§ MALA-ARTE

ATLANTIDE SOMMERSA




Sergio Bello



Italia terra dell'arte? Ormai è un luogo comune. Che può essere vero. Ma è anche vero che l'Italia è uno dei pochi Paesi che cura di meno il suo patrimonio. Si pensi all'universo dei musei minori che innerva l'intero Belpaese come una rete d'oro simile a una sorta di Atlantide sommersa. Sappiamo benissimo che c'è, talvolta lo intravediamo come in trasparenza o come per miraggio. Ma quanta parte di quel meraviglioso continente è davvero praticabile? I musei minori, soprattutto quelli civici, e le pubbliche collezioni esistono, sono segnalate dalle guide, citate nella letteratura, descritte nelle storie locali, ma poi, quando il viaggiatore curioso gira con la guida rossa del Touring Club tra le mani, gli capita spesso di incontrare portoni chiusi e strutture disattivate. Trova memorie interrotte.
E' capitato alle grandi statue del Duomo di Orvieto, capolavori assoluti della scultura manierista e barocca, opere del Giambologna e del Francavilla, compreso l'Arcangelo Gabriele che è la più alta espressione artistica del Mochi: vennero rimosse per un malinteso gusto puristico un secolo fa, e ancora attendono di farsi rivedere. Questa è la storia di un colpo di mano che ci fa capire molte cose. Noi vediamo Mochi e Giambologna attraverso lo schermo delle gabbie di legno nelle quali sono imballati e avvertiamo il disagio di una bellezza clamorosa che esige di uscire, che pretende di essere ammirata in tutta la sua gloria.
Analogo destino per la Pinacoteca di Faenza, fondata nel 1797, sintesi perfettamente esemplare della civiltà artistica romagnola attraverso cinque secoli. I quadri sono ancora tutti lì, attaccati al chiodo, appena velati di polvere: i Palmezzano e i Biagio d'Antonio, gli Zaganelli e i Ferraù Fenzoni, i Tiarini e i Guercino. Ma la spina è stata staccata, il museo è chiuso e ci vorranno anni prima che i lavori di ristrutturazione e di adeguamento alle norme di sicurezza vengano finanziati, appaltati ed eseguiti. E' un trauma immateriale dolorosissimo. E intanto la memoria a poco a poco svanisce. Fra dieci anni saremo al punto di prima. Solo che nessuno ne parlerà più. Così muore una cellula dell'Italia storica.
Vicenda unica? Proprio no, purtroppo. Un altro esempio: il restauro di Palazzo Madama di Torino, chiuso nel gennaio 1988, con la scadenza di fine lavori prevista per il 1990. Ma ancora oggi nessuno è in grado di stabilire la conclusione di questo restauro che è costato fino a questo momento 21 miliardi di lire, e che ne richiede altri otto per riportare al loro posto i ventiseimila oggetti d'arte, ora accatastati nei magazzini, e le oltre mille opere, tra pitture e sculture, in serio pericolo di degrado.
Dispersi ovunque gli arredi di Palazzo reale di Milano: mobili, arazzi, lampadari, persino i pavimenti di Maggiolini posti in salvo prima della seconda guerra mondiale. Centrato dalle bombe nell'estate del 1943, andò perso il bellissimo Salone delle Cariatidi, insieme con molti altri ambienti; ma pochi sanno che gran parte del Palazzo reale è stata centrata dall'incuria, ed è oggi, come ha detto Federico Zeri, "un rudere ignobile", visitando il quale "si prova un sentimento fra l'angoscia e il disgusto". Gli arredi sono dispersi tra scuole, prefetture, uffici comunali, fino alle soffitte della Certosa di Pavia.
E' stato scoperto un busto di Napoleone in una scuola di Milano. Nel letto di Napoleone in prefettura ci ha dormito Lady Diana. Altri arredi preziosi sono introvabili, ma in compenso in un ufficio del comune di Milano è stato scoperto uno dei due scrigni di Napoleone, firmati Maggiolini, ma inventariati come "stile Maggiolini". Tanto può l'ignoranza!
La mappa dell'incuria e dell'abbandono non sembra avere confini.
I gessi dell'Accademia di Brera sono stati devastati dagli studenti che frequentano quell'accademia, e quel che è rimasto è immagazzinato in una scuola materna alla periferia della città. Continuiamo la discesa negli Inferi dell'arte italiana. Venaria Reale. a due passi da Torino. la "Versailles d'Italia", concepita dallo Juvarra per le cacce del suo re, oggi è una sterminata e gloriosa rovina, bella come una veduta di Piranesi. L'opulenta città della Fiat lascia che si consumi così il suo gioiello, nato come una conchiglia vuota. Stessa storia, nella stessa città, per l'ex ospedale barocco San Giovanni.
A Napoli, chiesa di Sant'Agostino degli Scalzi: chiesa squassata dal terremoto, cancellata dai furti (una trentina, dal 1982 ad oggi), irta di ponteggi, priva delle tele che la Soprintendenza ha dovuto portar via: i Mattia Preti lucidi e tenebrosi, i Luca Giordano dorati e splendidi. A Roma, l'Antiquarium: ottantamila pezzi che dal 1939 giacciono in centinaia di casse sparse in due palazzi capitolini.
A Firenze le soffitte di Palazzo Pitti sono stracolme di opere d'arte non fruibili, perché immagazzinate; come nei musei di Magna Grecia di Taranto e di Reggio Calabria; come nelle aree ancora da riportare in luce a Pompei.
L'Italia possiede il sessanta per cento dei beni artistici e culturali del mondo intero, cui tuttavia destina soltanto lo 0,20 per cento del bilancio statale.
Una ricchezza sterminata, che potrebbe essere fonte di lavoro per i giovani e di reddito per il Paese, rischia di presentare un numero ogni giorno crescente di teatri dell'orrore, di scenari della vergogna. Mentre continuano furti e saccheggi, dispersioni, affidamenti temporanei che diventano perpetui, con opere delle quali si perdono tracce e memoria. Non è accaduto questo persino al Quirinale e alla Camera dei Deputati?


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