§ Astrolabio

Ma le stelle stanno a guardare




Ada Provenzano, Flavio Albini, Gianni Ricciotti
Coll.: F. Rovati, S. Cimino, R. Talamo



Nel 1609 Keplero presentò all'affascinato imperatore Rodolfo II la nuova faccia di Marte: non più il pianeta che era solito "fare inutili profezie di grande importanza sulla guerra, la vittoria, l'impero, le onorificenze militari, gli alti ufficiali, i giochi, e persino la durata della vita"; ma quello irretito nei numeri del calcolo: Keplero aveva scoperto e descritto le leggi che governano l'orbita del vecchio dio-demone, dando un colpo mortale all'antichissima sapienza astrologica.
L'astrologia era tornata nell'Occidente da almeno quattrocento anni. Nata in una fase aurorale della civiltà, sulle rive del Tigri e dell'Eufrate, a poco a poco si era diffusa nella Grecia, e dopo Alessandro Magno aveva profondamente intaccato le fondamenta della logica classica, incrinando i solidi monumenti eretti da Aristotele. Gli antichi dèi, di nuovo vestiti in foggia orientale, erano divenuti ancora più terribili: i piccoli uomini menavano le proprie esistenze in balia dei loro influssi, e anzi finivano per compendiare nell'infinitamente modesto il disegno colossale della potenza ultramondana.
Non c'era particella del corpo umano, e non c'era giorno della vita dell'uomo, che potessero sfuggire al governo dei raggi celesti: il microcosmo si rapportava al cosmo superiore come l'effetto alla causa, e non c'era scampo se non nel cercare di interpretare al meglio i "geroglifici astronomici del destino", per secondarne il movimento con opportuni comportamenti.
La dissoluzione del mondo antico coincise con la vittoria del Cristo, e quindi con la scomparsa dell'astrologia, ancora oggi inconciliabile con la fede cristiana. Ma la storia, come si sa, è fatta di continui ritorni: la fede negli astri ci venne restituita da quegli stessi nemici della fede cattolica con i quali ci si era scontrati al tempo delle crociate.
Col secolo XII l'astrologia riemerge in Occidente, appunto, grazie alla grande opera di mediazione dell'antica sapienza intrapresa dagli Arabi. Nel secolo successivo, l'attività di riappropriazione procede veloce, specialmente nei due baluardi più meridionali della cristianità, quelli delle corti di Federico II, in Sicilia, e di Alfonso il Saggio, in Castiglia, dove si incontrano Arabi e curiose figure di sapienti venuti dal Grande Nord, come Michele Scoto. Il cielo si affolla e si complica: un codice siciliano di quest'epoca raffigura la costellazione di Perseo che regge la testa di una strana Medusa barbuta: l'arcano si spiega ricercandone la fonte, e rinvenendola in un manoscritto arabo che identifica Medusa con un demone maschile di nome Gul. Tolomeo non è più soltanto greco, ma greco-arabo. E l'intrico di civiltà è assolutamente straordinario: già gli astronomi greci avevano dovuto rivedere le loro carte del cielo alla luce delle stelle "importate" dall'Oriente; accanto alla loro sfera, si era formata una ',sfera barbarica" della quale occorreva tener conto, e che finì col fondersi con la precedente. Anche il più grande monumento astrologico dell'Occidente, gli affreschi trecenteschi al Palazzo della Ragione di Padova, non ne sono immuni.
Ma è già tempo di Rinascimento, e, per l'astrologia, è la stagione di uno splendido tramonto. La descrizione delle influenze astrali, l'individuazione dei caratteri dei "figli" di Venere o di Saturno, non possono non far tesoro delle nuove esperienze che fioriscono soprattutto nell'Italia degli umanisti. Mentre Pico della Mirandola scrive il De hominis dignitate, ("Tu solo possiedi uno sviluppo, una crescita che segue il tuo libero arbitrio, e tu solo racchiudi in te semi d'ogni specie e germi d'ogni vita"), si assiste quasi alla trasformazione dell'astrologo in filologo; non c'è da stupirsi che la stessa Firenze medicea di Pico sia la città dell'ermetismo d'un Cristoforo Landino o di un Marsilio Ficino; e che figurazioni astrologiche popolino le pareti delle più fastose residenze cortigiane, come Palazzo Schifanoia, a Ferrara, in cui gli affreschi del Cossa riconducono il mistero astrale a una dimensione di quotidianità, di contemporaneità estense, secondo moduli che saranno poi estremizzati nelle loro valenze allegoriche allorché l'operazione di recupero dell'antico avrà dichiarato ancora più esplicitamente il suo carattere di operazione colta, dunque più distaccata e quasi "fredda"; e sarà il tempo della grande stagione manierista, anche (e soprattutto) nella Roma dei papi, con gli affreschi del Peruzzi per la sala Galatea alla Farnesina, commissionati dal segretario apostolico Agostino Chigi; e, allo scadere del Cinquecento, con gli affreschi di Jacopo Zucchi al palazzo Rucellai; i primi preceduti da una vicenda intellettuale e astrologica fra le più ricche e affascinanti del Rinascimento (in cui entrano, fra le altre, le premonizioni di un poeta del livello del Pontano); i secondi inclini soprattutto al gioco del revival erudito, raffinato. Fra i due cicli, è bene ricordarlo, c'è di mezzo anche il Concilio Tridentino.
