§ L'Europa del mare

Mediterraneo




Ada Provenzano, Bruno A. Cordero, Giorgia Cordier
Coll.: Franco Rey, Alba Demario, Ruggero Franci, Carlo Mstria



Fra trent'anni la costa meridionale, del Mediterraneo sarà meta di un'ondata migratoria drammaticamente inarrestabile. Molti dei 330 milioni di uomini che abitano il Sud del Mediterraneo cercheranno in Europa scampo alla fame e alla disoccupazione che prevedibilmente attanaglierà ancora i loro Paesi. Un'emergenza annunciata che pone il problema-Mediterraneo al centro della politica europea.
Oggi, questo mare che è stato giustamente definito la culla della nostra civiltà è profondamente lacerato dal Maghreb fino ai Balcani, mentre anche in Italia, nell'Alto Adriatico, si profilano movimenti centrifughi, che possono portare a situazioni analoghe a quelle esistenti nella penisola iberica, con i Baschi, e alla penisola anatolica, con gli armeni e con i kurdi. E intanto, sulle sponde africane e arabe, il fondamentalismo islamico minaccia l'unità politica, sociale e culturale del Mare Nostrum, quale invece potrebbe emergere da accordi federativi o di collaborazione internazionale, imponendo anche col sangue non il principio di modernizzare l'Islam, ma quello di islamizzare la modernità.


L'immagine che offre il Mediterraneo alla fine di questo secolo e millennio non è affatto rassicurante. La costa settentrionale registra un visibile ritardo rispetto al Nord dell'Europa, la costa meridionale rispetto a quella settentrionale. L'insieme del bacino mediterraneo si lega con difficoltà al continente tanto a Nord, quanto a Sud o a Levante. Non è davvero possibile considerare il Mediterraneo come un insieme coerente, senza tener conto delle fratture che lo dividono, dei conflitti che lo lacerano: la Palestina, il Libano, l'intera area del Maghreb dall'Egitto fino al Marocco, passando per la Libia e per l'Algeria, l'ex Jugoslavia. Il Mare Nostrum sembra votato al destino di un mondo di ex.
Si costruisce l'Unione europea senza alcun serio ed esplicito riferimento al Mediterraneo: un'Europa separata dalla culla dell'Europa. Come se si volesse formare una persona privandola della sua infanzia o della sua adolescenza. Se ne danno spiegazioni banali e ripetitive che non riescono a convincere coloro ai quali sono indirizzate.
I criteri con i quali il Nord osserva il presente e l'avvenire del Mediterraneo molto raramente si accordano con quelli del Sud. La costa settentrionale del Mare Interno ha una percezione diversa e una diversa coscienza di ciò che le sta intorno rispetto a quella della costa opposta. Sembra che ai giorni nostri le coste mediterranee non abbiano in comune nient'altro che le loro insoddisfazioni.
Le decisioni relative alla sorte del Mediterraneo sono in generale assunte fuori, lontano dal Mediterraneo stesso, o comunque senza la sua partecipazione: tutto questo, a lungo andare, genera frustrazioni e fantasmi.
Le manifestazioni di gioia davanti allo spettacolo del nostro mare sono diventate di giorno in giorno più contenute e fugaci. Quelle di nostalgia si esprimono attraverso le arti e le lettere di tutte le province mediterranee. Le fratture, le crepe, le lacerazioni sembrano prevalere sulle convergenze. Un pessimismo storico si è stabilito sugli orizzonti di una riva e dell'altra.
Il Mediterraneo ha affrontato la modernità con indiscutibile ritardo. Non ha vissuto lungo tutti i suoi bordi la laicità.
