§ CALCOLO POLITICO E GENEROSITÀ DI UN IMPERATORE

FEDERICO FRATE LAICO?




Domenico De Rossi



Per due amici

I due articoli che seguono [Federico frate laico, Alla ricerca di qualcosa…] meritano una premessa. Essi hanno in comune il tema cistercense, e il primo dei due si riferisce a Federico II. Li collega un filo ideale.
De Rossi, umile artigiano della scrittura, fu un instancabile rovistatore di archivi pubblici e privati, poligrafo, in un certo senso editore in proprio presso stampatori per conto terzi. Era facile incontrarlo sulle strade del Salento, mentre faceva autostop: perché era anche distributore dei suoi libri, che "piazzava" presso comuni, banche, enti pubblici, estraendoli dal gran borsone che portava con sé; e che accanto a lui si raggrumò, quando Domenico morì - così mi hanno raccontato - proprio sul ciglio di una strada. Come si poteva non voler bene a questo spirito eccentrico e solitario, a quest'uomo prodigo di consigli, sempre disposto alla generosità e all'amicizia?
L'articolo che segue è un omaggio alla sua memoria, e insieme il riconoscimento dei valori di servizio della sua opera di ricercatore, di trascrittore, di scopritore di documenti sommersi.
"Resterà qualche cosa di noi, dopo?", mi chiese un giorno Verri. Non sapevo del suo sodalizio amichevole con un cistercense. E questo "pezzo" me lo diede quasi di soppiatto, con pudica noncuranza. Non avrei potuto immaginare che sarebbe stato un inedito postumo. Né che ne avrei scritto come di un metallo prezioso estratto dai giacimenti della memoria. E' saltato fuori, straordinariamente, in questi giorni, insieme con un saggio critico su Antonio, scritto da Nicola Carducci, che sarà pubblicato presto in "Apulia". Forse, tra le pareti essenziali del convento di Martano Antonio cercava, con la consueta discrezione, una risposta a quella domanda. O lo affascinava la vita dell'eremo, e ne voleva penetrare il grimaldello segreto, il richiamo, la "voce senza volto". Chissà. Ora è tutto dentro quel "dopo", e sa, conosce la risposta che - colto di sorpresa - non seppi dargli. Lo avrà fatto, almeno, con ben altri strumenti intellettuali e spirituali, il cistercense col quale passeggiava tra le celle e il chiostro del convento martanese?
a. b.

 

 