"Temp'era dal principio del mattino / e 'l sol montava 'n su con quelle stelle / ch'eran con lui quando l'amor divino / mosse di prima quelle cose belle": così Dante (Inferno, primo Canto, 38-40) individua l'alba primaverile, mentre si accinge ad affrontare il colle che conduce all'Inferno. Le stelle con cui il Sole sorgeva erano quelle della costellazione dell'Ariete, davanti alle quali, secondo la tradizione, fu posto il Sole all'atto della Creazione.
Per via della lentissima oscillazione circolare-a-trottola dell'asse terrestre, il sole dell'equinozio primaverile si sposta nei millenni, arretrando lentamente rispetto ai segni zodiacali. Il fenomeno, conosciuto da epoca remota, è noto come ''Precessione degli Equinozi". Quando Dante scrisse la Commedia, il sole primaverile non si trovava di fronte all'Ariete, ma nella casa zodiacale dei Pesci, ove era entrato all'inizio dell'era di Cristo (il Pesce). Ora il sole ha lasciato i Pesci ed è entrato in Acquario. Eppure, noi - come Dante - ci consideriamo in Ariete all'inizio della Primavera, riferendoci ad una situazione stellare primeva, che non ha più riscontro nel nostro cielo. In altre parole, viviamo sotto due cieli, quello astronomico attuale e uno astrologico primordiale. Il sole primaverile si trovava in Ariete ai tempi di Mosè. Ma l'epoca del profeta non è il tempo cui alludeva Dante, il quale si riferiva a un tempo di Creazione, e precisamente al quarto giorno, allorché Dio creò i luminari, Sole e Luna, davanti al firmamento.
La Precessione degli Equinozi è un movimento circolare che impiega a compiersi 26.000 anni. Durante questo periodo il sole arretra attraverso tutte le costellazioni zodiacali, così che oggi il sole è in Acquario e in un periodo che va da 28 a 30.000 anni fa era in Ariete. La tradizione cui Dante si riferiva e alla quale ancora oggi fa capo l'astrologia non può risalire ai tempi di Mosè, che non hanno la pretesa di essere originari. Può riferirsi a 30.000 anni fa? E' opinione diffusa che essa vada posta proprio in quest'epoca aurorale.
Allora cerchiamo di rappresentarci lo scenario europeo, quale si presentava allora. Siamo nell'ultima epoca glaciale e le aree elevate del continente sono coperte di ghiacci. L'Europa è disabitata: da qualche migliaio di anni sono scomparsi gli ultimi uomini di Neanderthal. E' proprio in quel periodo che si affaccia nel verdeggiante paesaggio europeo l'uomo moderno, il Sapiens sapiens. Tutte le specie e sottospecie umane sono scomparse e il bacino mediterraneo si va popolando di un uomo identico all'attuale. Compariamo "noi".
E' l'inizio del cosiddetto Paleolitico Superiore. Non si ha un graduale progresso culturale: subito la nostra civiltà stabilisce tutti i suoi concetti basilari. Appaiono l'ago e il filo, gli abiti di pelle ("Dio fece all'uomo e alla sua donna tuniche di pelle e li vestì", è scritto nella Genesi), gli strumenti d'osso, di corno e d'avorio, l'arco e la freccia, le prime abitazioni. Si manifestano, in forme sublimi, il disegno, la pittura e la scultura. Dalle rappresentazioni della figura umana emerge un essere danzante, musicante, cerimoniale e mascherato, vestito e armato, cacciatore, mago e sacerdote. Trentamila anni fa, dunque, si ha l'irruzione sotto i cieli d'Europa non solo della figura umana, ma anche della cultura umana nelle sue manifestazioni più alte. Il periodo ha tutte le qualità per essere sentito come un tempo della creazione e il sole primaverile "montava 'n su con quelle stelle ... ", cioè con le stelle dell'Ariete.
