12 era calcolata intorno a 47 anni,
nel periodo 1970-77 era scesa a 70 anni per gli uomini e a 76 per
le donne; oggi è stimata a 74 anni per l'uomo e a 80 per la
donna.
L'età avanzata viene oggi distinta in:
a) Pre-vecchiaia (dai 50 ai 60 anni)
b) Vecchiaia (dai 61 ai 75 anni)
c) Senilità (dai 76 ai 90 anni) d) Decrepitezza (oltre i 90
anni).
Non tutti i gerontologi condividono tali separazioni cronologiche,
ma le differenze semantiche non mutano la realtà. Che la vecchiaia
cronologica vada distinta da quella biologica è indubbio.
Non condividendo del tutto la corrente definizione che "la vecchiaia
è quella fase ultima della vita caratterizzata da ipotrofia
involutiva dei vari tessuti ed organi con progressiva riduzione e
alterazione della loro attività funzionale, che conduce alla
morte dell'individuo", il prof. L. Condorelli ne formulò
una sua: "la vecchiaia dell'individuo è la vittoria dell'organismo
su tutte le insidie ambientali che ne minacciano la validità
e l'esistenza, contrastandogli il raggiungimento dei limiti di vita
dalla natura assegnati a ciascuna specie". (Il Policlinico -
Sez. Prat., n. 17, 1982).
Le due definizioni, a mio avviso, si integrano, essendo l'una improntata
sul piano morfofunzionale e l'altra sulle multiple noxae esterne sulla
salute, ma in diversa misura, negativamente influenti.
A corroborarlo concorrono anche le parole di Condorelli: "La
vecchiaia biologica, denunciata dall'aspetto senescente, ha limiti
ampiamente variabili da popolazione a popolazione o nella stessa popolazione
da individuo a individuo. Un cinquantenne può avere l'aspetto
e le attività funzionali dei vari organi di un vecchio decrepito
e un ottantenne florido può avere l'aspetto e le attività
funzionali di un sessantenne sano e valido" (Ibidem).
La durata della vita, influenzata da fattori esogeni (ecologici, infettivi,
professionali, uso ed abuso di fumo, alcol, farmaci e droghe, dalla
povertà e dalle condizioni igieniche, da eventi bellici e tellurici,
ecc.) è pressoché imprevedibile. E' giocoforza fare
riferimento ai criteri biostatistici dalle Organizzazioni sanitarie,
nazionali ed internazionali, forniti.
Se l'aumento della vita media premia i progressi medico-scientifici
ed igienico-sanitari, lo stesso esige dallo Stato maggiori impegni
assistenziali e finanziari.
L'assistenza agli anziani deve tenere conto della presenza o assenza
della loro autosufficienza psicofisica, della mono-polipatologia,
della situazione familiare e ambientale, delle condizioni socioeconomiche.
Ne derivano pertanto forme diverse di assistenza:
a) Assistenza ospedaliera;
b) Assistenza nelle pubbliche Residenze Sanitarie, Assistenziali (RSA);
c) Assistenza in day-hospital;
d) Assistenza domiciliare (home-care).
L'ospedalizzazione, per gli alti costi della sua gestione e per le
finalità cui per legge è deputata, dovrebbe essere riservata
ad anziani con affezioni acute o con riacutizzazione di affezioni
croniche. Il tempo di degenza deve essere calcolato caso per caso,
a seconda delle reali condizioni del paziente, onde evitare che posti-letto,
da essi talora per lungo tempo occupati, siano sottratti agli adulti-infermi
da mali acuti e gravi.
Superata la fase acuta, gli infermi-anziani dovrebbero essere trasferiti
in reparti per lungo-degenti o continuare le cure in una Residenza
Assistenziale Sanitaria o in assistenza day-hospital, sempre che motivi
tecnico-sanitari familiari e socio-economici non consentano il ritorno
nelle proprie case.
Il ricovero nelle pubbliche Residenze Sanitarie Assistenziali, oggi
molto di moda all'estero, è scarsamente applicato in Italia.
Di esse recentemente R. Bernabei e A. Cambieri hanno tessuto gli elogi
e documentato i vantaggi (Federazione Medica, n. 6, 1995).
Il decreto del 22-12-1989 parla della RSA come di "una struttura
extra-ospedaliera finalizzata a fornire accoglimento, prestazioni
sanitarie, assistenziali e di recupero a persone anziane prevalentemente
non autosufficienti" precisando che "presupposto per la
fruizione della RSA è la comprovata mancanza di un idoneo supporto
familiare che consenta di erogare al domicilio i trattamenti sanitari
continui e l'assistenza necessaria". Volendo "esprimere
in via sintetica l'esigenza di strutture di RSA di una popolazione
quale la nostra -puntualizzano Bernabei e Cambieri - si può
ritenere accettabile uno standard di posti-letto pari al 4% del totale
degli ultrasessantacinquenni. Tale parametro è del resto coerente
con l'obiettivo di 140.000 posti-letto pubblici in RSA previsti dall'articolo
20 della legge 67/1988" (Ibidem).