Innanzitutto, un esame critico di questi fatti, o di queste apparenze, deve liberargli la strada o, per adoperare un'immagine più marinara, sbarazzarlo di una zavorra ingombrante. Ciascuna delle parti conosce le proprie alternative, che si riflettono sul resto del bacino o su altri spazi, magari anche lontani. La proposta di una convivenza (questo termine ci sembra più appropriato di quello di convivialità), proclamata a più riprese e consistente nella realizzazione di regioni multietniche o plurinazionali, territori dove si incrociano e si mescolano varie culture e religioni diverse, ha subito sotto i nostri occhi un crudele insuccesso. Non crediamo sia per caso che proprio in luoghi come il Libano o la Bosnia-Erzegovina si perpetuino guerre tanto implacabili quanto ostinate. Mille motivi di "divisione" si confrontano in quella parte del Vicino Oriente che pure è stato il luogo d'origine delle tre religioni monoteiste. E altri mille analoghi motivi si scontrano in quella parte della penisola balcanica con un'intensità che in certi momenti fa pensare alle tragedie antiche. Il Mediterraneo conosce però anche altri conflitti, sulla stessa costa, tra coste, e tra la costa e il suo entroterra.
Il Sahara (questo termine significa "Terra povera") spinge avanti la sabbia e invade il territorio circostante, da un secolo all'altro, chilometro dopo chilometro. In molti punti, tra il mare e il deserto non resta che una sottile striscia coltivabile. Quel territorio diventa sempre più popoloso. La maggior parte dei suoi abitanti sono giovani, mentre quelli della sponda opposta sono invecchiati.
Le egemonie si sono alternate sul Mediterraneo quando gli Stati vecchi cedevano ai nuovi. Le tensioni che si sviluppano lungo la costa meridionale suscitano inquietudini. Se il ritardo nello sviluppo può far nascere l'intolleranza, l'inerzia può contribuire alla sua crescita. Un'alternativa lacerante divide gli animi del Maghreb (l'occidente islamico) come quelli del Mashrek (l'oriente islamico): modernizzare l'Islam o islamizzare la modernità. Queste due proposte non possono coesistere, perché una contraddice l'altra.
Modernizzare l'Islam significa innanzitutto separare i poteri (legislativo, esecutivo, giudiziario); islamizzare la modernità significa trasferire di peso nel mondo attuale, frutto delle grandi rivoluzioni liberali, la Shari'ah, secondo la quale nel Corano c'è già tutto: potere politico, potere religioso, potere giudiziario stanno lì, Stato e religione coincidono, e chi non rispetti questo principio fondamentale è "infedele". Il che non lascia alcuno spazio né alla conciliazione né alla mediazione. In questo senso, e in questa direzione "ideologica", si aggravano le tensioni tra il mondo arabo e il Mediterraneo, ma anche in seno alle stesse nazioni arabe, tra i progetti globali e le politiche particolari. Gli attentati in Egitto e in Algeria la dicono lunga sul problema dell'integralismo islamico, che è uno dei fattori più destabilizzanti dell'intero bacino mediterraneo. La stessa cultura è fin troppo dilacerata per poter influenzare positivamente gli inconsci collettivi e riportarli in termini di coscienza.
A un dialogo vero con quel mondo molto spesso si sostituiscono semplicemente i negoziati di rappresentanti di governi, che in genere la tirano per le lunghe, alla ricerca di compromissioni. Ma il nocciolo dei problemi resta. Pertanto, non serve apparentemente a nulla ripetere, ora con rassegnazione ora con esasperazione, la denuncia dei sanguinosi attentati che il Mare Nostrum continua a subire, ma d'altra parte nulla ci autorizza a ignorarli.
Altri attentati, non meno gravi, sono quelli che colpiscono in modo grave il Mediterraneo, crocevia di tre continenti: degrado ambientale, inquinamento, selvaggio strapotere delle imprese, movimenti demografici mal controllati, corruzione, in senso proprio e in senso figurato, mancanza di ordine e di disciplina, localismi, regionalismi, e tanti altri ismi ancora... Si pensi alla situazione della Spagna con i Baschi; della Turchia con i movimenti rivoluzionari kurdi e armeni; dell'Egitto con la frontiera sudanese; dell'Algeria con i movimenti integralisti; del Marocco con i problemi dell'ex Sahara spagnolo; della Grecia con le rivendicazioni macedoni; della Serbia in guerra contro tutto e contro tutti. Eppure, non è il Mediterraneo l'unico responsabile di questo stato di cose. Al quale si sono invano opposte le migliori sue tradizioni che si proponevano di associare all'arte l'arte di vivere.
