§ SCENARI DI FINE MILLENNIO

INCUBO LAVORO




Edward Luttwak



" Un manager deve possedere grandi capacità per sopravvivere nell'attuale panorama di ristrutturazione delle imprese. Per questo motivo un numero sempre crescente di lavoratori adulti si rivolge alla nostra Scuola che, con meno di tre ore di corso alla settimana, insegna tutti i segreti e i trucchi per sopravvivere nel mondo degli affari". E' la pubblicità del corso della Scuola di Gestione e Tecnologia dell'Università del Maryland, apparsa sul quotidiano Washington Post nel luglio 1994. L'annuncio si dilunga occupando mezza facciata del giornale, però senza mai suggerire che i "lavoratori adulti" potrebbero, iscrivendosi alla Scuola, migliorare la propria carriera, ottenere una promozione oppure aumentare il proprio stipendio, temi classici di analoghe pubblicità del passato. Il committente dell'annuncio, evidentemente, ritiene che sopravvivere nel proprio lavoro, cioè non perderlo, sia già un obiettivo sufficientemente ambizioso.
L'insicurezza economica è improvvisamente diventata il fenomeno centrale negli Stati Uniti. E questo non soltanto per le categorie notoriamente a rischio, come i manager di medio livello, vittime principali dell'attuale moda di ristrutturare e di ridimensionare. Tutti i lavoratori americani sono potenzialmente minacciati, tranne gli impiegati statali: una ragione in più per chiarire la popolarità dei provvedimenti tesi a ridurre la burocrazia governativa.
Dopo avere scelto George Bush per poi licenziarlo quando costui dimostrò di essere completamente all'oscuro del problema; dopo aver votato Bill Clinton, che parlava come se capisse perfettamente la situazione, per poi rinnegarlo quando la sua politica incominciava ad andare verso un'altra direzione, l'elettorato americano ha concesso un biennio ai repubblicani del Congresso per verificare se siano consapevoli di questa realtà e se siano in grado di proporre validi rimedi.
La ripresa economica, portatrice di crescita e di nuovi posti di lavoro, non riesce ad attenuare i timori dei singoli individui legati all'insicurezza economica. La possibilità di trovare un altro lavoro, magari in un'altra città, e con un salario presumibilmente inferiore, non è di grande conforto per chi teme per il proprio posto di lavoro. Che cosa ci sia dietro questi timori è chiaro: nell'attuale economia americana, liberata dai meccanismi di controllo, rivoluzionata dall'innovazione tecnologica e sempre più aperta alla concorrenza internazionale, nessuna impresa, e certamente nessun posto di lavoro o attività indipendente, possono considerarsi al sicuro, per quanto positivi siano i dati complessivi.
E' ovvio che per introdurre nuove strutture organizzative e metodi di lavoro più efficaci occorre prima liberarsi di quelli obsoleti. Quello che è nuovo rispetto al passato è l'accelerazione dei cambiamenti strutturali in ogni fase della crescita economica. L'ascesa e il declino di competenze professionali, società e interi settori industriali si alternano rapidamente anche quando la crescita è uguale a zero; a maggior ragione quando l'economia tira. In questo processo, agli individui più intraprendenti oppure più dotati vengono offerte maggiori opportunità di rapido arricchimento di quanto sia mai accaduto in passato, e anche piccole società possono ambire a favolosi profitti: la Microsoft, nata nel 1975 e diventata oggi una megamultinazionale, ne è un esempio classico.
Nello stesso tempo, però, la maggioranza delle persone meno intraprendenti o meno dotate subisce non solo l'insicurezza dovuta ai cambiamenti radicali avvenuti nel mondo del lavoro, ma anche una riduzione del reddito che hanno guadagnato negli ultimi venti anni. Un fenomeno quest'ultimo, profondamente demoralizzante nel Paese del sogno americano. E i repubblicani dello slogan "Valori della famiglia" avrebbero dovuto riconoscere che i lavoratori e interi settori dell'industria hanno sopportato sconvolgimenti più profondi di quanto il tessuto connettivo di molte famiglie, quartieri e comunità fosse in grado di affrontare.
