§ MESSAPIA RINNEGATA

LE CITTA' SOMMERSE




Marilena Nicolardi



I primi studi significativi sulla civiltà messapica risalgono all'inizio del secolo, quando i lavori di Mayer, De Giorgi e successivamente di Ribezzo, Parlangeli e De Simone tracciarono un primo abbozzo sugli usi e le tradizioni delle antiche genti d'Illiria.
Le ricerche effettuate in seguito da storici e archeologi hanno spesso analizzato le probabili cause che portarono in Puglia le popolazioni provenienti dal Mediterraneo orientale. Indubbiamente ebbero un ruolo decisivo la configurazione della regione, con le sue pianure adatte all'agricoltura e all'allevamento, e la particolare posizione geografica che facilitava i collegamenti marittimi.
Fra le Murge tarantine, il Tavoliere salentino e le Serre i Messapi diedero vita, dal IX al III secolo a.C., a forme originali d'arte e cultura con forti influssi greci, delle quali tuttavia si aveva una conoscenza piuttosto nebulosa. L'esplorazione sistematica, introdotta nell'ambito delle ricerche storico-archeologiche condotte nei vari centri messapici del Salento, ha poi consentito a partire dagli anni '50 una ricostruzione più approfondita delle fasi evolutive di questa civiltà. Oggi molte lacune relative all'assetto socio-culturale e religioso degli antichi Messapi sono state colmate; tuttavia taluni aspetti restano ancora poco chiari o del tutto sconosciuti.
Sede messapica fu Santa Maria di Leuca dove, nel 1973, in corrispondenza di Punta Meliso, sono stati rinvenuti resti di un villaggio fortificato dell'età del bronzo, con sovrapposizioni di un insediamento successivo. Il villaggio era cinto da mura costruite con pietra locale e bolo rossiccio. In questa stessa zona fu ritrovato parecchio materiale del Bronzo finale e dell'inizio dell'età del Ferro, in particolare il frammento di un ampio bacile protogeometrico iapigio e vari tipi di ciotole e olle.
Di notevole interesse sono i resti di alcuni pavimenti, realizzati con la tecnica "potsherd", vale a dire con frammenti di ceramica d'impasto sui quali veniva posto uno strato d'argilla cotto nei focolari. Resti messapici sono stati individuati anche nell'area della grotta "Porcinara", che era un luogo di culto: sono state rinvenute tracce di un'eschara con deposizioni votive che risalgono all'VIII e al VII secolo a.C., e resti di ceneri e di ossa animali. Tra i reperti vi sono frammenti di ceramica con graffiti in greco e messapico.
Poche notizie si hanno su Ugento. La città, le cui origini risalgono almeno agli inizi del VI secolo a.C., copriva una superficie di circa 145 ettari ed era cinta da mura fortificate, lunghe cinque chilometri, di cui ora restano solo pochi tratti scampati alla violenza delle ruspe. Le mura, come nella maggior parte dei centri messapici, erano costituite da una doppia cortina di blocchi squadrati in pietra locale.
All'interno della cinta muraria, nell'86, fu scoperta una necropoli rimasta in uso almeno quattro secoli, con numerose tombe ricche di materiale risalente al periodo dal VI al III secolo a.C. Circa ottocento reperti si possono ammirare presso il Museo comunale di Archeologia: vasi a vernice nera, kalothos, trozzelle, lastre dipinte relative ad una tomba il cui corredo è stato trasferito a Taranto, e una documentazione preistorica. Tra le scoperte più rilevanti effettuate ad Ugento è da annoverare il famoso Poseidon in bronzo, unica statua messapica rinvenuta fino ad oggi, collocata dopo alterne vicende nel Museo Nazionale di Taranto.
Da segnalare è anche la collezione di casa Colosso, che comprende circa un migliaio di pezzi individuati alla fine del secolo scorso: trozzelle istoriate, urne, piatti fittili e alcuni lacrimari in vetro. I reperti, ancora in attesa di catalogazione, risalgono al V-IV secolo a.C.; alla stessa epoca appartengono alcune lapidi funerarie con iscrizioni in lingua messapica rimaste indecifrate. Della collezione di casa Colosso faceva parte anche una raccolta di circa mille monete, alcune delle quali coniate ad Ugento, che furono trafugate nel '77.
Frammenti di vasi messapici, di tradizione geometrica e d'importazione greca, risalenti al periodo tra VII e III secolo a.C., sono stati rinvenuti nella grotta "della Trinità", nei pressi di Ruffano. Sicuramente la grotta era adibita a luogo cultuale; nessun elemento chiarisce tuttavia il tipo di culto praticato e la divinità invocata.