I concetti di solidarietà e di collaborazione, di scambio e di buon vicinato, devono essere al più presto sottoposti a un esame critico tanto in seno al Mediterraneo quanto al di là dei suoi stessi confini.
Il Mediterraneo esiste davvero anche al di fuori del nostro immaginario? E' una domanda che si propone tanto al Sud quanto al Nord, tanto ad Est quanto ad Ovest, nel Levante come nell'Occidente. Eppure c'è: c'è incontestabilmente uno "stare al mondo mediterraneo", se non un unico modo di essere, a dispetto delle scissioni e dei conflitti che vive e subisce questa nostra parte del mondo. Questo immenso anfiteatro - occorre pur riconoscerlo - ha per troppo tempo recitato lo stesso repertorio, al punto che spesso i gesti dei suoi attori sono già conosciuti, o quanto meno prevedibili. In compenso, il suo genio ha saputo in ogni epoca riaffermare la sua creatività, rinnovare la sua fabulazione, a nessun'altra uguale. A questo punto dobbiamo ripensare alle nozioni usurate di periferia e di centro, al vecchio rapporto tra distanze e prossimità, ai significati dei tagli e degli inglobamenti, delle simmetrie a fronte delle asimmetrie.
Certe concezioni euclidee della geometria devono essere ridefinite o superate. Le forme retoriche e di narrazione, quelle politiche, e anche quelle dialettiche, inventate dallo spirito mediterraneo, sono state usate per molto tempo e allo stato attuale spesso sembrano logore. E' una ragione di più per non lasciarci completamente sopraffare da quel pessimismo storico di cui abbiamo parlato all'inizio, che molto probabilmente assomiglia all'angoscia repressa dei grandi navigatori del passato, quando si dirigevano verso spiagge sconosciute. Potremo fermare o impedire nuove divisioni "in ogni punto, da Oriente a Occidente"? E quando? E come?
Sono domande che restano senza risposta. E proprio questo ci dice l'urgenza di porle e di rifletterci, in un momento decisivo della storia europea e di modificazione delle relazioni su scala planetaria.
E' stato scritto che quando vennero varcate le mitiche Colonne d'Ercole, con le navi che, dopo la scoperta dell'America, circumnavigarono l'Africa o si diressero verso le coste dell'America meridionale, il Mediterraneo cessò di essere l'ombelico del mondo e "la storia si inclinò verso l'Ovest". Certamente sarà stato così. Ma altrettanto sicuramente per millenni il Mediterraneo fu culla di civiltà: in parte originale, in parte attinta e rielaborata, soprattutto con gli apporti delle culture sumerica, persiana, indiana e persino cinese. Tra Damasco, Baghdad, la Grecia, Roma e Bisanzio-Costantinopoli la storia dimorò a lungo, e le civiltà che ne scaturirono hanno illuminato tutto il mondo.
La particolare posizione geografica del Mare Interno permise l'instaurarsi nell'antichità, quando la propulsione delle imbarcazioni era di tipo eolico, di una nutrita serie di rotte sia di cabotaggio che di traversata. Questo gigantesco bacino posto fra il trentesimo e il quarantacinquesimo parallelo, nell'emisfero Nord, sul quale, guarda caso, si affacciano le terre che hanno dato origine a culture, ad arti e lettere, a ricchezze economiche uniche sulla terra, è caratterizzato da venti variabili stagionalmente sia in direzione che in intensità.
