§ ASPETTANDO L'EUROPA

LA REAZIONE




Guido Ceronetti



Diventerò, per essere nato in Piemonte, uno scrittore padano? Uno degli autori più viziati dalla Fortuna della Padania? Le schede, maledette, quelle resistono a tutto, e qualcuno accanto al mio nome troverà scritto padano, perfino in Australia gli informati da Internet sapranno della mia padanità inesorabile, ma i miei Mani non ne saranno deliziati, non capiranno, come non capirci io se di colpo, da scrittore italiano (non piemontese: italiano) come credevo di essere, diventassi padano.
Se fossi nato a Treviso, a Udine, già sarei uno del Nord Est. "Scrittore del Nord Est" è anche peggio che padano. Ma che cos'è questo Nord Est? A me sembra un brutto posto, pieno di fumi, dove non si esalta che il lavoro. Non è un Veneto imbruttito, è nulla. La fatale, ineluttabile "perdita di patria", della più grande patria, si ripete, si riproduce nelle piccole patrie in cui cerchiamo rifugio, perché non sono patrie ma discariche perdute, merci in deposito o viaggianti, statistiche.
Se la più grande patria - chiamiamola ancora Italia - è persa (senza occupazione straniera, senza cancellazione cruenta d'identità, persa semplicemente perché lampada spenta, luogo buio), le piccole patrie all'interno della grande sono perse insieme con lei. Se non c'è più l'Italia, Padania è un Non-Luogo ancora prima di costituirsi come piccola patria alternativa. Come scrittore padano io sarei meno del poco che già sono come italiano. La privazione di patria non cesserebbe di essere dal Pian del Re a Comacchio uno "spettro che si aggira", una malattia corrodente che affiorerebbe alla coscienza, mentre nell'angoscia diluita unitaria passa inavvertita.
Nella privazione di patria (non di Stato, di patria: la penuria di questa rende precario lo Stato) l'italianità, modello ideale, essenza, permane. C'è pur sempre una Italie éternelle, che non ha bisogno di ministeri culturali per rendersi sensibile, che è al di sopra, anche, di ogni concetto di cultura, e che può fare a meno, se accadrà, di ogni Italia costituita politicamente. Gli archetipi, una volta rivelatisi, non si perdono: è il loro raggiare che può oscurarsi. Così l'italianità è una luce appartata di cui la tenebra non può impadronirsi, un'innocenza passiva che in un fermentare di crimini attivi non può tuffarsi.
Se l'Italie éternelle ha un linguaggio, l'Italia visibile parla più gerghi di cui nessuno raggiunge il linguaggio. In verità l'Italia parla oggi una lingua che riflette la sclerosi del pensiero, in cui si profila l'uomo minacciato nella sua umanità, arreso alle forze disgregatrici. E questa lingua, guasta anche quando è correttissima, essendo il guasto interiore, non ha né un Nord né un Sud, è una massa di suoni articolati sempre meno latini di cui ci serviamo per comunicare equivocamente, penosamente, del pratico niente.
Non succede soltanto qui, di non riuscire, pur parlando la stessa lingua, a capirci, e l'uso forsennato del telefono ha minato le basi della comunicazione. I comportamenti che ne derivano sono anomali quanto più sono normali, c'è una quotidiana schizofrenia, e immaginiamoci che cosa accade quando tutto questo caos parlante finisce nell'imbuto parlamentare, nel terribile orecchio della rappresentatività, e con le sue copule mostruose genera governi su governi. Vorrei ci si facesse almeno pallida un'idea di quanto un sistema rappresentativo convogli di questa confusione basilare cieca. Anche nelle cose più normali e accettabili sento un serpeggiare diabolico, una presenza maligna. La perdita del linguaggio, patria suprema, è uguale alla "morte di Dio", ne è una parte; niente di buono, niente di reale, avente una vera relazione con quel che è Italia, può uscire da un luogo dove per antonomasia si parla, evocabile come parlamento.
Non credere al linguaggio così come la lingua lo usa e lo crea implica incredulità verso i luoghi dove si parla: parlamenti, riunioni, tribunali, scuole. Questa incredulità non è determinata da quel che il luogo comune ripete, il non corrispondere fatti alle parole, ma dal non corrispondere le parole alle parole, che non è un inganno, è patologia.
Volentieri darei credito al parlamento padano se fosse un parlamento muto, silenzioso come Saint-Just prima del patibolo. Ogni parola detta, diffusa nell'etere, registrata, di oratori politici, genera mostri. I mostri non sono quelli delle visioni di Sant'Antonio, ma semplicemente delle creature logiche, degli schizzi a caso di razionalità materiale. "Tacendo, ci ricordiamo della nostra origine divina" (Carl Schmitt).
Francamente, non mi sento di professare né secessionismo né unitarismo. L'italianità è inalienabile, la cittadinanza italiana può essere fluttuante, rinunciabile, confermabile, ritrovabile. L'unità è ridotta a facciata nelle quattro regioni meridionali dominate da
poteri tenebrosi, che lo Stato centralizzato coi puri strumenti giudiziari contrasta fiaccamente. Hanno fatto parte di governi e parlamenti gli uomini che hanno venduto e abbandonato quelle regioni ad una incalcolabile devastazione. Che cosa sono i malumori fiscali e culturali di Torino e del Lombardo-Veneto, paragonati a mezzo secolo di condanne a morte emesse ed eseguite nel Sud dai tribunali mafiosi?
Il padanismo si riferisce al fiume che attraversa la pianura. Padania da Po. Non credo che Bossi e i suoi abbiano orecchi per il grande lamento che sale dal fiume. Il rimpianto del fiume è per i padani di molto tempo fa, che passavano in fretta e vivendo sulle sue rive lo disturbavano poco. Adesso la loro potenza distruttiva si è centomilliplicata e il fiume, se fosse lui il più forte, li seppellirebbe tutti dove la sua pancia è più larga. 11 fiume, vecchio e intrepido animale, riceve dalle loro famose Attività Produttive lo stesso piacere che il toro sacrificale coperto di banderillas. Le ha in odio, le loro frenesie competitive di mercantili, il fiume. Le discoteche, le macchine, le centrali dell'Enel, i diserbanti, le scorie di Caorso, il petrolio tra le risaie, le droghe...
Roma capitale la detesto anch'io, è un orco, un Saturno, ma se liberarsene vuol dire addensare più fumi in quella povera pianura italiana, raddoppiarli per vendere di più ai tedeschi e ai giapponesi, le sue angherie rallentatrici sono preferibili all'efficienza padana. In special modo, sarei per l'indipendenza del Po dall'uomo, italiano, comunitario, extracomunitario, europeo. Metterei su una Lega per questo. Di padanismo politico ne professo solo quel tanto che attiene alla difesa inutile, disperata, über alles, delle ragioni del Po...


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