Sulla costa orientale, a Castro, in prossimità della piazzetta Belvedere, è stata scoperta nel '77 una cinta muraria lunga 700 metri, risalente alla fine del IV o al III secolo a.C. La posizione dell'insediamento serviva probabilmente a controllare i traffici marittimi del canale d'Otranto.
Tra i centri messapici di maggior rilievo c'è Vaste, l'antica Basta, sede dal 1981 di ricerche sistematiche realizzate dalla Soprintendenza Archeologica pugliese e dall'Università di Lecce, in collaborazione con l'Ecole Française di Roma, la Scuola Normale di Pisa e l'Università Libera di Bruxelles. A Vaste, come del resto a Cavallino, sebbene tra i due siti permangano notevoli differenze, è possibile studiare la trasformazione dell'insediamento da villaggio a centro protourbano.
Risalgono all'VIII-VII secolo a.C. i resti di capanne a pianta ovale con muro perimetrale a secco, rinvenuti insieme a tracce di focolari, frammenti di ceramica iapigia, di materiali greci importati, e di cisterne colmate successivamente con tegole e pietre. Nel IV-III secolo a.C. si passò a costruzioni a pianta rettangolare, costituite da un cortile interno intorno al quale v'erano diversi vani, con pavimenti in tufo pressato e copertura a tegole. All'interno del centro abitato era collocato l'ipogeo delle Cariatidi, che risale alla seconda metà del IV secolo a.C. In questo periodo fu costruita anche la cinta muraria, lunga più di tre chilometri, con due porte d'accesso alla città. Già in epoca arcaica l'insediamento era attraversato da un asse viario principale, in prossimità del quale è stato individuato un luogo di culto risalente al VI secolo a.C., con recinzioni e dipinti calcarei vicino ai quali v'erano frammenti di oggetti utilizzati come offerte votive: vasi, coppette e skyphos. Sull'area cultuale, nel V-IV secolo a.C., fu impiantata una necropoli gentilizia. Nelle tombe maschili prevalgono crateri e suppellettili con caratteristiche greche: in quelle femminili ricorre la trozzella. Su alcuni sarcofaghi erano collocati segnacoli funerari con lettere incise. Assieme a resti di altari, di una cisterna e a vari frammenti, è stato rinvenuto anche un altro luogo di culto, improvvisamente abbandonato intorno alla metà del III secolo a.C., quando l'insediamento di Vaste si spopolò.
Un'importante scoperta fu effettuata nel 1989, con il ritrovamento del "Tesoretto" di Vaste: 150 monete tarantine e italiote, databili tra il 281 e il 235 a.C., contenute in un vaso bronzeo. Il "Tesoretto" apparteneva ad un impianto abitativo, utilizzato dalla seconda metà del IV al III secolo a.C. Il vaso era stato occultato in un ripostiglio sotto il livello della campagna, scampato alle arature che l'avrebbero distrutto. Probabilmente il nascondiglio fu usato nel periodo di instabilità che Vaste e le altre città messapiche attraversarono in età romana. Da ottobre, nelle sale del castello baronale, il Comune in collaborazione con la Soprintendenza Archeologica, la Soprintendenza ai Beni Culturali, l'Università di Lecce e l'Amministrazione provinciale, ha allestito un museo dove sono confluiti i reperti prima conservati a Lecce e a Taranto.
Altro centro rilevante era Alezio che, fino ad oggi, ha restituito il maggior numero di iscrizioni funerarie in lingua messapica. Notizie sull'antica Alixias si hanno già in Strabone e Tito Livio; al 1841 risale il libro Aletio illustrata, scritto dal canonico Nicola Maria Cataldi, nel quale si parla dell'insediamento arcaico. Le prime ricerche sul sito furono effettuate da Giuseppe Carteny; solo a partire dal 1981 sono iniziati gli scavi archeologici sistematici che hanno rivelato, in località Raggi, tracce dell'abitato risalenti al VII secolo a.C. Successivamente, almeno fino al II secolo a.C., l'insediamento si spostò dalla zona originaria per poi riprendere la posizione iniziale dalla fine dell'epoca repubblicana. Le ricerche effettuate dall'81 all'85 hanno riportato alla luce una necropoli, con corredi funerari risalenti al periodo dal VI al II secolo a.C., usati anche dopo la conquista romana. Tra il materiale rinvenuto ci sono cippi funerari e iscrizioni generalmente incise nella parte interna delle tombe. Attualmente la necropoli non è più visibile, poiché è stata coperta dai proprietari dei fondi nei quali fu rinvenuta. Anche i resti di un lastricato stradale, individuati nell'odierna via San Pancrazio, sono stati occultati.