A differenza così delle zone caratterizzate dagli alisei o dai monsoni, i primi costanti in un solo verso durante tutto l'arco dell'anno ed i secondi variabili soltanto di sei mesi in sei mesi, la zona del Mediterraneo presenta una variabilità tale da essere interessata, in un anno, da tutti i venti compresi nell'arco di 360 gradi. La rotazione avviene in senso orario a partire dai venti propri del primo quadrante, caratteristici dei mesi invernali.
Questa particolarità venne sfruttata ampiamente ai fini della navigazione dai popoli che anticamente solcavano le onde del Mare Nostrum. Anche se, sicuramente prima di loro, altri avevano già sfruttato questa peculiarità, il popolo dei Fenici organizzò per primo un vero e proprio servizio marittimo commerciale attraverso l'edificazione di caposaldi posizionati nei luoghi geografici strategicamente più importanti al fini del sicuro ricovero delle imbarcazioni in caso di maltempo. Altre particolarità che caratterizzavano gli insediamenti fenici erano la relativa vicinanza tra di loro, lungo la stessa costa, (circa cinquanta miglia marine), la loro localizzazione, ove fosse possibile. su isole adiacenti alle coste, in modo da offrire in qualsiasi situazione ridossi sicuri per le navi e, in caso di impossibilità nel reperire isole, la loro localizzazione nelle lagune.
Le rotte tracciate da questi grandissimi commercianti navigatori, uniti fra l'altro a seguire nei loro spostamenti notturni la costellazione del Piccolo Carro, (sulla scorta dell'astronomia studiata dai sumeri), erano sostanzialmente due. Quella settentrionale, toccando Cipro, costeggiava la Turchia, passava a lambire le coste del Peloponneso, doppiava l'attuale Capo di Santa Maria di Leuca, attraversava lo Stretto di Messina, risaliva fino ad Ischia, per poi procedere in direzione Ovest, verso le coste della Sardegna, e poi, toccata la colonia di Tharros, proseguiva per le Isole Baleari e le coste della Spagna, in quel tempo terra molto ricca di argento.
La seconda rotta, quella denominata meridionale, lambiva in pratica la costa del Nord-Africa e proseguiva oltre le Colonne d'Ercole, collegandosi alle rotte oceaniche del Mare del Nord, dell'Atlantico e delle Isole Azzorre.
Tutto questo accadeva tra il dodicesimo e il secondo secolo avanti Cristo. Un'altra civiltà si affacciava in quegli stessi secoli sulle sponde del Mediterraneo. A differenza del puro e semplice interesse commerciale, che rivestivano le imprese coloniali dei Fenici, l'espansionismo del popolo greco venne ispirato da conquiste territoriali e da un forte aumento demografico. La colonizzazione greca non si diffuse così come accadde per quella commerciale fenicia; il "Far West" dell'epoca era costituito dalle coste e dall'entroterra della penisola italica meridionale. Lì la concentrazione di colonie greche fu altissima, mentre lungo le coste dell'Africa del Nord, della Spagna e della Francia il numero degli insediamenti si può contare sulle dita delle mani. Il commercio tra le colonie dedotte e la madrepatria fu molto florido e nel Mar Jonio in quell'epoca si intrecciavano le rotte delle più evolute civiltà. Quasi in maniera ciclica, le mire espansionistiche di un altro popolo, quello romano, finirono con l'annientare queste due più vecchie civiltà nel volgere di pochi decenni.
Molto più organizzato sia militarmente che politicamente e amministrativamente, l'antico popolo dei latini in un breve giro di tempo impose la propria egemonia su tutto quel mare, che divenne così di fatto il "Mare Nostrum". Il commercio che l'Impero romano mantenne con le sue colonie, anche le più lontane, era molto intenso e soprattutto a cavallo tra il secondo secolo prima di Cristo ed il secondo dopo la sua nascita, si intensificò a dismisura, tanto da risultare molto difficile il controllo militare dell'Impero sui convogli.