Come poté quell'epoca remota dare origine ad una tradizione astronomica? Che l'uomo guardò le stelle non può esserci dubbio. Ma vi riconobbe il nostro stesso Zodiaco? E come poté accadere che desse ad alcune agglomerazioni di stelle le stesse connotazioni che diamo loro ancora oggi?
Spetta ad Alexander Marshack la dimostrazione dell'intelligenza astronomica posseduta dagli uomini dell'età del Ghiaccio. In varie incisioni su ossi e su corna, l'antropologo americano ha individuato precise notazioni lunari, con serie di lune in diverse fasi, susseguentesi per vari mesi. Certamente gli uomini del Paleolitico Superiore erano astronomi. Nelle loro famose pitture rupestri le stelle fanno frequenti apparizioni. L'interpretazione più straordinaria di Marshack è stata fatta su un corno di cervo ritrovato presso Montgaudier, in Francia. Egli ha identificato nelle incisioni che il corno presenta uno stambecco e un salmone, accanto a un fiore. "Ogni immagine - osserva - era stagionale e rappresentativa della prima primavera, dell'Europa dell'Epoca Glaciale [ ... ]. Esse rappresentavano la nascita del "nuovo anno"".
L'animale cornuto, l'ariete glaciale, e il pesce, un salmone, comparivano agli uomini del Paleolitico Superiore ad annunciare la primavera, quando i boschi si disinnevavano e i fiumi riprendevano a scorrere verso il mare. Ariete e Pesci sono segni di primavera, di marzo-aprile, sia sulla terra che tra le stelle. Chi ha osservato in tempi recentissimi le rappresentazioni delle incisioni sul corno di Montgaudier, confrontandole con le stelle dei segni zodiacali, riducendo le costellazioni alla scala opportuna, ha verificato che le stelle dell'Ariete coincidono con il corno destro e il muso dell'animale visto di fronte, e che quelle dei Pesci ricalcano il dorso di un grande salmone e si proiettano verso l'alto entro una strana coda verticale di pesce. La sovrapposizione è così precisa da non poter essere mera coincidenza. Sulla fronte dello stambecco è marcata una croce che, secondo Marshack, rappresenta il sacrificio dell'animale, e che potrebbe anche rappresentare il "sacrificio" della costellazione dell'Ariete compiuto dal Sole nella congiunzione equinoziale dei tempi in cui "l'amor divino mosse di prima quelle cose belle".
Le incisioni su quel corno sono antiche più di 20.000 anni. Se esse descrivono il sole dell'Equinozio primaverile in Ariete, la situazione si riferisce ad una fase della Precessione equinoziale che si colloca intorno ai trentamila anni fa, all'atto della comparsa dell'uomo attuale. Lo Zodiaco sarebbe allora antico quanto l'uomo moderno, quanto l'antichissimo cacciatore dell'età glaciale, e avrebbe già dall'inizio segnato i mesi dell'anno. Su di essi sarebbe rimasto fissato, attraverso le epoche, nonostante la posizione degli Equinozi abbia compiuto da allora un'intera rotazione.
Sul mese di febbraio ne hanno dette di tutti i colori; sicché, a forza di calunnie, l'intero anno bisestile si è trovato bastonato. Michele Savonarola, medico padovano e nonno del domenicano Girolamo che rizzò Firenze con le sue prediche infuocate, arrivò a giurare che il tempo bisesto porta male alle piante, fa diventare tristi gli uomini e inguaia chiunque (uomo o bestia) si sottoponga alle cure termali. Insomma, un po' per mania religiosa, un po' per follia scientifica, ci troviamo sulle spalle un gran fardello di superstizioni.
Facciamo un breve escursus. Quando su Roma comandava Romolo, l'anno contava 304 giorni divisi in dieci mesi e il sesto (sestile) corrispondeva all'attuale agosto. Numa Pompilio (altri dicono Tarquinio il Superbo) fece applicare l'anno greco lunare di 12 mesi, 354 giorni diventati presto 355 perché i saggi ateniesi giuravano che il numero pari faceva storcere il naso agli dèi dell'Olimpo. Arrivarono così gennaio (29 giorni) messo all'inizio e febbraio (28 giorni) alla fine dell'anno. Il fatto d'essere l'ultimo mese, il più corto e quello "pari" (al contrario degli altri), fu la prima ragione della sua cattiva fama.
