§ AGRICOLTURA, INDIETRO ADAGIO

MENO BRACCIA PER L'EUROPA VERDE




Carlo Martirano



Continua a scendere il numero di persone che lavorano nell'agricoltura europea. Il 1995 (ultimi dati disponibili) è stato l'anno di un nuovo notevole calo: 205 mila occupati in meno, pari al 2,8 per cento del totale. La flessione non ha risparmiato alcun Paese, ed è stata largamente determinata dall'Italia, in cui trova lavoro un quarto della manodopera agricola comunitaria.
Nel nostro Paese, però, la flessione è stata inferiore rispetto alla media europea, attestandosi all'1,4 per cento. Molto meno del 3,9 per cento registrato nel 1994 e a lunghissima distanza dal 7,3 per cento del 1993. Anche nella media dei "Quindici" la flessione ha rallentato, visto che, a fronte del calo pari al 2,8 per cento registrato lo scorso anno, nel 1994 l'emorragia di posti di lavoro agricolo aveva toccato il 3,7 per cento e, nel 1993, il 5,1 per cento sugli anni precedenti.
La situazione ha determinato, per quanto riguarda i lavoratori a tempo pieno (ormai ridotti a soli sette milioni e 250 mila unità), un aumento del reddito medio per persona occupata. Parallelamente, si è visto aumentare il "peso" dell'Italia che, nel 1973, occupava meno del 20 per cento di chi in Europa lavorava nel settore agricolo.
Altro elemento nuovo riscontrato sulla scorta dei dati del 1995 è il calo generalizzato della manodopera familiare. Unica eccezione è l'ex Germania orientale, dove la privatizzazione delle grandi aziende agricole ha portato ad un incremento del lavoro nell'ambito della famiglia. Il rovescio della medaglia è rappresentato dall'Olanda, unico Paese, con il Belgio, in cui nell'ultimo triennio il calo dell'occupazione totale si è accentuato, dove la manodopera familiare è diminuita del 5,5 per cento.
Anche alla luce di questi dati, l'agricoltura deve essere rilanciata e, in Italia, si prevede di farlo creando una sorta di "agenzia" pubblico-privata per sostenere i nostri prodotti sui mercati esteri. Inoltre, va considerato che chi controlla il legame con il mercato, come i grossisti, le industrie di trasformazione e la grande distribuzione, acquisisce un ruolo predominante. Gli agricoltori quindi devono trovare forme di coordinamento innovative con questi settori, così come da parecchio tempo è avvenuto in altri Paesi europei.
Ad assolvere questo compito dovranno essere le associazioni dei produttori e le cooperative, che dovranno appunto integrare le imprese agricole con il mercato. La competitività del sistema agricolo italiano richiede certamente una riorganizzazione dell'offerta e servizi pubblici più efficienti. Ma, secondo le linee programmatiche del governo, il numero delle aziende deve diminuire e la dimensione media deve aumentare. La frammentazione è infatti considerata alla base delle limitate capacità di accesso all'innovazione, ai capitali e all'ingresso nei canali della moderna distribuzione.
Soprattutto, però, la frammentazione è la maggior causa di difficoltà nel perseguire politiche di marketing efficaci, sia sul mercato nazionale sia su quelli stranieri.
La modernizzazione dell'agricoltura, comunque, non potrà prescindere dall'innovazione dell'offerta. Da qui, un impulso a nuovi collegamenti tra ricerca pubblica ed esigenze delle imprese del settore primario, mentre l'agricoltura biologica dovrà essere sostenuta per rafforzare la qualità e la tipicità dei prodotti.
Campi, stalle e fattorie, intanto, si colorano di grigio. Continua, cioè, il progressivo invecchiamento dell'agricoltura italiana. Parlano i dati Eurostat per il 1995: 140 mila titolari d'impresa hanno meno di trentacinque anni; 817 mila proprietari sono "over 65". Certo, non si tratta di una specificità italiana, visto che in nessun Paese dell'Unione europea il numero degli "under 35" supera quello degli ultra-sessantacinquenni. Il nostro Paese, però, insieme con il Portogallo, detiene il primato dell'età più elevata per la categoria: il 61 per cento degli imprenditori ha più di 55 anni. La media europea è sostanzialmente ferma al 52 per cento. Esistono pesanti ostacoli al ricambio generazionale, sostengono le organizzazioni giovanili della Coltivatori diretti, della Cia e della Confagricoltura. Ostacoli che prendono il nome di "alti costi del terreno, carenze legislative in materia di successione, affitti elevati, credito insufficiente, formazione inadeguata, quote produttive non disponibili per le nuove leve". Ostacoli che si scontrano con una riscoperta del mondo agricolo da parte dei giovani. Parole? Anche in questo caso parlano i dati: sono state 7.785 le iscrizioni alle facoltà universitarie di indirizzo agrario per l'anno accademico in corso, con un incremento di ben il 5,6 per cento rispetto all'anno precedente, e in netta controtendenza con la flessione complessiva del numero di matricole.
Sicuramente, esistono provvedimenti nazionali e comunitari (dipendenti dal Commissariato dell'Unione europea) di sostegno al ricambio generazionale. La Società per l'imprenditorialità giovanile, ad esempio, in dieci anni di attività ha sostenuto la nascita di 248 imprese agricole, con 3.914 addetti, e ha finanziato quasi un migliaio di nuove attività nell'ambito della legge 44/86. Ma le strutture giovanili delle organizzazioni agricole giudicano carenti queste forme di sostegno, soprattutto perché esse sono soggette ad una eccessiva burocratizzazione.
Così, per superare in qualche modo questi ostacoli, il ministro per le risorse agricole ha presentato alla fine dello scorso anno, d'intesa con il Comitato per i rapporti con le Regioni, il disegno di legge concernente "misure per la diffusione e la valorizzazione dell'imprenditorialità giovanile in agricoltura". In linea con gli orientamenti europei, la proposta fissa a quarant'anni il limite di età per accedere alle agevolazioni. Si punta ad un migliore utilizzo dei fondi previsti dai regolamenti comunitari.
Il giudizio delle organizzazioni giovanili agricole è positivo anche se si parte da una situazione in netto ritardo: "A differenza che nel resto dell'Unione europea - specificano i responsabili - l'Italia non ha ancora maturato una visione del problema del ricambio generazionale nelle campagne. Gli stessi regolamenti dell'Unione europea hanno trovato da noi scarsa applicazione o, addirittura, totale indifferenza". Il che, sommato ad altri problemi di non poco conto (i privilegi concessi ai Paesi associati, i rapporti preferenziali con l'area del Maghreb; oppure, sul fronte interno europeo, la decisione dell'uso degli zuccheri nelle produzioni vinicole), pone il settore primario al centro del dibattito comunitario. E il nostro Paese è - anche per la quantità di addetti che registra - in prima linea, per difendere i prodotti, per sburocratizzare il settore, per rilanciare l'agricoltura sul piano della qualità richiesto dai mercati europei.


Banca Popolare Pugliese
Tutti i diritti riservati © 2000