§ ENTI NON-PROFIT E VOLONTARIATO

MODELLO ETICO O SPORTELLO DI STATO?




Claudio Alemanno



Nel gergo politico si trovano talvolta parole che caratterizzano un'epoca. Così l'impegno di tipo ideologico e razionalistico degli anni 60-70 e lo sdegno odierno, concepito come teorema giustizialista e macchina letteraria di contestazione globale. Così per un futuro possibile la parola regno che potrebbe imporsi attraverso un catechismo restauratore o più semplicemente con la voglia di democrazia blindata.
Se dalle mode fugaci del linguaggio dei media si passa alla pratica legislativa si nota invece una costante, pertinace, univoca determinazione politica: occupare attraverso le burocrazie centrali e periferiche ogni forma organizzata di vita collettiva.
La legge-quadro sul volontariato, nata quando i percorsi legislativi erano ancora regolati dal vecchio orario ferroviario, è un prodotto emblematico di questa visione manichea della politica italiana. Si sollecita il miracolo economico del capitalismo privato e si licenziano leggi interventiste. Si chiede a gran voce l'antitrust per TV e carta stampata e si opera senza scalfire le posizioni dominanti del capitalismo di Stato (le privatizzazioni attuate finora hanno la stessa valenza dei condoni, servono a drenare denaro dal risparmio privato ma non alterano i consolidati equilibri della geografia economica).
Nell'attuale situazione di stallo gli enti non-profit costituiscono l'unica incognita da seguire con interesse. Essi possono dare al sistema nuovo dinamismo, occupando gli spazi lasciati vuoti dallo Stato e dal Mercato. Se poi si considera che il volontariato si contraddistingue già per un notevole impegno assunto nei settori dell'assistenza e della protezione civile, si comprende l'interesse riservato al suo assetto legislativo e più in generale alle connessioni ch'esso presenta con il variegato mondo del non-profit.
Già esistono obblighi legislativi che hanno creato circuiti finanziari tra le fondazioni impegnate nel settore del credito e le organizzazioni del volontariato. A tale scopo è stata prevista "la costituzione di fondi speciali presso le regioni al fine di istituire, per il tramite degli enti locali, centri di servizio a disposizione delle organizzazioni di volontariato e da questi gestiti, con la funzione di sostenere e qualificarne l'attività" (art. 15 Legge 11.8.1991). Ancora un'invenzione ancien régime per trasformare le confraternite di S. Vincenzo in confraternite di Templari.
Se a questo si aggiunge l'istituzione dell'Osservatorio nazionale per il volontariato già operante presso il Dipartimento degli affari sociali e l'istituzione di Registri generali per le organizzazioni di volontariato tenuti da Regioni e Province autonome si ha un panorama completo della fervida progettualità "burocratica" che ha animato l'opera razionalizzatrice del legislatore.
Certo non si può pensare ora di abrogare una legge che nel tentativo di mettere ordine qualche merito pure lo ha. Però si può fare molto per rendere più "aziendali" e coordinati i nuclei di gestione delle diecimila organizzazioni dedite al volontariato e più trasparente e mirato l'impiego del denaro pubblico erogato attraverso l'Osservatorio e le convenzioni con le Usl e le autonomie locali. Inoltre valutazioni di fonte bancaria stimano tra i 2.000 e i 3.800 miliardi gli utili derivanti dalle privatizzazioni realizzate nel settore del credito che le fondazioni da poco costituite potranno destinare nel prossimo futuro ad investimenti sociali.
Dunque dall'epoca eroica dei pionieri occorre passare alla logica delle "economie di scala". I progetti finanziati vanno affidati a nuclei operativi professionali la cui gestione dovrà essere valutata con i risultati conseguiti e le analisi di bilancio. Nel settore non-profit ciò richiede metodologie particolari perché non si ha come riferimento un valore di scambio bensì la valutazione dei servizi resi.