Una nota rivista letteraria di Siena (1) pubblicò un mio commento su un caso di "ripudio" avvenuto nella provincia di Lecce nel XIII secolo su applicazione della disposizione in materia emanata da Federico I ("iuxta lege Domini Federici").
Il mio commento poggiava sul contenuto di una pergamena, datami in temporanea visione da un mio carissimo amico di Manduria, discendente di uno dei protagonisti, che s'avvalse della tanto discussa, anche allora, "Lege Domini Federici" sull'applicazione del "ripudio" (2). Si trattava di Federico I Hohenstaufen (Barbarossa, figlio di Federico il Guercio, duca di Svevia, padre di Arrigo VI e nonno di Federico II). Di lui la storia medioevale ci dà molte notizie.
Il Barbarossa non fu certamente un uomo di pratica religiosa, ma un uomo libero in continua lotta con lo strapotere dei papi, anche se fin dalla sua venuta in Italia nel 1154, nonostante fosse stato scomunicato da Alessandro III nel 1168, volle intrattenere proficui rapporti di reciproco aiuto col più prestigioso ordine monastico dell'epoca, l'Ordine cistercense, tenuto in gran conto poi da Arrigo VI e, come vedremo, da Federico II. Questi non fu meno ostinato del nonno nel combattere i Comuni, nel tentativo di riunire il Nord e il Sud d'Italia e nell'affermare l'autorità dell'Imperatore sul Papa. Benché scomunicato, ostentò fede cristiana partecipando alla crociata del 1228, dopo essere stato incoronato Imperatore da papa Onorio III (Cencio Savelli) nel 1220.
Federico II coltivò e rafforzò l'amicizia col potente Ordine cistercense, verso il quale fu largo di concessioni e di benefici - certamente per interessi politici - anche se questa amicizia rientrava nella tradizione degli Hohenstaufen, rafforzata poi dalla fede cattolica degli Altavilla.
Da anni mi occupo con passione di studi federiciani, raccogliendo nei vari archivi nazionali ed ecclesiastici documenti e notizie sulla sua complessa personalità.
Ho creduto opportuno occuparmi ancora dello Svevo per una "pulce" messami nell'orecchio da un giovane e dotto amico, monaco cistercense nel convento di Martano. Durante una lunga conversazione sugli Svevi in Puglia, l'amico mi insinuò come Federico II, pur scomunicato una prima volta da Gregorio IX e successivamente da Innocenzo IV, mantenne sempre stima e devozione verso l'Ordine cistercense, al punto di chiedere umilmente di farne parte quale frate laico del convento di Casamari.
Ho voluto perciò approfondire questo altro lato, a me sconosciuto, di Federico.
Tali miei studi vennero pubblicati negli Annali del Centro Studi Federiciani di Napoli, nel 1976 e nel 1977.
Antichissimi documenti custoditi nell'abbazia di Casamari, fattimi avere in copia dall'amico cistercense e che qui riporto, provano quanto asserito dal giovane amico, ma che io colloco fra le necessità politiche di Federico durante i suoi anni di regno in Italia e in Germania. Sull'argomento ho cercato documenti e scritti eventualmente pubblicati: sono stato fortunato. Filippo Rondinini nella sua opera sul monastero di Casamari, scritta e pubblicata agli inizi del Settecento (3), riporta questo brano tratto da un codice vaticano:

"Federicus Imperator anno MCCXXI idus aprilis cum processione solemni receptus et hospitatus fuit in Casamario";

e subito aggiunge che:

"ripassando il 22 aprile Federico per l'abbazia, chiese con umiltà degna di memoria di partecipare alle buone opere associandovi la memoria del padre e della madre; e tutto ciò egli ottenne per opera del venerabile Giovanni, abate dell'abbazia" (4).

Questo episodio potrebbe essere utile per definire l'atteggiamento interiore di Federico di fronte all'ideale religioso; dico potrebbe, perché in effetti non lo è.
Pare infatti assurdo che lo scettico e altero nipote del Barbarossa possa avere chiesto, in tutta umiltà, di entrare a far parte, da laico naturalmente, di una delle più prestigiose comunità religiose dell'epoca.
Ma poi indagando - come ho fatto - fra le vicende, gli scritti, le raccolte di "decreti" di Federico, ci si accorge di quanto possa essere verosimile quanto riportato dal Rondinini.
E' certamente per motivi politici e forse per ostentata fede religiosa che l'amicizia verso l'Ordine di Citeaux rientrava nella tradizione di famiglia, rafforzata poi per Federico dalla parte normanna della madre, Costanza d'Altavilla: noto infatti è l'alto concetto in cui Corrado III teneva Bernardo di Chiaravalle, fondatore dell'Ordine monastico, e tutti i monaci cistercensi. E fu proprio per le insistenze di Bernardo che Corrado decise di intraprendere la crociata che fu fatale per lui e per il suo esercito che assediava Damasco (5). E anche più tardi, quando più terribile che mai infuriava la guerra tra il Barbarossa e il papato, in Italia e in Germania, scrive il Nasalli-Rocca, le abbazie cistercensi godettero sempre della protezione imperiale (6).
Né diversamente si comportò il figlio del Barbarossa, Arrigo VI, che tenne a dimostrare la sua benevolenza e simpatia verso le abbazie cistercensi. Quindi, tradizionale stima da parte degli Hohenstaufen-Svevia, che pare prendere le forme di devozione - camuffata o vera - in Federico II. Ciò può avvalorare la tesi della "necessità politica" e gli argomenti per confermare questa asserzione non mancano, e se ne ha la prova.
Nel Regesta di Federico II le abbazie cistercensi entrano in scena presto (7). Il primo documento da me trovato al riguardo, nell'Archivio di Stato di Napoli, dopo i suggerimenti dell'amico cistercense, è del 1198. Federico, di appena quattro anni, vi appare associato alla madre Costanza per confermare il possesso all'abbazia di Casamari di una vasta proprietà lasciata dal padre Arrigo e a questa si conferisce, come aggiunta, lo 'jus pabulandi et lignandi" nelle montagne di Sessa Aurunca e Sora e il diritto di "asilo" nelle chiese dell'abbazia dei viandanti e dei "pellegrini" (8).
A quattro anni certamente Federico non poteva essere consapevole: tuttavia è possibile che proprio a motivo di questo "regesto", che lo ricollegava al padre, egli abbia nutrito una particolare simpatia per Casamari. Naturalmente, si tratta di supposizioni.
Ecco infatti altro Regesto (9), del 1208, scritto per mano del cancelliere della Corona, Gualtiero di Palear (10), nel quale il giovane Re di Sicilia, in remissione dei peccati dei genitori Arrigo e Costanza, conferma e rinnova i privilegi e le donazioni fatte da costoro all'abbazia di Casamari:

