§ CHE ITALIA FA

IL TALLERO DI BOSSI




M. B.



Al di là della nostra dichiarata antipatia per il movimento leghista, non possiamo onestamente non rilevare quanto sia stata intrigante, dal punto di vista della comunicazione, l'idea del rilancio del Po e di una grande kermesse partita dalle sorgenti del fiume, sul Monviso, e culminata alla foce, nell'alto Adriatico. Va notato che, nel corso di una storia più che millenaria, che comincia con la caduta dell'Impero Romano, è solo da quando esiste l'Italia unita che il corso del Po non è attraversato da alcun confine. Esso dovrebbe essere un simbolo della divisione e dell'inesistenza storico-culturale di uno spazio padano. Bossi ne ha voluto fare invece un segno di unità. Fallendo.
Occorre poi legittimamente rilevare che un insieme di iniziative così complesso e articolato non costa due lire. Ciò dovrebbe far sollevare il problema delle fonti di finanziamento della Lega. La stampa italiana è molto distratta, in proposito. Eppure andrebbe esplorato, non foss'altro che per far giustizia delle voci che vorrebbero il movimento secessionista strettamente collegato con forze regionali dell'area germanica e magari da queste anche sostenuto sul piano finanziario. Dal punto di vista dei tirolesi-altoatesini, per esempio, l'atteggiamento bossiano non può che risultare degno di appoggio: la Padania non avrebbe interesse a conservare una minoranza di lingua tedesca, che potrebbe rifugiarsi tra le braccia dell'Austria, alla quale - oltre che alla Baviera - la Padania stessa sembra guardare con interesse.
Dunque, fra l'altro, la Lega ha lanciato il progetto delle "due monete". Sembrava la battuta di un mentecatto: e invece lo slogan delle due divise sta diventando un pilastro dell'azione leghista e per questo vale la pena di dedicargli qualche attenzione.
Il "pensiero" leghista parte da questa constatazione: la situazione di inferiorità in cui si troverebbe l'Italia settentrionale, i cui livelli di reddito sono sostanzialmente pari a quelli dell'Austria e della Baviera, in caso di ritardato o mancato ingresso nell'Unione monetaria. Il Nord, in pratica, si ritroverebbe nella stessa categoria delle aree più povere della Grecia o del Portogallo. La Lega propone, quindi, due monete: quella della Padania (chiamiamola "tallero", in omaggio all'imperatrice d'Austria, Maria Teresa, vista la nostalgia di molti leghisti per i tempi della dominazione austriaca) entra nell'Unione monetaria e, rispettando i tempi prescritti, confluisce nell'Euro; mentre la lira italiana ne sta fuori.
Ora, immaginiamo un possibilismo di fatto di Bruxelles sulle due monete italiane. A parte il fatto che l'Europa non difenderebbe uno Stato italiano che apparisse troppo debole e quasi sul punto del collasso; a parte la necessità di istituire dogane interne e di sopportare enormi costi contabili: che cosa potrebbe succedere nel caso in cui il progetto diventasse realtà?
1) Data la disparità di forze delle due economie (settentrionale e meridionale), la lira italiana si svaluterebbe immediatamente rispetto al tallero bossiano. Rispetto al marco tedesco, invece, anche se una simile separazione monetaria avvenisse senza drammi o traumi, è facile prevedere una rivalutazione della moneta padana (diciamo intorno al 900-950 talleri a marco) e una svalutazione della lira del Resto d'Italia (diciamo intorno alle 1.100- 1.150 lire per marco). Queste cifre sono molto inferiori rispetto a quelle previste da uno studio recente, che parlava addirittura di un rapporto tallero/marco intorno a 500 lire, sufficientemente realistico.
2) Si dice: ci sono due sterline, una inglese e una irlandese. Ma tra la Gran Bretagna e l'Irlanda c'è di mezzo il mare (tranne che per l'Ulster, che è però la regione più povera del Regno Unito). Tra Padania e Resto d'Italia, invece, ci sono buone autostrade. Questo significa che i padani delle Il zone di confine", forti del loro potere d'acquisto cresciuto almeno del 10-20 per cento, correrebbero a far la spesa nel Resto d'Italia, un po' come gli svizzeri fanno a Chiasso e gli austriaci in Alto Adige. Più importante, però, sarebbe la corsa delle imprese padane ad aprire impianti nel Resto d'Italia, dove, anche a legislazione vigente, il lavoro costerebbe almeno il 10-20 per cento in meno. Il che profilerebbe un tracollo della Padania e un veloce decollo del Resto d'Italia.
3) L'effetto sull'economia padana sarebbe francamente disastroso sui servizi e sull'apparato sociale, oltre che su quello industriale e commerciale. Si sommerebbero infatti due elementi negativi: la forza del tallero scoraggerebbe le esportazioni - le quali, soprattutto nel cosiddetto Nord-Est, avrebbero invece bisogno, per restare competitive, di un cambio prossimo ai 1.100 talleri per marco - e faciliterebbe l'emigrazione verso il Sud di posti di lavoro e di domanda di consumo.
4) L'esperienza Regno Unito/Irlanda dovrebbe esser tenuta nel debito conto. Il cambio svalutato rispetto alla sterlina inglese è stato uno dei fattori che ha consentito all'Irlanda un tasso di sviluppo eccezionale rispetto a quello medio della Comunità (dal 1980, il 3,6 per cento medio annuo, contro l'1,5-2,5 per cento medio dei principali Paesi dell'Unione). E non è un caso che dal Sud d'Italia giungano voci sempre più insistenti che reclamano "zone franche", con effetti non troppo dissimili da quelli di un differenziale di cambio tra due eventuali monete della Penisola.
Se il Regno Unito ha potuto "sopportare" una situazione del genere, è stato perché lo consentivano in buona parte le dimensioni relative dei due Paesi: la popolazione del Regno Unito è oltre sedici volte quella dell'Irlanda, che conta appena tre milioni e mezzo di abitanti. Nel caso Italia-Padania il rapporto è invertito e con ben altri valori: all'incirca un abitante "padano" ogni due "italiani".
A questo punto, la Padania avrebbe una sola soluzione: chiudere le frontiere alla libera circolazione delle persone, dei capitali e delle merci. In questo modo, però, si metterebbe automaticamente al di fuori di quell'Europa alla quale vuole così ansiosamente agganciarsi. A meno che i padani non riescano a convincere l'Unione europea a lasciare perennemente fuori il Resto d'Italia, considerando quindi non soltanto il Mezzogiorno, ma anche il Lazio e la Toscana, tra le altre regioni, in condizioni peggiori della Boemia, della Moravia, dell'intera Ungheria, di mezza Spagna, di tre quarti del Portogallo: e questo, francamente, ci sembra improponibile.
Da un punto di vista strettamente economico -visto che altri discorsi non si riescono a fare, né in Italia né in Europa - la morale è dunque una sola: i flussi economici italiani sono troppo intimamente collegati per poter sopportare soluzioni semplicistiche e brutali. Può piacere o no, ma nell'Unione monetaria l'Italia entrerà monetariamente unita, oppure non entrerà, per lo meno nel prevedibile futuro. Qualunque sciocchezza si racconti sugli argini del Po. Qualunque sciocchezza si commetta al di qua del Tevere.


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