La prorompente
interpretazione espressiva di Tonino Caputo, quasi cittadino americano,
oggi, e il suo gioco pittorico ultimo conducono spesso ad una rivolta
creativa.
La sua esperienza pittorica, che partì dal 1957, ci permette
di rilevare punti salienti dell'analisi interpretativa che traduce
i punti essenziali delle problematiche lavorative espressive a contatto
col suo vivere ora a Roma, ora a Parigi, in Australia, in Svezia,
e attualmente tra Roma e New York. Da non dimenticare che Tonino lascia
la sua Lecce all'età di diciannove anni per andare a vivere
a Roma. In questa prima avventura influisce su di lui l'esterno e
l'interno della grande città, e le proiezioni interne sentimentali
operano sulla crescita dell'artista, così le sensazioni dell'io,
soddisfatte, fanno uso di un linguaggio simbolico-artistico nei suoi
dipinti, e si nota il gioco di dentro e fuori del Salento.
Nella sua Lecce, nel 1957, la prima personale, e la seconda a Roma;
e poi, dal '58 al '65, Roma, Lecce, Taranto, e solo dopo tra l'Italia
e l'estero, senza mai dimenticare il suo Salento, frutto della sua
creatività artistica, e perché no, saggistica, storica,
letteraria.
Dopo questa carrellata, direi biografica, bisogna passare entro la
rete che congiunge il passato con il mondo d'oggi pittorico, che è
accompagnato da luoghi ed eventi storici, dalla schiavitù alle
grandezze, in cui il vivente come persona viene pervaso dall'identità
industriale architettonica e dal consumismo. Così Caputo affronta
e si esprime in forma simbolica in funzione del sociale e soprattutto
con un obiettivo costruttivo espressivo del tempo. Nelle tele lo spazio
è assorbito prevalentemente da strutture orizzontali che si
contrappongono al verticale come scambio d'intento applicativo, mentre
il cielo spesso ottenuto da colori freddi fa da terza dimensione.
Le più recenti opere è come se tendessero al suggestivo
grafico architettonico per sminuire gli spazi paesaggistici naturali
o le composizioni cariche di lirismo incantato. Insomma, aperture
di tagli e spazi ottenuti con rigore immagazzinato da interessi notevolmente
tecnico-grafici di grande trasparenza coloristica pittorica che documenta
la padronanza e la professionalità del maestro. I colori caldi
metallici contrastano con quelli freddi e si armonizzano in maniera
conforme nei monumenti urbani. Alcuni di questi hanno il sapore di
quartiere bidonville o di vecchie fabbriche industriali inoperose.
La cura disegnativa geometrizzata ha una funzione sistematica a reti
di logica, in cui il colore è sostituito da elementi di altro
tipo, così il tutto diventa comportamento tecnologico significativo
culturale.
Il colore fluido ad olio è stirato, levigato sulla tela che
diventa quasi inchiostrata, qualificando così bene la stilistica
architettonica che accompagna i pieni e vuoti che valorizzano i prospetti
assonometrici orizzontali e verticali della composizione.

Gli effetti significativi sono quasi sempre ottenuti per mezzo del
proprio piacere-prestigio che diventa dinamismo dell'io e idea della
personalità, che mette insieme il turbamento di una società
istituzionale che rappresenta con ambiguità storica i propri
valori. Insomma, una specie di aspetto provocatorio dell'irrequietezza
di questa nostra civiltà, ma soprattutto di una parte di umanità
dell'America costretta a recepire turbamenti.
La caparbietà del segno, del dettaglio, in Caputo in questo
periodo vuole rompere - secondo me - il panorama contemporaneo artistico,
per rovesciare la composizione in forma scenografica metafisica. Con
questa operazione, di imprigionare e catalogare una storia, un volto,
un'emozione in strutture-contenitori del passato e del presente, l'artista
documenta il valore significativo di spazio oppresso o vitalizzato
proveniente dalla cultura d'oggi.
Le scritte sui muri della metropoli periferica diventano titolo dell'opera
e memoria significativa del simbolo, connotazione della gioventù
nella realtà attuale, segno segreto o magico delle cose. Non
solo scritti in primo piano della composizione, ma oggetti di un tempo
che si pongono su primi piani statici architettonici, che consapevolizzano
il proprio abbandono, che si alternano e si ribaltano metafisicamente
tra di loro.
La loro sottile modulazione ha un rapporto con le nature morte del
primo periodo del pittore. L'artista ha sempre mirato, nel suo itinerario
pittorico, a comporre gli oggetti nella superficie, in chiave disegnativa
pittorica, evidenziando il segno-luce in ascendenza metafisica, perché
il mosaico dei suoi sentimenti, dei suoi pensieri, si è basato
su schemi razionalizzati.

Alcuni hanno voluto collocare gli "intenti" dei valori istituzionali
a Duchamp, poi a Manzoni. Caputo, a mio giudizio, ha sempre fatto
ricorso ai propri tempi tecnici e creativi, mirando solo a risolvere
l'opera sia con la linea-forma che con il colore, identificandosi
nella direzione della "geometria razionale rinascimentale"
e di infiniti e "reali mondi fantastici". E qui sono d'accordo
con Toti Carpentieri.
La chiave classico-moderna è un evento determinante nelle opere
recenti di Caputo, perché disciplina un fatto, una memoria,
portato a ricordare i vari strati sociali, senza mai cadere, come
molti artisti degli anni Cinquanta, nello sgocciolare colori in superfici
o riempire barattoli di escrementi personali o spatolare alti strati
di varie materie, per poi graffiare o incidere o incollare pezzi di
carta o stampare fotografie su tele o far ricorso ancora ad altre
trovate.
Il discorso non vuol essere polemico nei riguardi di artisti pittori
maestri, molti dei quali stimo, di molti dei quali ammiro la creatività
e il coraggio che hanno portato a svegliare alcuni momenti dell'arte
del passato ormai divenuta iconografica e vecchia. Ma lo è
nei confronti di chi ha voluto fare arte moderna, imitando o ricorrendo
a tali mezzi, ottenendo solo delle brutture fuori del tempo.