Le colonie dedotte dai Romani superarono ampiamente in numero e anche in dimensione quelle di ogni altro popolo dell'epoca; le merci trasportate in quei secoli lungo le rotte del Mediterraneo erano dei più svariati tipi: si andava dall'avorio all'ambra, dal ferro al legname, dal marmo al granito, dal vino al grano.
Della frenetica attività commerciale che riforniva, allora come ora, la capitale, Roma, ci restano le testimonianze scritte di storici dell'epoca, le rovine architettoniche immerse nelle caotiche città moderne, e i manufatti conservati nei musei. Un settore ultimamente in espansione, fonte dalla quale sempre più si attinge, è quello dell'archeologia subacquea. Attraverso il recupero degli oggetti e delle merci trasportate dalle navi affondate duemila anni fa, è possibile infatti comprendere la natura dei commerci e delle abitudini di vita delle antiche civiltà. E così, in relazione alla posizione geografica in cui ci si trovi, è possibile anche osservare le testimonianze dell'uno o dell'altro di questi tre popoli, che con la loro presenza caratterizzarono la storia di questa zona venti secoli or sono. Tutta l'Italia meridionale, la classica Magna Grecia, è costellata di colonie greche e romane, la Sardegna è tipicamente fenicia, così come lo è in parte la costa nord-africana e quella della penisola iberica. Come i Romani, i Fenici si trovano, oltre che nelle coste dell'Italia del Nord e dell'ex Jugoslavia, un po' dappertutto. Ma nessuno quanto i Romani, che completarono la visione unitaria di questo Mare Interno iniziata sostanzialmente con i commercianti navigatori più audaci del loro tempo.
E' stato scritto, infatti, che i Paesi e i popoli che si affacciano sulle rive del Mediterraneo hanno costituito, proprio al tempo dell'Impero romano, una unità politica e culturale. Ma l'Imperium non era propriamente l'Europa, che soltanto con Carlo Magno cominciò a muovere i suoi primi passi. In questa prospettiva, dunque, di un'Europa mediterranea non si può parlare. Fernand Braudel, nel gran libro in cui ha saputo portare il Mediterraneo alle dimensioni della storia (la quale non soltanto dagli spazi geografici è fatta, ma soprattutto dagli uomini, padroni e inventori di quegli spazi), afferma che l'Europa è un mondo duplice o triplice, composto di esseri e di spazi diversamente lavorati dalla storia, e che il Mediterraneo, nella misura in cui informa di sé fortemente il Mezzogiorno di essa, ha non poco contribuito, da parte sua, ad opporsi all'unità dell'Europa stessa: esso l'attira verso di sé, la spezza a proprio vantaggio.
Diversa è invece la prospettiva di altri studiosi, la cui ricerca è volta a definire e ad analizzare il sistema dei rapporti in Europa nel Medioevo e nella prima Età Moderna. I risultati della loro indagine sottolineano come la storiografia politica, specialmente italiana, sopravvalutando il rapporto città-contado, ha finito per dare una valutazione riduttiva dell'imponente fenomeno urbano e comunale, in quanto ha tralasciato di considerare il ruolo determinante dei ceti mercantili nei quattro secoli di rigoglio e di espansione della vita comunale, tanto sul piano interno, quanto soprattutto su quello internazionale. Costoro vedono le città medioevali "come compassi, la cui punta è nel cuore delle città e il braccio arriva fin dove arrivano gli uomini di quelle città e li sorreggono gli ordinamenti e la volontà politica dei loro comuni, ma la loro influenza si fa sentire fin dove giungono gli altri uomini che sono in continuo o periodico contatto con i primi".
Europa mediterranea è dunque questa Europa delle città, dove l'aggettivo sta a sottolineare il primato dei mercatores italici sui transmuntani - i due termini ricorrono nelle fonti del tempo - e la forza egemone del cosiddetto quadrilatero, Firenze, Venezia, Genova e Milano; ma le due grandi aree, quella mediterranea e quella d'Oltralpe (o d'oltre Reno, o d'oltre Danubio) erano profondamente saldate, a formare l'unità della circolazione europea.
