§ PORTO FRANCO

IL NODO SANITA'




Gianni Ludovisi



La crisi dello Stato sociale sta riproponendo lo stesso copione in tutti i Paesi sviluppati. Le esauste finanze pubbliche, il rigetto dei contribuenti spremuti fino a metà dei propri redditi, e anche oltre, l'aumento della speranza di vita e dei costi di cura a fronte della contrazione delle generazioni produttive, stanno costringendo i governi a rivedere e tagliare sistematicamente i programmi di copertura universale. Ecco un elenco, non esaustivo, degli sviluppi più recenti.
Negli Stati Uniti Bill Clinton è stato costretto a rinunciare alla riforma sanitaria, uno dei cardini del programma che lo portò alla Casa Bianca.
Non solo, la popolarità dei temi della campagna elettorale repubblicana lo sta spingendo a rivedere in chiave restrittiva i programmi di assistenza sociale.
In Spagna, i tagli al bilancio pubblico di 200 miliardi di pesetas varati dal governo si rivolgono proprio alla spesa assistenziale e previdenziale; alcune fonti ipotizzano addirittura che la manovra effettivamente necessaria dovrebbe essere di ben 400 miliardi di pesetas. In Francia, il governo si propone di tagliare nel 1997 la spesa pubblica del 2 per cento in termini reali.
In Germania, Helmut Khol, ricandidandosi al quinto Cancellierato, ha fatto precedere questo atto da un impopolare, ma necessario, taglio dei fondi previdenziali e assistenziali di 50 miliardi di marchi.
In questo stesso orizzonte si inquadra la manovra italiana. Con le pensioni temporaneamente fuori dal mirino, per non compromettere una riforma (ritenuta insufficiente ma nella direzione giusta) da potenziare, la Sanità è invece al centro di un nuovo "caso". Ce l'ha portata chi, cercando di resistere ai tagli chiesti da Carlo Azeglio Ciampi, ha avanzato la proposta di un piccolo contributo sanitario (1-2 per cento) sui redditi dei pensionati. E' stata l'ennesima "puntura di spillo", cui gli animi dei contribuenti, per l'occasione accesi anche dalla stampa, si sono ribellati.
Non staremo a valutare se il contributo sia o meno necessario e se sia o meno equo. Ci sembra, piuttosto, che la moltiplicazione delle iniziative fiscali per chiudere uno alla volta i buchi che continuano ad aprirsi con costante puntualità finisca con l'esasperare i cittadini, senza risolvere i problemi.
Il punto è che, come ha ricordato Giulio Tremonti, "la coperta dello Stato sociale è troppo stretta", e non può più coprire tutti. Né vi sono più cittadini disponibili a fornire nuova lana (cioè nuove tasse) per ingrandirla. Bisognerebbe, quindi, mettersi l'animo in pace e decidere finalmente chi deve restare scoperto, e di quanto. Senza una decisione di questo genere, continueremo ad assistere a un tiro alla fune senza soluzione di continuità tra le diverse categorie, dalle cui liti cercheranno di trarre vantaggio vari cacciatori di consenso: partiti, gruppi politici, sindacati, media.
Il metodo più equo ed efficace per ricondurre la copertura sanitaria universale (non più assicurabile a tutti) a una copertura razionale e sostenibile è quello dell'applicazione delle franchigie. Milioni di famiglie le sottoscrivono e le accettano quando si tratta delle proprie assicurazioni private, quindi non dovrebbero affatto scandalizzarsi se anche le assicurazioni pubbliche cominciassero ad adottarle. In termini pratici, si tratta di definire quale porzione del reddito familiare possa essere destinata alla spesa sanitaria, senza che ciò incida sensibilmente sul tenore di vita.
In prima ipotesi, sarebbe concepibile una franchigia "zero" per i redditi minimi (per esempio, quello equivalente al salario minimo contrattuale di un operaio generico dell'industria). Quindi, una franchigia del 2,5 per cento del reddito per le famiglie con redditi medi e una del 5 per cento per le famiglie più abbienti. Ovviamente, questi calcoli sono puramente indicativi, e dovrebbero essere verificati con serie indagini statistiche, che suggeriremmo senz'altro al ministro della Sanità.
Come funzionerebbe il meccanismo? E' piuttosto semplice: il primo gennaio ogni famiglia riceverebbe la comunicazione dal Servizio sanitario nazionale (che dovrebbe accedere ai computer dell'anagrafe tributaria) della franchigia assegnatale. Il capofamiglia ne prenderebbe nota e, da allora, i suoi membri pagherebbero ogni prestazione sanitaria usufruita presso le Usl o le unità convenzionate. In caso di mancanza temporanea di liquidità, si può immaginare un meccanismo che, con un aggravio per le spese e gli interessi, provveda a riscuotere le tariffe in modo dilazionato, attraverso le banche concessionarie dell'esenzione dei tributi. La famiglia dovrebbe conservare le ricevute di pagamento e, totalizzata la somma della franchigia cui ha diritto, si recherebbe alla Usl: il funzionario addetto controllerebbe e ritirerebbe la documentazione, rilasciando contestualmente per ogni membro della famiglia una carta di libero accesso ai servizi sanitari.
I vantaggi di un sistema come questo sarebbero molteplici:
- sarebbe indifferente alla forma di reddito da cui trae sostentamento la famiglia, eliminando la discriminazione tra ricchi pensionati (che non pagano contributi) e salariati minimi (che li pagano);
- sarebbe elastico all'aumento del Pil e non richiederebbe revisioni periodiche: la "coperta" infatti si stringerebbe senza bisogno di aumentare le percentuali di franchigia, a mano a mano che si registrasse una crescita del reddito nazionale;
- salverebbe il principio della copertura universale dei cittadini, sacrificando quello della copertura universale dei rischi, ma stabilendo il principio che solo i rischi sostenibili individualmente devono restare a carico effettivo degli individui;
- permetterebbe di rimodulare i ticket diventati nel tempo troppo alti per semplici ragioni di cassa e che, anziché disincentivare gli sprechi, oggi deviano la spesa verso i centri privati, senza che quelli pubblici riducano però i propri costi di attrezzature e di personale;
- sarebbe completamente automatizzabile, introducendo l'uso di chip-cards contenenti tutti i dati per una gestione pressoché paperless dell'intero processo;
- chiuderebbe l'infinita serie di aumenti di tariffe, ticket, tasse e contributi che molestano e opprimono i contribuenti;
- potrebbe addirittura aumentare la libertà di scelta degli individui e risultare più attraente di un sistema "tutto gratuito", se si accordassero, su basi matematiche rigorose, sconti contributivi in cambio della scelta di franchigie più elevate di quella di base;
- infine, il sistema potrebbe essere adottato nel quadro di un riordino dell'economia sanitaria nazionale che comprendesse anche i meccanismi di efficienza e di responsabilità della spesa, afflitta dal problema della scissione tra chi tassa (lo Stato e l'Inps) e chi spende per la sanità pubblica (le Regioni e le Usl). Se, nel dirimere questa questione, che entra in qualche modo nella riforma in senso federale e del fisco, si adottasse anche un sistema equo e razionale di franchigie, avremmo fatto un progresso sostanziale rispetto all'attuale stato di ripetuto, periodico e prevedibile dissesto della Sanità italiana.


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