§ ASPETTANDO L'EUROPA

POLITICAMENTE IMPOSSIBILE




Mario Talamona



In questa valle di lacrime non c'è soltanto il "politicamente corretto", che secondo Robert Hughes corrisponde alla cultura del piagnisteo. C'è anche il "politicamente impossibile", cioè quello che si dovrebbe fare e magari si vorrebbe, ma non si può. Sarebbe necessario, giusto, persino bello: ma non si può.
Politicamente, una contraddizione in termini. Se si trattasse di leggi fisiche o almeno di compatibilità economiche, per quanto statiche, saremmo nel più banale dei realismi.
L'ambigua definizione della politica come arte del possibile sarebbe innervata dall'essenza bertoldesca, ma rudemente insuperabile, dell'economia quotidiana: non si può avere la botte piena, pardon, e la moglie ubriaca. Però, trattandosi appunto di politica, e tanto più nel senso della politica economica e finanziaria, l'intersezione fra politicamente corretto e politicamente impossibile tende a generare risultati preoccupanti, al quadrato.
Da una parte fa venire in mente l'immagine Anni '50 del capitalismo americano visto da Galbraith: come il calabrone, secondo le leggi dell'aerodinamica, non potrebbe volare, e invece vola. Ma, dall'altra, dovrebbe esortare a riprendere finalmente la lotta senza tregua sfortunatamente condotta contro la cultura fatalistica del "non si può" da un grande esponente dell'Illuminismo napoletano, l'economista Antonio Genovesi (sua fu, nel 1754, a Napoli, la prima cattedra di Economia pubblica o politica in Europa, anteriore anche a quella milanese del Beccaria, giacché Adam Smith a Glasgow, dal 1751, insegnava non a caso Filosofia morale). Un'eredità intellettuale che oggi sarebbe preziosa non soltanto per il "riscatto" del Mezzogiorno, ma anche per il futuro dell'intera Penisola.
Dai concetti astratti è del resto facile scendere agli esempi concreti, specifici, quasi pedanti. Gli unici, poi, che si osservano ad occhio nudo. Prendiamo il Dpef, quell'impronunciabile sigla che sta per Documento di programmazione economico -finanziaria 1997-99. Sul quale non vorremmo infierire, visto che autorevolissimi interlocutori se ne sono già dette di tutte le sfumature. Negli Atti parlamentari si compone di 106 pagine, più 27 di grafici e tabelle. Descrive una "strategia in due tappe", quanto ad interventi correttivi. Se si vanno a leggere le tre paginette dedicate agli interventi sulla spesa per circa 21.000 miliardi (due terzi di tutta la manovra di 32.400, essendo il resto "pura fantasia"), si trova solo bambagia: una sorta di omissis. Si apprende che di margini per interventi correttivi "facili" (sic!) ne sono rimasti ben pochi. Perciò si pensa vagamente di "ricercare risparmi", "contenere la spesa", "riordinare gli interventi", "ridefinire i rapporti", "razionalizzare l'area", e così via. Insomma, ridurre gli sprechi: come se fosse tanto facile. Un proposito sacrosanto, ma che vuol dire tutto e niente, in attesa di nuove regole funzionali, di obiettivi di budget, di costi e di rendimenti, proprio come per le aziende non sussidiate.
Politicamente corretto è il bisturi, non la scure, come ammonisce anche la Corte dei Conti. Politicamente impossibili sono gli interventi "difficili". Nel Dpef, fra tante parole, si leggono soltanto in filigrana: previdenza, sanità, ed altro. Ma non si può.


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