Nella Roma repubblicana, una o due volte ogni quattro anni il 23 Terminale (febbraio) era seguito da un mese di comodo e tra una dimenticanza e un capriccio dei pontefici massimi si accumularono tre mesi di ritardo. Fatto è che alla fine l'astronomo egiziano Sisogene, su incarico di Giulio Cesare, tagliò corto e, lasciati inalterati i mesi di marzo, maggio, luglio e ottobre e il mese di febbraio, aggiunse due giorni a ciascuno dei mesi di gennaio, agosto e dicembre, portandoli a 31 giorni, e un giorno aggiunse a ciascuno dei mesi di aprile, giugno, settembre e novembre, portandoli a 30 giorni, superando così la superstizione del numero pari; inoltre dispose che ogni quattro anni, fra il 23 e il 24 febbraio, cioè nello spazio di tempo in cui prima s'intercalava il mese mercedonio, si intercalasse un giorno, il quale, secondo le date dei Romani, venne detto "bis sexto kalenda Martias" (sei, o due volte il sesto giorno prima di marzo).
Dedicato al dio Februus, simbolo del tramonto dell'anno vecchio e preludio del nuovo, febbraio assisteva a riti di espiazione dedicati alle anime degli inferi: "Si onorano le tombe, si placano le ombre dei padri, si portano doni sui sepolcri spargendo grano e sale, si mette il pane nel vino, si prega", scriveva Ovidio. Le donne sterili venivano percosse con strisce di pelle di capra per renderle fertili.
Superata la presunta malia del numero pari, si affrontò l'infausta coincidenza delle "nundine" (intervallo di nove giorni esistente fra un mercato e l'altro, prima dell'invenzione della settimana). "Infausta coincidenza" era quando le nundine coincidevano il primo giorno dell'anno (esempio, nel 711 di Roma). Lo scoglio fu superato e dal 761 di Roma diventarono bisestili quegli anni che divisi per quattro dessero per resto l'unità. (La riforma finale sarebbe spettata in ogni modo nel 1582 a papa Gregorio XIII, che su consiglio dell'astronomo Clavius "dimenticò" volutamente tre bisestili ogni 400 anni, salvando quello di fine secolo divisibile per 400: 1600, 2000, 2400 ... ).
Sembrava che la maledizione fosse tramontata, invece il diavolo ci mise del suo. Successe che Ristoro d'Arezzo, autore di Della composizione del mondo, otto libri stampati nel 1282, arrivò a giurare che il bisestile "era un satanasso travestito da calendario, pronto a spargere tempeste e malattie, fulmini e saette". Ma i profeti di sventure sono sempre stati sconfitti da una realtà più benigna delle loro previsioni. Il bisestile 1524, ad esempio, secondo certi astrologi sarebbe stato martoriato da terremoti e malattie, specie in Germania e in Italia, per via d'una congiunzione che nel segno dei Pesci sposava Marte e Giove al pensieroso Saturno. Ad Aix-en-Provence arrivarono a murare le porte delle case, tanta gente fuggì sui monti, e da noi i pellegrinaggi si sprecarono. Fatto sta che quel febbraio si rivelò il più dolce del cinquantennio appena trascorso.
E il Savonarola medico la pensava alla stessa maniera, giurando che "come la luna regola le maree, così i pianeti influenzano gli umori; e nulla di strano che ogni quattro anni si aggravino i sofferenti di bile nera, di quella malinconia che dipende dal freddo e lento Saturno. Altrettanto si dice per la scarsa fertilità delle greggi, per il maggior numero di aborti, la minore produttività delle piante. Si moltiplicano anche i casi di febbre quartana, come io stesso ho constatato a Ferrara". Credenza oscena bella e buona. E non a caso all'epoca la parola l'osceno" indicava "ciò che contrasta l'ordine", come l'anno bisestile.
E qualcuno pervicacemente ricorda l'esperienza degli americani, convinti che i loro Presidenti eletti nel quinto dei bisestili concludono sempre in anticipo il mandato ricevuto. Ciò perché, mentre erano in carica, morirono William Harrison, Abraham Lincoln, James Garfield, William McKinley, Warren Harding, Franklin Roosevelt, John Kennedy, rispettivamente eletti nel 1840, 1860, 1880, 1900, 1920, 1940, 1960.