Sui requisiti richiesti per la loro ubicazione, dimensioni e standard
strutturali non mi soffermo esorbitando dal tema. Ne riporto però
il fabbisogno del personale ed i benefici materiali ed immateriali,
rispettivamente nelle Tabelle 1 e 2.
Valutando le diverse esigenze ed attività di una struttura
geriatrica assistenziale, "il costo effettivo di ogni giornata
di ricovero prodotto dovrà tendenzialmente risultare - concludono
gli stessi AA. - tra le 120.000 e le 150.000 lire" (Ibidem).
Non v'è chi non veda l'enorme discrepanza con la diarea di
un ospedale, aggirantesi tra le 700.000 e le 900.000 lire!
E' da considerare inoltre che strutture come le RSA eviterebbero ed
evitano la proliferazione di pseudo-analoghe strutture private, talvolta,
come dalla stampa più volte è emerso, autentici lager,
fondamentalmente a scopo speculativo create.
Dell'assistenza in day-hospital e domiciliare (home-care) mi sono,
in un precedente articolo, occupato evidenziando le ragioni per una
loro incentivazione e maggiore applicazione.
L'assistenza in day-hospital (cioè quella diurna in ospedale),
quando applicabile per alcune categorie di malati e patologie, presenta
vantaggi di non trascurabile importanza sul piano psicologico ed economico.
L'anziano-malato è talora ostile o restio e rifiuta l'ospedalizzazione;
non vuole allontanarsi dal focolare domestico; non gradisce un cambiamento
d'ambiente dove incontrerebbe persone nuove (personale sanitario,
parasanitario ed esecutivo) delle cui capacità professionali,
comprensione e solidarietà non è convinto o diffida.
Ambiente che lo priverebbe anche della sua privacy.
Nell'articolo ebbi a scrivere anche che: "Il paziente che sa
di rientrare seralmente a casa, dopo l'osservazione clinica, le varie
indagini diagnostiche e le cure da parte delle stesse équipes
dei reparti cui sarebbe stato destinato, è indotto a giudicare
il suo male transitorio, di non preoccupante entità".
(Il Leccio, n. 1, 1990).
L'assistenza in day-hospital comporta un minore aggravio finanziario
da parte delle AUSL in rapporto, elettivamente, alla riduzione dei
posti-letto e dei ricoveri ordinari ospedalieri, della durata media
di degenza, della possibilità ed opportunità di utilizzare
reparti chiusi o in via di chiusura e con scarso afflusso di malati,
ma con costante organico di personale, le attrezzature e gli apparecchi,
talora di alto ed altissimo costo, di rapida obsolescenza e superamento
tecnologico, parcheggiati o poco impiegati. La Direzione Generale
per la Programmazione Sanitaria del Ministero della Sanità
dettò a suo tempo chiare normative;
a) S'intende per day-hospital il ricovero effettuato da divisioni
e sezioni o servizi ospedalieri per fini diagnostici e/o curativi
e/o riabilitativi.
b) E' limitato ad una sola parte della giornata.
c) Fornisce prestazioni multiprofessionali e/o plurispecialistiche,
che necessitano, quindi, di un tempo di esecuzione che si discosta
in modo netto da quello necessario per una normale prestazione ambulatoriale...
Il D.M. del 19 marzo 1988 ha ribadito tali concetti, apportando ulteriori
contributi per una più razionale utilizzazione.
Ma quale percentuale di posti-letto è da ritenersi adeguata
all'assistenza in day-hospital?
"A titolo indicativo e sulla base delle attuali condizioni operative,
sia italiane che di altri Paesi, si può dire - asseriscono
Guzzanti e Coll. -che almeno il 10% del totale dei posti-letto potrebbe
essere considerato, almeno inizialmente, come la quota di posti-letto
in day-hospital da definire equivalenti" (Federazione Medica,
n. 6, 1989).
Solo poche righe sulla home-care (che estrapolo dal citato mio articolo),
sull'assistenza, cioè, domiciliare che è "per motivi
tecnopratici riservata ad una sparuta quota di pazienti (almeno nell'attuale
situazione sanitaria); da non sottovalutare però per le stesse
ragioni, d'indole psicologica, economica ed umanitaria, ritenute valide
per l'assistenza in day-hospital. Essa richiede, oltre ad una preventiva
valutazione e prescrizione medica, la formazione di équipes
affiatate ed addestrate alle funzioni specifiche di medici, infermieri,
assistenti sociali e personale volontario e la disponibilità
di servizi e mezzi di rapida comunicazione e di tele-allarme; nonché
un persistente collegamento tra il curante ed i colleghi ospedalieri
del reparto del quale l'infermo è stato ospite o appena dimesso".