Proprio il duplice ruolo che le fondazioni bancarie avranno, nel non-profit e nel controllo della proprietà degli istituti di credito, alimenta un dibattito istituzionale di indubbio interesse. Le intenzioni iniziali del legislatore erano piuttosto modeste. La legge Amato (218/90) ed il decreto legislativo 356/90 avevano semplicemente individuato nel rapporto dialettico banca-fondazione lo strumento tecnico che consentiva la trasformazione in SpA dell'azienda bancaria. I compiti istituzionali della fondazione riguardavano soltanto la gestione delle partecipazioni ad essa conferite, restando escluso ogni suo coinvolgimento nell'attività creditizia.
I confini angusti e circoscritti assegnati alla fondazione hanno di fatto bloccato il processo delle privatizzazioni nel settore del credito fino a quando gli ostacoli maggiori non sono stati rimossi (legge 474/94). Ciò ha consentito di compiere le prime privatizzazioni di settore che tuttavia non sembrano riscuotere tra i privati larghi consensi. Un esempio per tutti. Con solerte impegno riformatore le 76 Casse di risparmio si sono trasformate in SpA e gli enti che ne controllano la proprietà detengono a tutt'oggi l'84% del capitale mentre solo una quota pari all'8% è stata acquistata dai privati. Ciò non esclude che tali enti possano utilizzare le cospicue risorse disponibili per i propri fini istituzionali (dovrebbero operare in forma d'impresa ma non hanno ancora organizzazione e veste tecnico-giuridica adeguate).
Ovviamente, l'incremento della vendita titoli ai privati accrescerebbe la loro liquidità e quindi gli impieghi nella cultura e nel sociale. Un primo esame sui rendiconti di 44 fondazioni (Fonte: Newfin-Università Bocconi) ha evidenziato la tendenza ad immobilizzare il patrimonio nell'attività bancaria (circa il 90%, con redditività modesta). Le erogazioni effettuate impegnano il 28% dei ricavi mentre gli accantonamenti a riserva risultano pari al 68%. Si respira dunque un'aria di prudente attesa, di riflessione sulle potenzialità di sviluppo percorribili. Sotto la spinta di questa complessa tematica e delle più generali istanze di riordino avvertite per tutte le istituzioni di carattere privato (fondazioni, associazioni, comitati, ecc.) il dibattito in corso investe a tutto campo la normativa che regola questa materia.
Sulla scia di quanto già da tempo è stato sperimentato con successo nella realtà tedesca con il riconoscimento alle fondazioni della capacità giuridica per l'esercizio di attività d'impresa. E con riferimento anche alla "Not-For-Profit Corporation Law" in vigore negli Stati Uniti. Questa legge consente alla "Corporation" ampia liberalità nell'organizzare e perseguire i fini istituzionali, ma contiene seri strumenti di controllo per assicurare la corretta gestione dei fondi (pubblici, privati, misti) e il rispetto delle finalità sociali.
Il nostro Codice Civile del 1942, proponendo la distinzione tra associazioni riconosciute e non, faceva discendere dall'atto concessorio della personalità giuridica un riconoscimento normativo che sottintendeva una valutazione "politica" delle prerogative e delle finalità perseguite dalle istituzioni riconosciute. Questa discriminante valutazione di merito è stata superata con l'entrata in vigore della Carta costituzionale del 1947. L'art. 2 "riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità ...",e quindi elimina le disparità implicite nella normativa civile.
L'attuale istruttoria per il rilascio del decreto concessorio ad associazioni e fondazioni ha un significato diverso. Adempie ad una funzione ricognitiva, tecnico-formale, in vista della omologazione dell'atto costitutivo. Naturalmente per le associazioni la facoltà di richiedere o meno il riconoscimento della personalità giuridica implica una valutazione discrezionale degli associati sull'attività dell'ente e sugli impegni che i soci amministratori intendono assumere. Per linee generali, in caso di associazione non riconosciuta si ha responsabilità personale e solidale a carico degli amministratori, mentre con il riconoscimento della personalità giuridica si ottiene la separazione della responsabilità patrimoniale dell'ente da quella personale.