Risalendo la costa orientale si trova Otranto, l'antica Hydruntum, il cui insediamento arcaico, attribuito dalla tradizione ai Cretesi, sorgeva sul promontorio a nord della piazza nella quale è situata la Basilica di San Pietro. A ovest del promontorio, nell'odierna via delle Torri, è stata scoperta una necropoli del V-IV secolo a.C., utilizzata anche in epoca romana. Tra le tombe una, risalente alla prima metà del V secolo a.C., conteneva bronzi, kylikes attiche e un cratere a colonne del Pittore di Pari. Probabilmente in quest'area era situato anche un ipogeo funerario ellenistico.
Determinante fu ad Otranto l'influsso greco, dovuto alla frequentazione ellenica del sito a partire dal IX secolo a.C. Tale influsso è testimoniato da numerosi reperti: frammenti di ceramica protogeometrica iapigia, vasi micenei, anfore commerciali corinzie.
I resti dell'abitato, in alcune aree anteriori all'VIII secolo a.C., sono stati cancellati dalle costruzioni medievali e dalla moderna speculazione edilizia, che ha in parte modificato e falsato il paesaggio antico.
Sulla costa adriatica sorge Roca, il cui insediamento messapico ricorda quello di Egnazia. Era cinto da mura lunghe più di un chilometro e spesse trenta metri, di cui sono stati individuati alcuni resti risalenti al 1600 a.C. Alla stessa epoca appartengono frammenti di crateri, vasellame, armi e suppellettili in bronzo, di fattura cretese, e una porta a ingresso sfalsato, di cui si è conservato il legno, sulla quale successivamente furono impiantate strutture murarie di abitazioni. Intorno alla cinta muraria v'era un fossato che serviva a difendere l'insediamento. Sono riconoscibili le tracce delle torri e delle scale addossate al paramento interno, usate per raggiungere i camminamenti superiori delle mura. Resti di una frequentazione dell'epoca del Bronzo e del Ferro, con ceramica geometrica e ad impasto, sono stati rinvenuti nella cinta muraria, su un promontorio. La scoperta di un centro abitato situato sul promontorio supporta l'ipotesi secondo la quale Enea, che Arturo Carlo Quintavalle definisce il simbolo dei navigatori egei e dei colonizzatori della Magna Grecia, sarebbe giunto in Italia approdando a Roca, che era un centro urbano ricco, evoluto, con un fertile entroterra ed un porto accessibile, e non a Porto Badisco, come sostiene la tradizione popolare.
In questa stessa zona sono state trovate anche terrecotte architettoniche che fanno pensare alla presenza di un edificio importante, forse un luogo di culto. Sono state inoltre individuate tracce di una necropoli risalente al IV secolo a.C., con corredi funerari ricchi di vasi attici a figure nere, trozzelle decorate geometricamente, ceramica di Egnazia, elmi a cono in bronzo o in terracotta. Molto materiale si trova ora presso il museo di Lecce.
La città fu distrutta dal fuoco, come testimoniano i resti di sette scheletri, rinvenuti in un camminamento interno della cinta muraria. Quasi certamente si trattava di una famiglia che si era rifugiata in quella zona mentre Roca fu invasa ed aveva occultato l'ingresso del camminamento con orci, rimanendo soffocata. La città fu ricostruita successivamente, in epoca greco-romana.
Si deve al professor Cosimo Pagliara, docente di Antichità Greche presso l'Università di Lecce, il ritrovamento della grotta "della Poesia" che si sviluppa circolarmente su una superficie di 600 mq. e reca numerosissime iscrizioni votive, talvolta sovrapposte, di epoche e civiltà differenti, che risalgono all'VIII-II secolo a.C. e forniscono testimonianze sulla protostoria, l'epoca messapica, greca e romana. La grotta, raggiungibile più agevolmente dal mare, si snoda nel sottosuolo in corrispondenza di una fonte sorgiva di acqua dolce. Era infatti denominata anche "Grotta della Fonte". Anticamente era adibita a luogo di culto (collegato a due grotte contigue), dedicato a una divinità maschile, Thaotor Audirahas, successivamente latinizzato in Tutor Adraius, connessa a pratiche di guarigione.
