§ DIBATTITI

... CON LE PROPRIE GAMBE




Giuseppe De Rita



Tre aspetti ritengo oggi decisivi: la messa a regime dei patti territoriali; l'ulteriore sviluppo della piccola impresa, specialmente giovanile; l'intelligente implementazione delle grandi infrastrutture a rete. Anzitutto, ritengo necessario che si dia sviluppo, portandola a regime, all'esperienza dei patti territoriali.
Si tratta dell'esperienza più nuova fatta negli ultimi anni nel Mezzogiorno e dell'esperienza anche più promettente. Ho sempre sostenuto che il Mezzogiorno si sarebbe sviluppato soltanto attraverso una crescita della "soggettualità meridionale", cioè della capacità dei meridionali di essere protagonisti del proprio destino e della propria crescita. Fino a pochi anni fa, questo non era possibile, perché troppo debole era la classe dirigente meridionale e perché troppo forte è stata l'ipoteca politica (i grandi capi-collegio) che sulle classi dirigenti veniva quotidianamente esercitata.
Oggi, dopo la fine dell'intervento straordinario abbiamo avuto la sorpresa di vedere come in tante aree del Mezzogiorno sia cresciuta la voglia collettiva di concretare e progettare processi di sviluppo locali: amministratori locali, sindacalisti locali, rappresentanze locali del lavoro autonomo, associazioni imprenditoriali, Camere di commercio, si sono messi insieme per "fare patto", progettando interventi specifici area per area e candidandosi a gestirli con forte presa di responsabilità.
Questa novità è stata rapidamente presa in carico dal Cnel, che nello spazio di poco più di un anno ha visto arrivare sui propri tavoli oltre sessanta proposte di patti territoriali, che stiamo accompagnando nel lungo iter di coagulazione e di concertazione sociale. Ma la novità è stata recepita anche dal governo e dal Parlamento, che hanno approvato una legge in cui i patti territoriali diventavano una modalità privilegiata di intervento; ed è stata anche recepita dalla Comunità europea, che vede nell'esperienza dei patti la strada, anche per altri Paesi europei, di uno sviluppo che sia al tempo stesso concertato tra le parti sociali e proveniente dal basso e dalle responsabilità dei poteri locali.
La seconda linea d'azione, che mi sembra essenziale per lo sviluppo del Mezzogiorno nei prossimi anni è quella della promozione ulteriore della piccola impresa, specialmente giovanile. L'esperienza della legge 44 e della Società per l'Imprenditoria Giovanile (unitamente a quelle della Gepi, della Spi dell'Enisud, della Legge Marcora) sta a dimostrare che nel Sud c'è più voglia di responsabilità imprenditoriale di quanto sia stato mai pensato nel corso degli ultimi decenni, quasi a significare che la soggettualità meridionale non riguarda solo le classi dirigenti locali, ma anche i singoli che, specialmente nel mondo giovanile, vogliono tentare la strada del "fai da te".
Su questa esperienza bisogna continuare a lavorare con determinazione e intelligenza. Chi gira il Mezzogiorno trova oggi una realtà che personalmente definisco "di nuovo sommerso": tanti giovani lavorano in nero, fanno lavoro precario, fanno lavoro stagionale o a part-time, fanno lavori a partita Iva. Occorre far emergere questo sommerso nuovo, certo meno aggressivo e rampante del sommerso che come Censis scoprimmo all'inizio degli anni '70 in quelli che sono oggi i vitalissimi distretti industriali (da Biella a Prato, da Lumezzano a Fermo, da Arzignano a Barletta-Trani); tuttavia esso denota una dinamica di base che non è più di fatale rassegnazione alla disoccupazione o di fatalistica attesa di un posto pubblico. Per questo occorre incentivare tutti quelli che nel Sud sono sulle soglie della decisione di mettersi in proprio e di affrontare una sfida di lavoro indipendente, se non addirittura di iniziativa imprenditoriale.
Gli strumenti ci sono, e non sono quelli del tradizionale sistema di incentivazione; sono piuttosto quelli, e li ho citati, che permettono di assistere, monitorare, controllare la fungaia di potenziali iniziative che oggi sono sul tappeto.
Il terzo impegno che mi sembra giusto segnalare è quello relativo all'implementazione intelligente delle grandi reti infrastrutturali. Non si può negare che l'intervento straordinario, pur con tutti i suoi limiti, ha dato al Mezzogiorno uno scheletro dignitoso di rete infrastrutturale (trasporti, elettricità, telecomunicazioni, ecc.), ma occorre dire che gli interventi hanno creato spesso dei monconi di infrastrutture, senza un'adeguata logica sistemica.
Oggi è necessario riprendere in mano la "cartografila delle reti" e creare le connessioni necessarie, con un lavoro di fino che è certo molto più difficile del precedente, ma che si rivela ogni giorno più necessario. Infatti, un sistema economico moderno, a imprenditorialità diffusa e a forte soggettualità locale (è il sistema a cui dobbiamo mirare per il Sud) si gioca tutto sull'efficienza del tessuto capillare delle grandi reti infrastruttura] i; e si gioca quindi sull'impegno a garantire progressivamente tale tessuto.
Un impegno che non è soltanto naturalmente dello Stato e dell'intervento pubblico, ma deve riguardare anche tutte le grandi aziende, pubbliche e private, che operano all'interno dei sistemi a rete. Sono abbastanza sicuro che gli studiosi di meridionalismo sarebbero propensi a ritenere parziali e non esaustive le tre grandi linee di lavoro che ho schematicamente indicato. Ma sono altrettanto sicuro che, se realizzate, tali linee di lavoro potrebbero rappresentare una svolta decisiva nell'antica defatigante assunzione di responsabilità verso lo sviluppo meridionale.


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