L'ente riconosciuto inoltre ha autonoma capacità per accettare eredità, legati e donazioni (artt. 600 e 786 c.c.), cosa non di poco conto per l'acquisizione di fondi da destinare all'attuazione degli scopi sociali.
Tuttavia, quando sussistono ragioni evidenti di tutela dell'interesse generale, alcune espressioni associative di maggiore rilevanza sociale ed istituzionale andrebbero assoggettate all'obbligo ex legge del decreto autorizzativo. Ciò consentirebbe di assicurare pubblicità legale e trasparenza amministrativa agli atti di gestione che in ossequio agli obblighi di legge offrirebbero almeno ai cittadini maggiori garanzie formali (nella dottrina costituzionale non sono pochi a ritenere ammissibile l'istituto della "registrazione" dei partiti politici).

Sono comunque i rapporti tra fondazione ed impresa che ora accentrano l'interesse del dibattito. Certamente la coesistenza tra attività d'impresa e fondazione non è nuova nella realtà italiana. Si pensi agli enti che svolgono attività culturale e di spettacolo, facendo coesistere finalità istituzionali e commerciali. Ma i nuovi e più rilevanti impegni economici ora affidati alla fondazione sollecitano diversi spunti di riflessione in vista di una organica modifica dell'attuale disciplina civilistica codificata.
Abbiamo elaborato uno schema sintetico delle proposte più significative emerse in dottrina:
a) Gli utili conseguiti da associazioni e fondazioni che svolgono attività d'impresa, oltre al finanziamento dell'impresa, devono essere destinati alla realizzazione degli scopi istituzionali;
b) E' vietata la divisione del patrimonio tra gli associati e l'attribuzione ai fondatori in caso di estinzione dell'ente che ha esercitato attività d'impresa;
c) Le associazioni e le fondazioni iscritte nel Registro delle persone giuridiche (tenuto dalla Cancelleria del Tribunale civile) sono obbligate ad utilizzare i modelli di contabilità e di bilancio predisposti dalla speciale Commissione nazionale di vigilanza (da istituire);
d) Per gli acquisti immobiliari e a titolo gratuito le associazioni e le fondazioni devono agire liberamente, eliminando ogni forma di autorizzazione ora richiesta (art. 17 c.c.);
e) Nelle fondazioni il potere di annullamento delle delibere appartiene all'autorità amministrativa, ma se si intende riconoscere ad esse piena autonomia operativa questo criterio va soggetto a revisione utilizzando per quanto possibile gli schemi collaudati dell'impianto societario (art. 25 c.c.);
f) Sotto il profilo fiscale agli enti non-profit va riconosciuta l'esenzione dall'imposta sul reddito o una consistente detrazione dal reddito imponibile, in ragione delle rilevanti finalità sociali perseguite. L'Internal Revenue Code 1954 e successivi emendamenti, in vigore negli Stati Uniti, prevede l'esenzione dall'imposta sul reddito per una lista lunga e dettagliata di organizzazioni non-profit (scuole, musei, biblioteche, alcuni ospedali, ecc.);
g) Lo statuto dell'ente deve prevedere un organo interno di vigilanza. Va comunque garantita la più completa estraneità ed indipendenza ai suoi membri, soprattutto rispetto ai soci e agli amministratori. Il Board of trustees operante negli enti non-profit statunitensi potrebbe costituire un utile riferimento;


