§ TECNICA DELLA TRASPARENZA

COME SI FORMA IL PREZZO DEL DENARO




Gaspare Francisci



La formazione del prezzo del denaro risponde alle normali leggi economiche della domanda e dell'offerta, con in più la componente - della quale parleremo poco più in là - dell'elemento "rischio". Per le banche, il tasso di riferimento - base della determinazione dei prezzi - è costituito dal tasso ufficiale di sconto, vale a dire il tasso al quale la Banca d'Italia effettua anticipazioni e sconti al settore bancario. I tassi attivi - quelli applicati al credito alla clientela -sono calcolati con uno spread in più, quelli passivi - corrisposti sui depositi - con uno spread in meno. La differenza fra il totale dei tassi attivi e passivi costituisce l'utile lordo dell'attività creditizia, compensativo dei costi di gestione e dei costi generali, con un accantonamento ad un "fondo rischi" per far fronte ai crediti inesigibili.
I tassi attivi sono applicati dalla banca con l'applicazione di criteri che tengono conto in primo luogo della rischiosità del credito erogato, della sua durata e dell'importanza del credito stesso; con un'approssimazione semplicistica, si potrebbe dire che - rischio a parte - vigono per il denaro le stesse regole che dettano la formazione dei prezzi all'ingrosso e al dettaglio.
Il limite più basso dei prezzi - quello applicato ad aziende primarie e solide - costituisce il cosiddetto prime rate. E' evidente che i movimenti dei tassi passivi sono in sintonia con il tasso ufficiale di sconto, prezzo di approvvigionamento del denaro, in caso di bisogno, presso la Banca Centrale.
I tassi passivi seguono la logica dei tassi attivi, nel senso che aumentano o diminuiscono di pari passo con il tasso di sconto; essi sono calcolati tenendo conto della necessità di mantenere un margine di beneficio tale da consentire il proseguimento dell'attività creditizia, ma variano da banca a banca a seconda della durata dei depositi (liberi o vincolati), della loro entità e anche della maggiore o minore necessità della banca di attirare nuovi depositi per far fronte alle esigenze dell'erogazione del credito.
L'osservazione non preconcetta della realtà del mercato fa emergere l'evidenza che le banche sono in forte concorrenza fra loro sia sul versante degli impieghi, per accaparrarsi una clientela che - specialmente nel settore delle imprese - è sensibilissima a differenze anche minime delle condizioni, sia sul versante della raccolta per approvvigionarsi di fondi con i quali allargare la base di erogazione del credito. Basta una visita a diverse banche per rendersi conto di una situazione che a tutto può far pensare, meno che ad accordi, che in ogni caso sarebbero ben difficili da mantenere segreti, considerato il numero delle banche e la loro diversa appartenenza.
Resta da chiedersi che cosa possa aver fatto nascere l'idea della costituzione di un "cartello" dei tassi, che in ogni caso rimane da dimostrare, come sarebbe necessario quando si formulano accuse o si avanzano sospetti del genere. La spiegazione è semplice, solo che si tengano presente il legame dei tassi con il tasso ufficiale di sconto e le regole della concorrenza:
- per i tassi attivi, il prime rate costituisce la remunerazione minima del denaro, fissata per mantenere o acquisire clientela primaria; i tassi superiori tengono conto della maggiore rischiosità e/o della minore entità dei prestiti. In tutti e due i casi, l'eccessivo scostamento dal tasso ufficiale di sconto (t.u.s.) metterebbe la banca "fuori mercato", nel senso che la sua clientela si rivolgerebbe altrove. Gli scostamenti non possono quindi essere che minimi, ma la loro vicinanza fra banca e banca può dare a quella che è una legge di mercato l'apparenza di un "cartello", il che è ben lungi dall'essere sia vero che verificato;
- per i tassi passivi, la loro fissazione è in primo luogo dettata - come si è detto - dalla necessità di assicurare un margine all'attività creditizia; ma la libertà di determinazione del prezzo da parte della banca è limitata da considerazioni concorrenziali e di gestione: un prezzo eccessivamente basso farebbe fuggire i depositi presso altre banche, un prezzo troppo alto attirerebbe depositi in eccesso rispetto alle possibilità di Il collocamento" del credito (in altri termini, la banca si troverebbe con denaro che non saprebbe o potrebbe proficuamente investire). Anche in questo caso, esiste una tendenza al riavvicinamento dei tassi, ma - con anche maggior possibilità di verifica sul mercato rispetto ai tassi attivi - l'esistenza di una concorrenza anziché di un "cartello" risulta provata dai fatti.