Fondamentale per un prolungamento di una vecchiaia fisiologica e per
il contenimento involutivo di quella patologica è la previdenza.
"Invecchia bene colui - scrive C. Vergani - ha vissuto saggiamente
nella prima fase della vita. La prevenzione è il cardine della
medicina moderna e l'anziano va valutato non solo sotto l'aspetto
biologico ma anche tenendo conto delle sue caratteristiche psichiche
e del contesto sociale in cui vive". (Riv. Med. Prat., Gerontologia,
n. 65, 1994).
Le Tabelle 3 e 4 evidenziano gli effetti negativi del pensionamento
e le attuali condizioni critiche degli anziani. Effetti e condizioni
che, per la loro prevenzione, sollecitano e richiedono, accanto all'opera
professionale dei medici di base, generici, ospedalieri, soprattutto
quella dei gerontologi, psicologi, personale dei servizi sociali e
del volontariato; oltre, ovviamente, ad impegni finanziari, leggi
e norme adeguate.
"E' tutta da realizzare l'asserzione per cui l'anziano che si
avvia al pensionamento merita ormai, dopo una vita dedicata al lavoro,
il tanto sospirato lavoro ed una vecchiaia tranquilla e serena...
La maggior parte degli anziani -scrivono F. Paternò Raddusa
e Coll. - vive nell'ozio e nella solitudine, trascorre le ore della
sua giornata osservando la triste e rigida ritualità dei suoi
momenti, l'ora dei pasti, le piccole passeggiate, la visita di un
amico o di un parente. I presupposti di svaghi, viaggi, attività
sociali si infrangono contro una barriera rappresentata da una diminuita
efficienza fisica, da difficoltà economiche, familiari ed ambientali...
l'anziano deve riappropriarsi del tempo libero, non sprecare gli anni
sottratti alla morte e alle malattie nell'ozio e nella noia"
(Riv. Med. Prat., Gerontologia, n. 28, 1989).
I Centri polivalenti per anziani, con le loro molteplici attività,
possono e devono contrapporsi a vieti pregiudizi, stimolando gli anziani
a fare propri i principii dalla Assemblea Generale delle Nazioni Unite
(risoluzione 46/91) adottati. Agli "addetti ai lavori" il
compito di farli conoscere e rispettare.
L'esercizio fisico (in motu vita) e il lavoro intellettuale attivano
le funzioni muscolari e cerebrali, stimolando i processi anatrofici
e rallentando quelli catatrofici, peculiari del metabolismo senile.
Condorelli non è tenero con alcuni colleghi quando scrive:
"Malauguratamente quei medici che sotto la suggestione della
teoria che considera la vecchiaia malattia da usura prescrivono il
riposo come rimedio-profilassi specifico dei danni della vecchiaia
si rendono inconsapevolmente responsabili dell'invecchiamento precoce
di chi segue i loro sconsiderati consigli" (Ibidem). Magistrale
reprimenda!
"In una società industrializzata ed egemonizzata dal mito
della produzione e del successo e della competizione senza scrupoli,
l'anziano - afferma il gerontologo V. Lumia - è un peso morto
non solo perché non produce ma perché ha bisogni da
soddisfare, che (impropriamente) si considerano a carico di coloro
che lavorano ... " (in Elementi di Assistenza Geriatrica, - Ed.
NIS, - Roma). La società civile (?) ignora che gli anziani
di oggi furono gli adulti di ieri e che gli adulti di oggi saranno
gli anziani di domani! Ogni alba ha il suo tramonto.
Non si considerino gli anziani, autosufficienti e non, rami secchi,
parassiti della società e reietti da ghettizzare, esigenti
e antieconomici perché improduttivi. Si pensi a ciò
che essi hanno fatto, a quanto per chi ed in quali condizioni e situazioni
hanno lavorato; alla loro proverbiale saggezza, alla loro voglia di
essere ancora fisicamente e intellettualmente utili con la loro esperienza,
intelligenza, arte e cultura con cui, sani o malati, hanno arricchito
ed illuminato vasti campi o settori dell'immenso scibile.
Tessendo l'elogio della vecchiaia, l'insigne gerontologo Francesco
M. Antonini ha scritto: "Molti più vecchi, ma molto più
malati. Esistono però anche esempi, sempre più numerosi,
di vecchi sani, cioè normali, che proiettano la vita naturale
verso infiniti orizzonti dei grandi spazi, di un mondo che, evolvendo,
scorre senza fine. L'elogio della vecchiaia è far conoscere
questi normali, i migliori, gli esploratori, i vincitori cioè
della vita sulla morte". (Riv. Med. Prat., Gerontologia, n. 36,
1990).
La comprensione, la gratitudine ed una umana solidarietà anche
per l'appagamento e serenità della nostra coscienza li accompagnino
nel breve o lungo viaggio del non ritorno.