§ CON IL NEW DEAL

RITORNO AL FUTURO




Mario Deaglio



Franklin Delano Roosevelt prestò giuramento un sabato mattina, il 4 marzo 1933. Il trentaduesimo Presidente degli Stati Uniti aveva davanti a sé un Paese stremato da quattro inverni di una crisi che aveva trasformato in disoccupati un quarto dei lavoratori e ridotto a meno della metà, in termini monetari, il reddito nazionale. La rincorsa accanita e cocciuta del pareggio di bilancio - il "parametro" accettato per le economie dell'epoca - aveva indotto il suo predecessore, il repubblicano Herbert Hoover, a varare leggi finanziarie piene di tagli alle spese pubbliche e di inasprimenti fiscali, con il risultato di trasformare il collasso finanziario di Wall Street del 1929 nel maggior disastro economico della storia del capitalismo.
I prezzi agricoli erano crollati, mandando in rovina milioni di agricoltori che non riuscivano a restituire i prestiti e si ribellavano agli ufficiali giudiziari venuti a sequestrare le loro fattorie. E se nelle campagne si viveva una situazione pre-rivoluzionaria, nelle città del Paese più ricco del mondo era ricomparsa la fame. Nell'estate del 1932 l'esercito era intervenuto a disperdere la marcia su Washington dei reduci della Prima guerra mondiale, laceri e senza redditi.
Il crollo dei prezzi degli immobili si stava traducendo nel crollo delle banche che avevano prestato denaro dietro garanzia immobiliare. Il primo atto del nuovo Presidente fu un decreto di chiusura di tutte le banche del Paese.
E' bene ricordare questa sequenza di avvenimenti non già per le analogie superficiali, largamente ingannevoli, che si possono riscontrare con la situazione attuale di un'Europa dell'economia stagnante che sta mettendo a punto leggi finanziarie severe alla rincorsa dei parametri di Maastricht, ma per un'analogia più profonda: vi è oggi in Europa e altrove la tendenza a sottovalutare i costi sociali di qualsiasi azione politica economica, a non offrire nulla di concreto in cambio, a rifugiarsi nelle cifre senza guardare la gente negli occhi. Vi è, insomma, il pericolo che i politici divengano schiavi degli economisti e si dimentichino di fare i politici, che siano dogmatici invece che pragmatici.
Questo pericolo il Presidente Franklin Delano Roosevelt non lo corse mai. A fronte delle difficoltà spaventose fece balenare il New Deal, il "nuovo patto", come egli stesso definì il proprio programma elettorale, a un tempo radicale e realista, ed è sul significato di questo New Deal che dovremo riflettere. Sostenuto da un Congresso dominato dal suo partito democratico, Roosevelt riuscì a far approvare a tamburo battente, in una sessione speciale di cento giorni, una serie incredibile di leggi, che non solo fecero uscire gli Stati Uniti dalla crisi, ma ridisegnarono a fondo lo Stato americano, conferendo al governo centrale poteri d'intervento in economia senza precedenti in un sistema di mercato, e costituirono a lungo il paradigma dell'azione economica dell'Occidente. Perfino il reaganismo non ha veramente cercato di abbattere, ma solo di modificare, quest'edificio.
In quegli stessi mesi, Hitler stava riorganizzando l'economia tedesca su basi duramente autoritarie; in Italia si procedeva al salvataggio delle banche in difficoltà e a una loro, sia pure larvata, nazionalizzazione e veniva creato l'Iri che rappresentò, fino alla caduta del fascismo, il principale strumento di una politica industriale autarchica; in Unione Sovietica, tramontata l'esperienza della Nep, Stalin aveva avviato l'eliminazione di dieci milioni di piccoli proprietari agricoli e la collettivizzazione totale delle campagne.
La risposta americana alla crisi evitò pragmaticamente le soluzioni del totalitarismo e del collettivismo. E' emblematico che, dopo aver chiuso per alcuni giorni tutte le banche, Roosevelt non le nazionalizzò, ma le sottopose a duri controlli, riducendone il potere. Più in generale, coniugò il bisogno di una presenza pubblica che restituisse sicurezza, desse speranza nel futuro a una nazione spaventata e impoverita, con la sopravvivenza - sia pure con limitazioni a quel tempo inevitabili - delle libertà economiche.
Con il senno di poi, si può dire che i primi cento giorni della lunga presidenza rooseveltiana rappresentarono la salvezza del sistema occidentale e dell'economia di mercato. L'azione del Presidente iniziò con l'abbandono, in aprile, del vincolo aureo, il che diede al governo federale la possibilità di emettere moneta senza aumentare le riserve di oro. Essendosi così slegate le mani, Roosevelt varò, già in maggio, un imponente programma di sostegno e stabilizzazione dei redditi agricoli, con crediti a basso costo; in giugno venne messa a punto una regolamentazione di base dell'industria, con l'introduzione dei minimi salariali, e successivamente si introdusse un embrione di sistema sanitario pubblico.
Contemporaneamente lo Stato si dotò di strumenti per una politica industriale attiva, diede inizio a un programma grandioso di opere pubbliche, intraprese il risanamento del bacino del Tennessee; per regolamentare la Borsa, venne istituita la Securities and Exchange Commission, progenitrice della nostra Consob (e, a tutt'oggi, enormemente più attiva); e venne posta la parola fine a quell'incredibile esperienza americana che era stata il proibizionismo.
Da allora sono passati quasi due terzi di secolo. La rivoluzione elettronica ha cambiato i termini del problema, reso largamente inutili o addirittura controproducenti buona parte degli interventi diretti del periodo rooseveltiano. Al potere pubblico, l'economia di mercato chiede di esercitare soprattutto funzioni di regolatore imparziale e illuminato dei mercati, oltre che di garante di ultima istanza di redditi e livelli di vita, invertendo, senza eliminarle, le priorità di quel periodo.
E ai politici richiede una virtù rara, che Roosevelt possedeva al massimo grado, quella del coraggio delle proprie decisioni. "La sola cosa di cui dobbiamo aver paura è la paura stessa", disse nel suo discorso inaugurale, il 4 marzo 1933, con il Paese a pezzi. Molti politici europei dovrebbero ricordare queste sue parole in questa primavera del 1997.


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