L'insediamento messapico di Cavallino fu segnalato alla fine del secolo scorso da Castromediano e De Giorgi. Gli ultimi scavi, condotti dall'Università di Lecce in collaborazione con la Scuola Normale di Pisa e l'Ecole Française di Roma, hanno riportato alla luce tracce di capanne dell'età del Ferro e del Bronzo che, verso la metà del VI secolo a.C., furono sostituite da case con ambienti costruiti intorno ad un cortile interno e coperte di tegole. Allo stesso periodo risalgono le mura, il fossato, le porte e le strade pavimentate. Da Cavallino, inoltre, si diffuse nel Salento la scrittura, in graffiti su ceramica, in iscrizioni vascolari dipinte prima della cottura o in testi incisi su pietra e rubricati. Le tombe individuate all'interno e fuori della cinta muraria risalgono al periodo tra la metà del VI e l'inizio del V secolo a.C. Alcune hanno preziosi corredi, altre sono più modeste e sicuramente appartenevano a famiglie di livello medio, di agricoltori o allevatori. Entro la prima metà del V secolo a.C., l'insediamento attraversò una grave crisi e fu abbandonato; in seguito venne abitato sporadicamente, come parte del territorio di Rudiae. Attualmente i resti visibili del centro messapico sono esigui, poiché occultati dai proprietari dei terreni in cui sono avvenuti gli scavi. Molti reperti si trovano presso il museo di Lecce.
A Rudiae, che dalla tradizione viene considerata la città natale del poeta latino Quinto Ennio, è evidente la forte influenza greca. Non si hanno molti dati storici e archeologici sulla città. Si sa che aveva una poderosa cinta muraria, costruita a blocchi squadrati uniti senza malta, secondo la tecnica greca. Al di fuori delle mura v'era una necropoli con più di 70 tombe, i cui corredi risalgono al periodo tra il VI e la fine del IV secolo a.C. L'insediamento fu abitato certamente fino all'epoca imperiale.
Centri messapici rilevanti erano anche Porto Cesareo, Santa Caterina, Gallipoli, Torre San Giovanni e, nell'entroterra, Nardò, Soleto, Muro Leccese e Vereto.
Le numerose testimonianze artistiche, culturali e storiche rinvenute nei vari insediamenti attestano il valore inestimabile del patrimonio che le genti d'Illiria hanno tramandato al Salento. Gli scavi archeologici effettuati ormai sistematicamente continuano a restituire, con frequenza sempre maggiore, resti di capanne, di abitazioni, di suppellettili. Eppure in Puglia non esiste un museo messapico che possa raccogliere ordinatamente il materiale ritrovato. I frammenti di ceramica, le trozzelle, i vasi, le iscrizioni e tutto ciò che è attinente alla civiltà messapica sono dislocati nei musei di Lecce e di Taranto, presso il Dipartimento dei Beni Culturali dell'Università di Lecce, o è affidato alla Soprintendenza Archeologica e a quella dei Beni Culturali pugliesi. L'unica statua messapica finora conosciuta, il Poseidon, si trova a Taranto, nel Museo Nazionale che custodisce i reperti della Magna Grecia e non ha alcun riferimento con i Messapi.
Il solo museo che riguardava le antiche genti d'Illiria fu inaugurato nel 1982 ed ebbe sede nelle sale di Palazzo Tafuri, ad Alezio, dove l'anno precedente si era tenuto un convegno dei comuni messapici, peuceti e dauni che aveva richiamato un vasto pubblico di studiosi, ma anche di non addetti ai lavori. Nel museo, meta di numerosi visitatori, confluirono molti esemplari prima conservati a Taranto. Purtroppo l'iniziativa ebbe vita breve: in seguito a problemi finanziari che non consentivano la retribuzione del personale e ad altre vicissitudini, il museo fu chiuso nel settembre del 1993. Oggi Palazzo Tafuri è adibito ad ufficio di polizia urbana.
Un altro elemento che ostacola l'opera di valorizzazione della civiltà messapica è costituito dalla mancata divulgazione, tra la gente comune, di una cultura che stimoli la tutela del patrimonio archeologico del Salento. Spesso infatti i reperti vengono danneggiati o occultati dai proprietari dei terreni nei quali si svolgono le ricerche; è significativo l'esempio di Cavallino dove, qualche tempo fa, un edificio del VI secolo a.C. è stato demolito da un contadino che voleva coltivare il suo fondo.
Anche ad Otranto, nella zona del porto, è stata rinvenuta ultimamente un'area di circa 5.000 mq recintata da mura messapiche, ma non si è in grado di procedere negli scavi a causa di interessi urbanistici.
Numerosi archeologi, supportati da associazioni culturali, hanno tentato di impedire che aree d'interesse storico così importanti vengano devastate per ignoranza o indifferenza nei riguardi di un passato che costituisce l'essenza dell'identità salentina. Una possibile soluzione delle problematiche inerenti alla conservazione dei beni culturali potrebbe scaturire dall'acquisto, da parte dei Comuni, dei terreni sottoposti a vincolo. Tuttavia tali proposte non hanno trovato fino ad oggi possibilità di realizzazione poiché sono sostenute solo da uno sparuto gruppo di addetti ai lavori e non coinvolgono l'opinione pubblica. Eppure, nessun popolo può costruire il futuro senza attingere alle proprie radici.


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