Al momento, soltanto pochi palco conservatori hanno riconosciuto questo legame. L'equazione: forte mobilità del lavoro e più alta proporzione di coppie lavoratrici uguale crisi della famiglia sembra abbastanza semplice. Eppure, nel classico messaggio repubblicano in due parti, la prima parte continua a celebrare le virtù di una crescita economica sempre più dinamica, alimentata dagli incentivi fiscali, dal progresso tecnologico e dal libero mercato, mentre la seconda parte deplora il declino dei valori della famiglia e della comunità, frutto esattamente delle continue dislocazioni provocate dalla situazione economica in rapida crescita.
Nessuno può negare che il muschio delle relazioni umane cresce meglio fra le pietre della stabilità economica piuttosto che tra le sabbie mobili dei cambiamenti nell'economia, anche se questi portano in alcuni casi a un veloce arricchimento La contraddizione evidente al centro di quella che è diventata l'ideologia di base dei repubblicani (valori della famiglia e dinamismo della crescita economica) è stata, fino a questo momento, largamente ignorata. In ogni caso, non è il partito democratico, così come si presenta oggi, a beneficiare di questa contraddizione degli avversari.
Entrambi i partiti promettono crescita economica grazie alla magia di un'economia dinamica e liberale. Ma quello che molti lavoratori americani sembrano desiderare non è un lavoro migliore o un salario più elevato grazie alla crescita, ma maggiore sicurezza per il lavoro e il reddito di cui già dispongono. Un vasto segmento del panorama politico, quindi, non è coperto né dal messaggio contraddittorio dei repubblicani né dall'assistenzialismo dei democratici. Questo è stato lo spazio occupato durante le elezioni del 1992 da Ross Perot. E questo è lo spazio che i repubblicani lasceranno nelle mani di un altro candidato, indipendente, se non affronteranno il problema della sicurezza economica delle persone non oltre il 1996.
Forse la causa più ovvia dell'accelerazione dei cambiamenti strutturali è la diminuzione dei meccanismi di controllo del governo. In realtà, il numero totale delle norme continua ad aumentare, ma i dispositivi commerciali, diversamente da quelli sanitari, di sicurezza, ambientali e antidiscriminatori, sono sicuramente diminuiti, e continuano a diminuire. In questo modo, concorrenza ed efficienza continuano a crescere: le imprese un tempo protette debbono affrontare tutti i pericoli del mercato, e lavoratori un tempo garantiti non lo sono più.
Le compagnie aeree americane sono, da questo punto di vista, un caso esemplare. Quando il settore era ancora rigidamente disciplinato, con rotte assegnate e tariffe prefissate, le compagnie mediamente inefficienti e in esubero erano molto redditizie e potevano presentarsi come clienti solvibili all'industria aeronautica. Oggi, al contrario, la maggior parte delle compagnie aeree è vicina o ha raggiunto la bancarotta; bancarotta che si cerca di evitare tagliando i costi all'estremo (lo standard del servizio è crollato) e con disperati espedienti commerciali. Quasi tutte le compagnie hanno imposto riduzioni di stipendio o licenziato molti dipendenti, mentre pagano molto, molto di più i propri dirigenti. Questo, perché il potere decisionale è passato dalle mani del governo a quelle di acrobatici tycoon. E le compagnie superstiti offrono tariffe nazionali talmente ridotte che molti americani a reddito medio-basso viaggiano abitualmente in aereo. La liberalizzazione delle compagnie aeree ha poi destabilizzato l'industria aeronautica. Gli apparecchi vengono utilizzati fino a quando non sono da buttare e le commesse disdette sono molto frequenti.
In generale, la regolamentazione del mercato delle compagnie aeree serviva gli interessi degli americani intesi come produttori. Ora è l'inverso. Da un punto di vista strettamente economico, la maggiore efficienza delle compagnie potrebbe giustificare la liberalizzazione. Ma da un punto di vista sociale questa compensazione non avviene. Con i suoi posti di lavoro sicuri e ben remunerati, l'industria aerea di un tempo contribuiva alla stabilità sociale. Al contrario, la caotica incertezza delle compagnie di oggi ha un effetto distruttivo sulle famiglie.
