§ L'UOMO E IL TERRITORIO

CRESCITA DEMOGRAFICA E SVILUPPO GLOBALE




Gaetano Ferrieri



Rebus sic stantibus, il fenomeno della crescita demografica nei Paesi in via di sviluppo par rappresentare il maggiore ostacolo allo sviluppo economico degli stessi. E, al contempo, non si ritiene credibile come una strategia di contenimento della crescita della popolazione possa in qualche modo prescindere dall'adozione di strumenti di intervento economico in grado di favorirne la realizzazione.
I neomalthusiani concorderebbero nel ritenere che detto binomio abbia una sua valenza inconfutabile, laddove l'effetto depauperativo dell'incremento demografico sulle risorse economiche è fenomeno viepiù palese nelle realtà sottosviluppate o in via di sviluppo. I dati in nostro possesso inducono a previsioni non certo ottimistiche confortando sostanzialmente detta asserzione. La popolazione mondiale, infatti, supererà molto presumibilmente la soglia del sesto miliardo nell'anno 2000 (v. quadro), con un incremento di ben 900 milioni di individui in appena 10 anni: i Pvs registreranno il maggior incremento (833 milioni), ovvero, in termini di tasso medio di variazione annua, il 18,9 per mille, contro il 5,5 per mille nei Psa. Occorreranno appena 25 anni perché la popolazione mondiale superi gli 8 miliardi di individui, con un incremento rispetto al 2000 di ben 2.177 milioni di unità, di cui 2.058 milioni solo nei Pvs. Di contro, la crescita demografica sarà molto più lieve nei Psa, che nello stesso periodo 2000-25 registreranno un tasso medio annuo di variazione della popolazione del 3,6 per mille contro il 14,2 per mille nei Pvs. A conti fatti, nel 2025, l'83,2% della popolazione mondiale sarà concentrata nei Pvs contro il 16,8% nei Psa.
Tenendo, altresì, in considerazione che l'incremento demografico nei Paesi in via di sviluppo si associa a un costante abbandono delle aree rurali, alle migrazioni verso le grandi città, all'inurbamento selvaggio, alla crescita dei settori informali e paralleli delle economie, a forme indotte di inquinamento urbano e industriale, a sempre più precarie condizioni igienico-sanitarie, all'insufficienza delle risorse agricole, alla riduzione dell'offerta di manodopera nei settori agrari, al degrado ambientale ("degrado ad avvio lento", condizionato da forme critiche di interazione tra forze umane e risorse economiche nel lungo periodo), alla progressiva riduzione delle riserve idriche per l'aumento dei consumi d'acqua e della siccità (fenomeno tipicamente africano), non possiamo che constatare quanto particolarmente forte ed evidente sia il legame fra una crescita critica della popolazione e le patologie di sistema (inteso come habitat umano).
Sembrerebbe, a ben vedere, un insieme di relazioni tra variabili di natura diversa che, per semplicità concettuale ed empirica, possiamo provare a enucleare in una identità causale del seguente tipo: crescita demografica (CP) - involuzione economica (IE) - degrado ambientale (DA). Variabili che, in termini di funzione, possiamo sostanzialmente descrivere secondo le seguenti relazioni in un unico sistema:
Considerando, infatti che IE = f(CP) e DA = g(CP), in cui entrambe le funzioni sono espresse in relazione alla variabile indipendente (CP), e DA = h(IE), ne deriva che DA = i (CP; IE).


Non si ritiene, purtuttavia, che detta simbiosi corrisponda alla regola ferrea di un generico modello di sviluppo terzomondista, sebbene ne rappresenti un carattere fortemente distintivo; simbiosi le cui ragioni sono sia di natura endogena (anomalie di sviluppo dei Pvs, specie nel rapporto risorse umane/tecnologie) che di natura esogena (carenza di freni correttivi ai modelli di sviluppo dei Psa, generanti segnatamente squilibri concorrenziali e distributivi nei mercati mondiali).
I meccanismi riequilibratori dello sviluppo, attualmente funzionali al divario di crescita economica tra Psa e Pvs, hanno denotato un'insufficiente efficacia e una sostanziale fallacia valutativa, arenandosi spesso in eccessi burocratici e presunzioni politiche. Una costante di questi meccanismi è rappresentata, infatti, da giudizi di valore che, informandosi ai rapporti di forza intercorrenti tra gli Stati membri della Comunità internazionale, ne determinano sostanzialmente le necessità fondamentali e le modalità di attuazione. Queste ultime, pertanto, non possono che rispondere alla determinazione impositiva dei Paesi erogatori - notoriamente i Psa - che detengono, in virtù della propria capacità contributiva nelle stesse organizzazioni internazionali (FMI, Banca Mondiale, etc.), posizioni politiche e ragioni filosofiche di imperante rilievo operativo.
Le stesse raccomandazioni in materia di contenimento della crescita demografica dell'Onu e della Banca mondiale - senza nulla togliere alla loro obiettività e positività -risultano formulate in termini "impositivi" di modelli comportamentali tipici dei Paesi avanzati, ovvero di quei Paesi che sono riusciti a sperimentare un "credibile" modello di sviluppo a crescita demografica contenuta e benessere economico sostenuto. Gli elementi che, tuttavia, vengono in rilievo sono costituiti tanto da una non sempre ottimale valutazione delle diversità fra i modelli a confronto, quanto da una esasperata applicazione degli approcci normativi "avanzati", trascurando, difatti e molto spesso, i profili culturali e sociali che contraddistinguono i Pvs. La diversa propensione a procreare, le cui implicazioni fondamentali sono sì legate a un diverso status socio-economico, ma anche a componenti di altra natura, quali l'identità religiosa, l'appartenenza culturale, il tessuto sociale primordiale, gli atteggiamenti psicologici individuali e collettivi, senza trascurare le caratteristiche geo-economiche del territorio, quali la natura geografica, le dimensioni, la fertilità, etc.
Di fronte a ciò, i Paesi a sviluppo avanzato non possono limitarsi all'adozione di strategie d'azione o alla continua elaborazione di linee di pensiero che assumono la "positività" sperimentata dei propri modelli come elemento di valutazione delle esigenze da affrontare nei Paesi meno avanzati.
Cionondimeno, le linee di condotta di quelle che possiamo definire "strategie dello sviluppo" devono ispirarsi a obiettivi di "ottimalità" delle scelte, ciò significando che le politiche demografiche nei Pvs potranno svolgersi sulla base di valori di riferimento rivelatisi o rivelantisi positivi, ovvero indicativi di uno sviluppo sostenibile. L'ottimalità dovrà misurarsi in termini reali, tenendo conto cioè di uno scenario globale, in cui le variabili demografiche tanto nei Pvs che nei Psa non hanno finora mostrato di interagire con quelle economiche e ambientali onde garantire un corretto equilibrio popolazione-risorse-ambiente.
Le difficoltà di interazione potranno, perciò, essere meglio affrontate secondo un approccio sistemico, contemperando tanto negli uni quanto negli altri le insopprimibili esigenze legate alla tutela dell'ambiente e alla connessa capacità di garantire la disponibilità di risorse per le generazioni future.
Ottimalità e globalità, ovvero sviluppo sostenibile e concertazione delle scelte: rispetto delle esigenze di identità e di espressione socio-culturale come via ottimale nella ricerca e nella realizzazione in termini di corretta efficienza delle reciproche potenzialità di sviluppo dei Paesi meno e più avanzati. Sarà questo il binomio della crescita degli anni 2000?


Banca Popolare Pugliese
Tutti i diritti riservati © 2000