h) Va costituita una Commissione nazionale di vigilanza per tutti gli enti non-profit. Essa deve predisporre criteri univoci di contabilità, precise modalità per la redazione e la certificazione dei bilanci ed esercitare poteri ispettivi sull'amministrazione degli enti;
i) In caso d'insolvenza dell'impresa strumentale occorre stabilire una norma che renda l'ente di riferimento assoggettabile alle procedure concorsuali;
l) Va introdotto un divieto espresso a carico dell'ente non-profit per lo svolgimento di attività che possano direttamente o indirettamente influenzare i lavori parlamentari, dare sostegno a campagne politiche di persone, partiti o movimenti organizzati, compiere opera di propaganda;
m) La sede legale dell'ente deve essere su territorio italiano, mentre le sue attività possono essere svolte in Italia e all'estero;
n) In caso di fusione o incorporazione tra enti non-profit occorre stabilire espressamente che tutti i servizi operanti al momento della fusione devono essere garantiti.
L'impegno nel sociale non può restare un fine puramente nominalistico. Di fronte al crescente pericolo di una articolazione duale della società, con i poveri in crescita che diventano sempre più poveri (per l'ISTAT è povero colui che consuma meno della metà del consumo medio nazionale) e i ricchi sempre più ricchi, la redistribuzione dei compiti tra Stato e Mercato lascia vuoti molti spazi lungo le linee direttrici di una corposa domanda sociale (arti, scuola, cultura, ricerca, formazione professionale, sanità, assistenza, immigrazione, ecc.). Gli enti non-profit possono occupare stabilmente questi spazi con proprie, autonome gestioni.
Alle soglie del 2000 si va quindi delineando un nuovo patto sociale, una triplice alleanza che potrebbe sperimentare forme nuove di coesione là dove il modello attuale produce divisione, contrapposizione ed isolamento. Forse la futura "condizione sociale" finirà per identificarsi proprio con il livello delle prestazioni che volontariato e non-profit sapranno fornire. Perché funzioni questa triplice alleanza occorre un disegno strategico globale in cui il cittadino diventi animatore indiscusso dello spirito di solidarietà e delle sue proiezioni istituzionali. Incentivando l'associazionismo su base civile e religiosa, i lasciti e le donazioni individuali; disponendo la detassazione di sovvenzioni e contributi versati ai fondi degli enti non-profit si promuoverebbero significativi atti di liberalità che oltre all'apporto economico avrebbero anche un forte significato di crescita morale e democratica.
Nello stesso tempo si qualificherebbe la leva fiscale dello Stato nel suo significato più proprio, orientando almeno in parte la redistribuzione del reddito con una valenza sociale palpabile. In quest'ottica l'apporto di denaro pubblico finirebbe per risultare residuale, indirizzato soprattutto alla necessità di fronteggiare lo zoccolo duro della indigenza.
Se si riflette sulla circostanza che soltanto la rivoluzione informatica e multimediale è destinata a produrre forme molteplici di emarginazione (per aree geografiche, settori produttivi, fasce generazionali) ci si rende conto che non può essere solo e sempre lo Stato a dare risposte risolutive. Purché la forma-Stato e le istituzioni civili intendano dare voce ad espressioni concrete di partecipazione popolare e non siano il collaudato coperchio di un calderone in cui ribollono continue e contraddittorie manovre di dirigismo economico. E' probabile che per muoversi in questa direzione non ci sia ancora un sufficiente back-ground culturale, ma almeno un po' di logica razionalista dovrebbe consentire quel minimo denominatore necessario per produrre riforme minime, illuministiche se non illuminate. Se un treno viaggia a venti all'ora i passeggeri non possono fare nulla per aumentare la velocità!
Una riflessione sulla nuova organizzazione della società civile non può prescindere dal ruolo assegnato alla solidarietà sociale. Certamente dovranno trovare spazio nella realtà giuridica ed economica organizzazioni senza fini di lucro gestite con professionalità, "aziende" che perseguono l'equilibrio economico finanziario come condizione prima del loro operare.
Ma occorre andare oltre l'attuale mecenatismo d'impresa. La pratica della solidarietà va promossa su larga scala. Occorre far convivere ragione e carità, attribuendo al concetto cristiano di charitas una valenza operativa nuova, fuori dagli stereotipi che lo vogliono astrattamente ingabbiato nel decalogo dei comandamenti del perfetto borghese. Per coagulare un vasto, spontaneo, sincero impegno partecipativo e sottrarre il più possibile la progettualità degli impegni a sfondo sociale ai consueti e triti circuiti finanziari della realpolitik.
La legge sul volontariato è bene che viva, ma è altrettanto necessario che i veicoli finanziari proposti risultino circoscritti per entità e metodo. A tutt'oggi le maggiori fonti di finanziamento impegnate nel volontariato provengono da convenzioni con enti pubblici, ma già nel 1994 le Casse di risparmio avevano erogato per finalità sociali 318 miliardi, di cui 19 destinati ai fondi speciali istituiti presso le Regioni.
Se si considera che per il 1995 circa il 10% del Pil statunitense è imputabile ad attività non-profit mentre da noi il fenomeno è ancora in fase embrionale, si ha la dimensione del potenziale espansivo che questo settore può avere nel nostro Paese.
Dal legislatore si attende un riordino generale della disciplina civilistica al fine di assicurare condizioni di certezza, trasparenza e flessibilità operativa utili a tutti, amministratori e cittadini. Ed un impegno ad utilizzare lo strumento fiscale per dare segnali di ordinario buon senso, invertendo la rotta del vessatorio patologico. Shaw sosteneva che il sistema fiscale è lo strumento con cui il governo deruba Pietro per dare a Paolo, potendo poi contare sul sostegno di Paolo. Nell'Italia odierna Pietro è noto. Ma chi è Paolo?
Dal management non-profit si attende poi non la semplice sponsorizzazione di operatori terzi, ma un coinvolgimento pieno nei progetti finanziati, un fattivo impegno nella loro ideazione ed attuazione. C'è in gioco la necessità di una essenziale, autonoma centralità da restituire alla cultura, alla scienza, alle arti ed ai servizi sociali del nostro Paese. Per bloccare l'ossessiva e rovinosa carica dei rinoceronti. Per uscire dalle secche dell'immobilismo assicurando dignità e crescita ad una società che già Pasolini configurava divisa in due preistorie: la preistoria arcaica del Sud e la preistoria nuova del Nord. Il degrado successivo ha reso poi il sistema più conflittuale rispetto al momento in cui questo giudizio fu pronunciato.
Comunque il carisma derivante da un impegno "etico" nel non-profit cresce e si sviluppa in palestre per eroi minori, non in apparati per convitati di pietra. Sarebbe avvilente riprodurre nell'Italia del 2000 le esperienze dei primi quaccheri inglesi approdati su suolo americano. Andarono nel Nuovo mondo con la ferma intenzione di fare del bene... e finirono per fare soldi!


Banca Popolare Pugliese
Tutti i diritti riservati © 2000