Si può facilmente intuire che le perdite sociali superano i guadagni economici in molti casi, e in tutti i settori. Gli effetti negativi sono numerosi:
1) la perdita dei colleghi di lavoro causata dalla mobilità professionale;
2) la perdita di legami comunitari, compresi i bambini strappati dal loro quartiere e dalla loro scuola, una delle cause riconosciute della delinquenza giovanile;
3) l'impatto psicologico dell'instabilità economica e dell'insicurezza sugli individui e sui matrimoni.
Un'altra causa evidente dell'accelerazione dei mutamenti strutturali è di natura tecnologica: l'improvvisa computerizzazione del lavoro d'ufficio. A lungo rinviata, negli Anni Ottanta l'informatizzazione è diventata una realtà quasi universale. Di conseguenza, nelle industrie americane i colletti bianchi sono ora esposti ai licenziamenti di massa e alla diminuzione delle prospettive di carriera che un giorno erano appannaggio dei soli colletti blu.
I consulenti di gestione aziendale blaterano di "riorganizzare l'impresa", ma l'economia reale su cui si basa Wall Street non è quella dei consulenti, ma piuttosto quella delle segretarie licenziate e sostituite da dispositivi vocali elettronici, delle dattilografe scalzate dalla videoscrittura e delle archiviste rimpiazzate dalle banche dati con la conseguente eliminazione dei loro diretti superiori e dei manager di medio livello che ne controllavano il lavoro. L'innovazione tecnologica favorisce certamente la nascita di nuove professioni, più interessanti dell'archiviazione e della stenografia, e decisamente meglio retribuite. Ma il declino costante della retribuzione media è ormai dimostrato e colpisce tutti gli impiegati. E la scomparsa di lavori modesti non è compensata dall'aumento di professioni stimolanti legate alle nuove tecnologie. I mutamenti strutturali provocati dall'arrivo delle nuove tecnologie contribuiscono a migliorare l'efficienza dell'economia aumentando la ricchezza complessiva. Anche se in sostanza impoveriscono i dipendenti.
Se si mantiene costante il valore del dollaro nel 1982, si nota che il salario orario di un impiegato è diminuito costantemente: 8,40 dollari nel 1978; 7,7 nel 1985; 7,5 nel 1990; 7,4 nel 1994; qualche cent sopra 7 nel primo semestre 1996. In questo quadro, è interessante analizzare l'opinione ormai diffusa secondo cui i bassi stipendi americani sono preferibili all'alto tasso europeo di disoccupazione. Se ci si concentra sull'impiego e non sulla disoccupazione, si nota come sia molto più conveniente per le società americane pagare undici dollari orari di salario medio a 94 impiegati su cento (calcolando così un tasso di disoccupazione del 6 per cento) che non i 15-20 dollari orari degli impiegati tedeschi, a cui si aggiungono i fringe benefit, sborsati dalle aziende a novanta impiegati su cento (con un tasso di disoccupazione del 10 per cento).
Ma la causa più ovvia, e forse la più importante, dei rapidi mutamenti avvenuti è la cosiddetta globalizzazione dell'economia americana. Globalizzazione significa che le vendite di prodotti statunitensi possono espandersi ben al di là dei confini nazionali. E, ovviamente, che la produzione americana di molti beni e servizi, e i relativi posti di lavoro, possono essere dislocati in aree dai costi inferiori.
La globalizzazione di per sé non determina il livello salariale americano. Il lavoratore statunitense che si trova a competere testa a testa con un indiano nella sua stessa posizione viene pagato in base alla domanda e all'offerta per le sue competenze esistenti sul mercato del lavoro Usa, non di quello dell'India. Ma è indubbio che la globalizzazione ha portato e continua a provocare mutamenti massicci e destabilizzanti nell'economia. L'industria tessile, per esempio, ha perso più di un milione di posti di lavoro e i lavoratori sono costantemente minacciati dalla possibilità di importare manodopera più economica.