Il 2 febbraio 1993 cominciò la danza degli avvoltoi: gli astrologi (secondo alcuni), o gli spacciatori di previsioni, e illusioni, (secondo altri), annunciarono che per circa due secoli, fino al primo marzo del 2164, avremmo avuto una jella nera. 172 anni di sfortune a getto continuo, determinate dalle influenze congiunte di Urano e Nettuno. Non si tratta della fine del mondo, ma della fine del mondo quale lo conosciamo. La fine della civiltà occidentale e l'inizio di una nuova era, dominata dal Terzo Mondo e dai popoli che l'Occidente ha oppresso per secoli. Il tracollo dell'Ovest, insomma.
Erano stati i pensatori radicali e i profeti a menar gramo, una volta, su grande scala, non gli astrologi e i maghi; i quali, sempre una volta, vendevano spensieratezze e consolazioni, ma soprattutto volavano basso, predicendo amori fortunati e ricchezze inaspettate, vita lunga e guarigioni miracolose. Gli astrologi, un tempo, portavano il cappello a cono, e i maghi il turbante. Adesso si atteggiano tutti a Spengler, a Marx, a Fanon, e sono pronti a mettersi in corsa persino per un Nobel. Grazie ai loro oroscopi catastrofisti. Sono centinaia di anni, ormai, che costoro non riescono a predire altro che sciagure sotto il cielo occidentale. E qui torna a proposito un pensiero di don Benedetto Croce, che crediamo condiviso da tutti i galantuomini: che ogni errore di giudizio, presto o tardi, diventa un errore di comportamento. Così, fu un'idea sbagliata credere all'esistenza delle streghe; ma ciò diventò misfatto quando - sul fondamento di quell'idea - si mandarono al rogo migliaia di donne innocenti.
Sta di fatto che Urano (identificato nel 1781) e Nettuno (identificato nel 1864) si sono congiunti in Capricorno, e solo fra 172 anni si ricongiungeranno in Acquario, archiviando definitivamente tutto quanto l'umanità si è lasciata alle spalle. In pieno rispetto delle regole cosmiche. Il ciclo che hanno concluso non era nato sotto i migliori auspici: il 4 febbraio 1821 il generale austriaco Frimont aveva varcato con i suoi eserciti il Po, iniziando la dominazione in quei territori che nei successivi quarant'anni avrebbero visto scrivere il nostro Risorgimento; il 5 maggio dello stesso anno era morto Napoleone, esiliato a Sant'Elena. Il 5 marzo il presidente americano Monroe aveva iniziato il suo secondo mandato col motto "l'America agli americani", nel senso dei bianchi, e aveva portato a compimento la strage dei pellerossa. Si avviavano così, man mano, due secoli di guerre, di stragi, di carestie: uno scenario ora destinato a durare fino al 2164. Ma se questo cielo ci ha proposto tanti drammi, la parte fantastica lo colloca tra i più affascinanti dal 400 a.C. ad oggi: un periodo che ha visto nascere e morire imperi, dominazioni, capitalismi e marxismi, insomma il potere tradizionale. In nome di che cosa? Dell'inquietudine: l'Europa subirà l'influenza africana, il Nordamerica quella latino-americana, la Germania sarà popolata da 15 milioni di abitanti, il Kenia da 900 milioni. Mediti e rifletta, la razza bianca! Anche perché, se non lo fa, dietro l'angolo c'è l'astrologia terroristica a ricordarle che il mondo sta maturando attraverso dolorose esperienze.
In verità, ci aveva pensato da tempo l'editrice Einaudi a diffondere previsioni catastrofiche, incombenze negative di pianeti e costellazioni, e via di seguito. In un certo senso, erano state anticipate le paure millenaristiche, con le visioni nerissime che già avevano incupito le genti nel Mille. L'esperienza storica, invece, dovrebbe aver insegnato che si tratterà di un futuro di metamorfosi: come ogni futuro, d'altra parte, che costringe ad operare delle scelte, che comporterà rinunce, che farà trovare nell'uomo stesso l'energia reattiva, al di fuori delle psicosi collettive suscitate dal panico e dall'irrazionalità. Forse le stelle non staranno proprio a guardare. Ma è pur sempre accertato che è l'uomo l'artifex, il soggetto della storia. Malgrado tutto il traffico che si svolge nel cosmo, sarà ancora l'uomo a sciogliere i nodi che riguardano il nostro piccolo, splendido pianeta.


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