"... et pro rimedio Domini quondam Imperatoris et Domina Imperatricis, Karissimorum parentum nostrum felicis memoriae... concedimus et confirmamus tibi Abati ac successoribus tuis et eidem monasterium Casamari in perpetuum ea omnia, quae predicta Domina Imperatrix per privilegium... contulit et concessit" (11).

Tutta politica? Può essere senz'altro, se si pensi che Federico da Roma, nell'accingersi ad intraprendere la riconquista del potere imperiale, conferma ed ampia le donazioni e i privilegi dal nonno Barbarossa e dai genitori concessi al convento dei cistercensi di Casamari (12) . E ancora, quando egli sguainerà la spada del potere temporale, continuerà tuttavia a tenere sotto la sua protezione tutto l'Ordine cistercense.
Nel 1236, mentre il duello con Gregorio IX era più violento, Federico volle seguire il feretro di Santa Elisabetta, coperto di un mantello grigio per dimostrare la sua pietà cistercense (13).
Nel 1245, quando la lotta con Innocenzo IV aveva ormai raggiunto fasi drammatiche, Federico confermava ancora alcuni privilegi ad un monastero cistercense tedesco, di cui riporto integralmente il testo nella versione italiana. Tale documento è uno dei tanti che mi ha fatto avere in copia, da Casamari, l'amico cistercense padre Casimiro.