Così fu fino a quando la rivoluzione ideologica innescata dalla Riforma non spezzò, frantumandoli, i due spazi già complementari, e il conflitto politico-religioso produsse quelle fratture insanabili delle quali dovettero tener conto gli Stati territoriali, complicando e ostacolando con le loro misure d'intervento l'inserimento dei cattolici in aree protestanti, e viceversa, tanto in Europa quanto nel Nuovo Mondo.
E' questa un'ipotesi già balenante in un interrogativo di Braudel. Lo storico francese si domandava, retoricamente: "Si può negare che solo a Nord di queste città miste (quelle da lui individuate nella cerniera Lione-Ginevra-Augusta-Vienna-Cracovia-Leopoli) comincia l'Europa ostile al Mediterraneo, l'Europa della Riforma protestante, l'Europa dei Paesi nuovi, aggressivi nella loro ascesa, il cui avvento indicherà a modo suo gli inizi di quelli che noi chiamiamo i "tempi moderni""?
Se l'ipotesi conclusiva resta ancora da verificare nelle sue articolazioni, ampia e suggestiva è ormai la documentazione raccolta sulla circolazione degli uomini, delle informazioni, dei capitali nei secoli XII-XVI, cioè su quel comune tessuto economico, sociale, culturale che si veniva allora costituendo nel nostro continente. La linfa vitale che scorreva nelle sue arterie era costituita dallo straniero, la cui circolazione ebbe allora una così diffusa capillarità come mai prima né dopo. Gli stranieri furono protagonisti, spesso oscuri, della storia europea: operai stagionali, artigiani depositari di competenze tecniche ai più sconosciute, funzionari delle amministrazioni, su su fino a quei mercanti-banchieri che ai livelli più alti costituirono delle vere e proprie élites internazionali politico-finanziarie, come quelle dei Bardi, degli Strozzi, degli Acciaiuoli, dei Medici. Ne viene delineata tutta una geografia dell'irradiamento e del radicamento, con aree di azione centripeta, che attraggono, ed altre a vocazione centrifuga, che respingono.
Ma quale fu, dentro questo sistema di rapporti, il ruolo del Mezzogiorno d'Italia?
Il carattere prevalentemente agricolo della sua produzione e quello feudale delle sue istituzioni (del resto comune alla maggior parte dell'Europa e della stessa Italia), non costituirono in quei secoli elementi determinanti di diversità e di alterifà rispetto alla restante Europa, come ancora talvolta la storiografia, specialmente settentrionale, è portata ad assumere pregiudizialmente.
Nell'Europa delle città c'è anche un Mezzogiorno di città, non soltanto le grandi capitali, Napoli e Palermo, ma Salerno e Barletta, sedi di fiere internazionali, e Gaeta, Amalfi, Trani, Melfi, Messina, Trapani, Gallipoli, nodi nevralgici del sistema di scambi allora operante. Certo, è la presenza dei grandi operatori, di respiro internazionale, quali in cima a tutti furono i fiorentini, ad inserire il Regno nel grande spazio euro-mediterraneo.
Ma quella presenza stimola anche le energie interne più riposte, che nell'autorità della "monarchia" trovano altresì un fattore di coordinamento e di sviluppo, così che il duplice movimento poté concludersi, fino almeno alla svolta del XVI secolo, non nella subordinazione e dipendenza del Sud agricolo dal Nord industriale, ma nella loro integrazione e necessaria complementarietà. Per quanto un discorso con e sulle formule storiografiche sia deprecabile e quindi da evitare, in quanto deforma quello che esse, con riguardo al lavoro scientifico che le precede e le giustifica, esprimono concettosamente, diremmo che, nell'arco di tempo a cui i documenti si riferiscono, Napoli - la città e il Regno -, più che "un'altra Europa", si possa definire come "un'altra Napoli" rispetto a quella che conosceremo in seguito.


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