Nei dibattiti politici, la crescita della ricchezza complessiva degli americani, anche se iniquamente distribuita, giustifica tutte le misure tese a intensificare il processo di globalizzazione. Su questo punto sembra esserci un perfetto consenso tra le correnti moderate dei partiti democratico e repubblicano. Ma se si considera il bisogno psicologico e pratico di intere famiglie e comunità di un ragionevole grado di stabilità economica, criteri molto diversi si applicano alla globalizzazione e alla liberalizzazione.
Sono questi i criteri per cui il Giappone ha resistito fermamente alla globalizzazione e alla liberalizzazione della propria economia. I mediatori americani possono continuare a decantare i meriti del libero mercato e della libera concorrenza. L'obiettivo delle barriere tariffarie giapponesi è precisamente quello di proteggere la società nipponica dagli effetti destabilizzanti della concorrenza, nazionale o internazionale. Di conseguenza i giapponesi, intesi come consumatori, pagano tutto molto caro, ma i giapponesi intesi come produttori godono dei vantaggi della sicurezza economica personale.
Il visitatore americano nota immediatamente il carattere pacifico della società giapponese, l'assenza di quella rabbia serpeggiante che è diventata una caratteristica inquietante, e a volte letale, della sua realtà sociale. Si potrebbe pensare che questo stato di calma sia dovuto all'omogeneità della popolazione nipponica o al suo atavico senso della disciplina. Non è così: prima che la burocrazia giapponese stabilizzasse l'economia con provvedimenti regolatori, il Paese ha conosciuto ondate di scioperi violenti, assassinii politici e dimostrazioni di massa spesso degenerate in guerriglie urbane.
Il sistema nipponico sacrifica costantemente l'efficienza, e il consumatore ne paga il prezzo. E' un fatto appurato che l'attuale standard di vita giapponese è in media molto più basso di quello americano, anche se il reddito medio dei giapponesi è sostanzialmente più elevato. Questa però è una mezza verità, che non tiene conto dei riflessi sociali.
Quando ci si ferma al distributore di benzina in Giappone, tre o quattro giovani inservienti sottopagati si affrettano a pulire i vetri, a controllare pneumatici e olio, oltre a fare rifornimento. Il servizio è eccellente e il prezzo molto alto. La burocrazia giapponese, per mantenere i posti di lavoro, vieta i distributori self-service e fissa il prezzo della benzina, obbligando i distributori a farsi concorrenza con servizi di altro genere. In America, invece, ognuno può riempire la propria tanica a un prezzo minore e non deve pagare lo stipendio di tre o quattro inservienti.
Qui si fermano gli economisti: i consumatori giapponesi sono sfruttati, mentre il libero mercato garantisce agli americani la benzina a un prezzo inferiore. In realtà, però, il consumatore americano deve comunque pagare per quei tre o quattro giovani inservienti che non sono occupati dal distributore di benzina. L'assicurazione della vettura è elevata a causa dei loro atti di vandalismo, le tasse sono alte per far fronte ai costi di polizia, tribunali e prigioni e ai contributi sociali. Nulla garantisce che quei giovani accetterebbero il lavoro al distributore, se fosse disponibile.
Ma quel che è certo è che il governo giapponese fa in modo che esistano opportunità di lavoro anche per i giovani meno dotati, mentre negli Stati Uniti questa possibilità non c'è, poiché nulla deve ostacolare l'efficienza del libero mercato. Attualmente, anche la burocrazia giapponese pensa alla liberalizzazione dell'economia.
Ma i repubblicani dovrebbero comunque tenere a mente il modello nipponico. Se anche loro non riusciranno a soddisfare l'esigenza di sicurezza economica, se penseranno soltanto alla crescita con l'inevitabile carico di destabilizzazione sociale, l'elettorato si affiderà a qualunque candidato indipendente si presenti. Anche soltanto per esprimere ancora una volta il proprio malcontento.


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