"In nome della Santa e indivisibile Trinità. Amen.
Federico II, con il favore della divina clemenza, Imperatore dei Romani, sempre augusto, Re di Gerusalemme e di Sicilia.
Ai benefici concessici da Dio rispondiamo porgendogli l'offerta delle grazie, mentre, guardando con la nostra favorevole grazia le sacrosante chiese e i monasteri a Dio dedicati, provvediamo con misericordia alla loro quiete e alla loro pace, e la nostra imperiale serenità convalida e riconferma [ratihabitatione confirmat] le cose che sono state loro donate per pia liberalità, tanto dai principi nostri parenti, quanto da chiunque altro fedele del nostro impero. Per tale ragione vogliamo che sia noto, per mezzo del presente privilegio, a tutti i fedeli [sudditi] dell'Impero, tanto presenti quanto futuri, che Arrigo, Marchese di Misnense, Principe diletto e nostro padre, poiché egli per generosità dette al monastero di Buch dell'Ordine Cistercense le città di Strech, Criwalde, Lups, Misthene, Wigeswitz, Brischowe, Dirsenitz, Tutendorff l'allodio (14) presso Mirna e le vigne adiacenti al medesimo allodio, che ebbe in feudo da noi e dall'Impero, ed inoltre le città di Nidabudowitz e di Cuggeilant che il diletto nostro padre Arrigo di onorata memoria donò con regale munificenza al medesimo monastero, ed ancora la città di Lostowe che l'Abate e la comunità del medesimo monastero acquistarono da Bernardo e Corrado Chiselinge di Bamenze e le città di Langonove, Gersarelesdorff e Bisselbach, che ottennero da Enrico di Pollecche, e poi ancora la città di Buggelwitz che ottennero da Rodolfo di Mildenstein, questi tutti ufficiali del nostro Impero, ci degnassimo di considerare ratificate le, dette donazioni e compere e di confermare, con la nostra grazia, a favore del medesimo monastero le suddette città con i loro boschi, prati, acque, terre colte e incolte.
Pertanto noi che per il nostro senso di generosità e per l'innata clemenza, non sappiamo opporci alle ragionevoli preghiere dei nostri Principi, accompagnando l'affetto della nostra grazia le donazioni fatte dai nostri avi, gli acquisti anche dei beni dei nostri dignitari, come sono state fatte giustamente e ragionevolmente da nostro padre Arrigo, consideriamo ratificati e confermiamo in perpetuo tutti i predetti beni a favore del suddetto monastero e delle persone che in esso servono Dio.
Stabiliamo dunque e con l'autorità del presente "privilegio" e strettamente disponendo, ordiniamo che nessun Duca o Marchese, Principe o Conte, nessun prelato, nessuna infine persona nobile o umile, ecclesiastica o laica osi impedire, molestare o turbare il suddetto monastero nei predescritti beni, contro il tenore della nostra convalida e conferma.
Che se qualcuno avrà osato sfidare la decisione della nostra autorità sappia che incorrerà alla pena di cinquanta libbre di oro, la metà delle quali sarà conferita alla nostra Camera, il resto a coloro che hanno subito l'ingiuria.
Pertanto per la futura memoria della nostra convalida e conferma e per la nostra forza da valere in perpetuo, abbiamo ordinato che fosse fatto il presente "atto" e che questo fosse munito del sigillo imperiale.
Di questo atto sono testimoni Alberto, venerabile patriarca antiocheno; Bertoldo, patriarca aquileiense; Nicola, arcivescovo tarantino; Ulrico, vescovo marsicano; Riccardo, Conte di Caserta, il Maestro Pietro della Vigna, il maestro Taddeo di Sessa ed altri. Questo atto è stato compiuto nell'anno dell'Incarnazione di Dio 1245, nel mese di marzo, indizione terza, regnando il medesimo nostro Signore Federico II...
Dato a Foggia nell'anno, mese e indizione sopradescritti " (15).

E sempre nell'anno 1245 Innocenzo IV, dopo aver scomunicato Federico, si sente obbligato a tranquillizzare il Capitolo dei monaci cistercensi di Casamari circa la regolarità della procedura da lui impiegata per scomunicare l'Imperatore:

"Non vi muova a compassione," - scrive il Pontefice - "vi preghiamo, il discorso degli inesperti e di quelli che ignorano la verità; come se noi abbiamo sentenziato contro Federico senza il parere dei nostri confratelli e dei molti esperti cardinali quasi precipitosamente e con errata decisione" (16).

Come si vede, l'Ordine cistercense di Casamari era tenuto in gran conto dai pontefici dell'epoca, era quasi temuto per i suoi rapporti con gli Svevi. Perciò l'obbligata puntualizzazione di Innocenzo ai monaci che chiedevano la ragione della scomunica.
Può darsi che Federico, insieme con la giovinezza, abbia perduto poi anche la fede. Ma come non credere alla sincerità delle sue parole, quando, adolescente, di fronte al terribile mistero dell'aldilà, egli chiede ai monaci di Casamari di pregare in suffragio delle anime dei genitori:

"Inde est, quod nos intuitu Creatoris omnium per quem vivimus et regnamus e pro et pro remissione delictorum parentum nostrorum dive memoriae concedimus et donavimus vobis"? (17)