Già in passato, la Commissione (DG IV) aveva avviato indagini - a livello europeo, ma con specifica attenzione a ciascun settore nazionale - per accertare l'esistenza di "cartelli" dei tassi; l'ultima di tali indagini (1992-93) si concluse, come le precedenti, in un nulla di fatto. Da notare che le azioni della DG IV avevano preso le mosse proprio dalle identiche argomentazioni ora sollevate nel caso italiano, che si sono rivelate prive di ogni fondamento in ogni Paese d'Europa. La situazione della concorrenza in fatto di tasso è infatti la stessa in ogni Paese: è una conseguenza delle leggi economiche e di mercato; d'altra parte, non è fuor di luogo notare che le stesse accuse di Il cartello" sono formulate dalle associazioni dei consumatori di tutti i Paesi, sempre con le identiche argomentazioni e sempre con i medesimi risultati.
Una verifica di quanto sopra detto può essere fatta rileggendo la Relazione del Governatore della Banca d'Italia nella Assemblea Generale dei Partecipanti, tenuta a Roma alla fine del mese di maggio del 1995. In quella circostanza, il Governatore fu estremamente esplicito. Per quanto riguardava il rischio e la sua incidenza sui costi e criteri di concessione del credito: "... le posizioni di sofferenza sono aumentate del 30 per cento, raggiungendo la consistenza di 90 mila miliardi; rispetto agli impieghi sono salite dal 6,3 all'8 per cento". Verificato ciò, " ... L'esigenza di innalzare la qualità del credito induce le banche a rivedere criteri e procedure dell'attività d'impiego".
Per quanto riguardava gli utili delle banche nell'attività creditizia, " ... Il risultato di gestione delle banche è sceso dall'1,6 all'1,1 per cento dei fondi intermediati. La flessione è stata determinata dal concorrere di più fattori: la compressione del margine fra tassi attivi e passivi, la caduta dei corsi dei titoli, le perdite sui crediti". Se ne può concludere che o si contestano con dati di fatto le "Considerazioni finali" del Governatore, oppure è necessario riconoscere che:
- la concorrenza fra banche esiste, tanto è vero che gli utili dell'attività di intermediazione sono in costante diminuzione;
- il rischio è una componente essenziale del costo del denaro, una componente che i formulatori di accuse costantemente trascurano di tenere nel dovuto conto.
Per quanto riguarda l'asserita esistenza di un "cartello", che sarebbe provato dal fatto che "i contratti sono tutti uguali", occorre dire che si introduce nella questione un elemento di confusione: una cosa sono le condizioni economiche (il prezzo), ed un'altra cosa ben distinta sono i termini contrattuali, riprodotti nei formulari bancari.
La liceità dell'adozione di contratti "tipo" di riferimento è già stata riconosciuta dalla Commissione (per i contratti assicurativi, ad esempio), ed anche con specifico riferimento al caso dell'Italia. E' stato riconosciuto che le banche non hanno alcun obbligo di adottare contratti "tipo", ma che la loro esistenza è del tutto lecita; le banche hanno la facoltà di adottarli, alla stessa stregua di analoghi contratti adottati da altre industrie di servizi (linee aeree, agenzie di viaggio, alberghi) o anche fra privati (contratti di affitto).
Nel caso delle banche, è anche possibile al cliente chiedere l'introduzione di clausole "per lui più garantistiche", ma è da ricordare che un contratto consiste nell'incontro della volontà delle due parti contraenti: ogni clausola più favorevole al cliente si traduce in un aumento del rischio per la banca, rischio che la banca deve valutare, accettandolo soltanto nel caso che lo ritenga possibile.
Comunque, si tratta di un aspetto già esaminato sia dalle autorità europee che da quelle italiane, e riproporlo negli stessi termini non sembra produttivo. Resta peraltro, giuridicamente, la possibilità di mettere in causa la liceità di clausole considerate vessatorie, se veramente si ritiene che tale azione possa essere intrapresa con probabilità di successo. Ma si tratterebbe comunque di casi isolati.


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