Per concludere, credo si possa asserire che Federico avesse veramente indossato il saio di frate laico nel convento cistercense. Tornando quindi alle notizie tramandateci dai testi e dal Regesta, da quanto lasciato scritto da Rondanini e asserito da Lanzetta, si può concludere che Federico II fu un impareggiabile calcolatore politico: ebbe l'amicizia di Onorio III, che lo incoronò Imperatore nel 1220, ma venne scomunicato da Gregorio IX nel 1227 e da Innocenzo IV nel 1245; tenne a conservare la protezione cistercense, ma fu contro alcune abbazie.
Non fu in effetti uomo di fede, ma ostentò la fede. Fu crudele e spietato con i suoi avversari.
Non ebbe esitazione a far torturare e accecare il suo ministro, Pier delle Vigne, sospettato di tradimento e di collusione con il papa. Torturò la sua seconda moglie, Bianca Lancia, madre di Manfredi, sospettata di infedeltà.
In compenso, fu un grande italiano, anche se nelle sue vene scorreva sangue tedesco. Morì nel dicembre 1250 in Puglia, a cinquantasei anni. "E' tramontato il sole del mondo", scrisse uno dei suoi figli, Manfredi. Non aveva torto.


NOTE
1) "La Ginestra", mensile letterario, n. 4, aprile 1979.
2) La giurisprudenza sulla separazione o sul divorzio non esisteva.
3) Filippo Rondinini, Monasteri Sanctae Mariae et Sanctorum Johannis et Pauli Casemarii brevis historia, Roma, 1709.
4) Filippo Rondinini, op. cit., p. 21.
5) Corrado III ebbe come successore Federico Barbarossa. Corrado era fratellastro di Ottone di Frisinga, abate dell'abbazia di Morimond, in Francia.
6) L. Nasalli-Rocca, La posizione politica dei monasteri cistercensi dell'Alta Italia nei tempi da Federico I a Federico II di Svevia, in Analecto Sacri Ordinis Cistercensis, XIII, fasc. 1-2, 1957.
7) Archivio di Stato Napoli, Regesta di Federico II, S/da D. 43, 1198.
8) Archivio di Stato Napoli, op. cit., S/da 91. Cfr. C. De Benedetti, I Regesta di Federico II, Firenze, 1956; D. Lanzetta, Federico II di Svevia, in "Studi Meridionali", anno VI, fase. IV; D. De Rossi, Gli antichi usi civili di Terra d'Otranto, vol. I, 1976.
9) I regesta erano i "decreti" reali o imperiali dell'epoca.
10)Su Gualtieri o Gualtiero di Palear dei conti di Manoppello, vescovo di Troia, già segretario di Arrigo VI e di Costanza d'Altavilla, si legga R. Morghen, Il tramonto della potenza sveva in Italia, 1250-1266, pp. 77-78, Roma, 1936.
11) Archivio di Stato Napoli, Regesta di Federico II, reg. 98. Si confronti C. De Benedetti, op. cit., p. 103.
12) Archivio di Stato Napoli, Regesta, da n. 99 a n. 112.
13) H. M. Shaller, Federico II di Svevia - Storia e personalità, Roma, 1970. A pag. 74 si legge: " [ ... ] l'Imperatore pose sul capo di Santa Elisabetta una corona e mise nella tomba una coppa d'oro. Seguì il feretro con un manto grigio, dimostrando così la sua pietà cistercense".
14) L'allodio è il terreno libero da servizio feudale.
15) Cfr. quanto riportato al riguardo da Hillard-Breholles, in Historia diplomatica Federici Secundi, vol. XII, anno 1245, pp. 264-265, Paris, 1852-1861. I volumi si trovano nella biblioteca cistercense del convento di Casamari.
16) Copia fotostatica dell'originale.
17) F. Bohemer, Regesta Imperii Friederich II, Innsbruck, 1881.


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