Durante una trasmissione
radiofonica gli ascoltatori, interpellati telefonicamente, si lamentavano
della valanga di immagini televisive che li sommergeva; la preferenza
andava alla radio, che può consentire di liberare l'immaginazione.

Nella sostanza, secondo il discorso fin qui seguito su queste pagine,
i suoni, i rumori e le voci provenienti dall'apparecchio radio permettevano
la formazione di una "visione interna" dell'ascoltatore,
e cioè di una "immagine mentale".
Nella percezione della realtà, infatti, i nostri sensi reagiscono
a fenomeni, visioni e suoni, ma le sollecitazioni da questi prodotte
vengono "tradotte" dal piano dell'esperienza sensoriale
a quello della psiche ove gli eventi psichici successivi risentono
di un numero indefinito di fattori sconosciuti in quanto assorbiti
subliminalmente senza la partecipazione della nostra coscienza.
Ora sappiamo che la materializzazione dell'immagine mentale si realizza
nello sdoppiamento fotografico e che la televisione è un particolare
modo di comunicare immagini in successione.
Perché, viene da chiedersi, gli ascoltatori, anche televedenti,
hanno voluto sottolineare la loro diversa reazione in contrasto con
la logica che vorrebbe un maggior gradimento per ciò che è
di più facile acquisizione rispetto a quanto presuppone una
"fatica", anche se mentale? La spiegazione possibile: le
immagini date già formate non sempre posseggono quella qualità-emozione
che comporta l'esistenza di significati simbolici ma, invece, restano
unicamente segni. Nello sdoppiamento fotografico, fatto di segni e
di simboli, solo questi riescono a raggiungere l'intero essere. I
segni "dimostrano", i simboli "suggeriscono";
i primi sono svelati, i secondi reconditi.
Come afferma Jung, "il segno è sempre qualcosa in meno
rispetto al concetto da esso rappresentato, mentre il simbolo rappresenta
qualcosa che sta al di là del suo significato ovvio e naturale.
I simboli sono naturali e spontanei. Nessuno può prendere un
pensiero più o meno razionale, raggiunto come logica conclusione
o per intento deliberato, e dargli una forma simbolica".
Il pensiero di Jung è stato ben sintetizzato da John Freeman,
secondo il quale " ... il suo massimo contributo alla comprensione
psicologica è dato dal concetto di "inconscio": esso
non è (come il subconscio di Freud) solo una specie di ripostiglio
di desideri repressi, ma un mondo vero e proprio che è altrettanto
vitale e reale nella vita dell'individuo quanto lo è "il
mondo conscio", riflessione dell'ego infinitamente più
esteso e più ricco di esso. Il linguaggio e i personaggi dell'inconscio
sono i simboli, e i sogni i suoi mezzi di comunicazione". I sogni,
cioè l'insieme di immagini.

Cosicché
i simboli individuali sono messaggi che provengono dal nostro inconscio
e, seppur camuffati, sono un contributo del nostro essere profondo
a quello cosciente e consapevole.
I simboli collettivi, la cui origine è così sepolta
nel mistero del passato da sembrare extraumani, cioè religiosi,
sono rappresentazioni collettive di fantasie ed emozioni primordiali
e creative.
La rottura dell'unità psicologica dell'individuo e di quella
naturale della collettività, fa dimenticare e censurare quella
parte, comune al singolo e alla specie, primordiale ed emotiva che,
insieme alla parte razionale e acquisita, rappresenta il momento di
equilibrio.
Dalla nostalgia di questa unità nasce la tendenza all'evocazione,
che non è altro che la presenza dell'assenza.
Alla base dell'evocazione sono i simboli, quale mezzi per la ricerca
dell'unità, che si presentano in immagini oniriche e, quindi,
mentali.
Carl G. Jung, nel saggio Introduzione all'inconscio: l'uomo e i suoi
simboli, afferma che "... colui che sogna si trova sommerso da
,.immagini" che sembrano contraddittorie e ridicole, il senso
del tempo vien meno e le cose comuni possono assumere un aspetto affascinante
e minaccioso"; ed aggiunge: "Le immagini che si producono
nei sogni sono molto più pittoresche e vivide dei concetti
e delle esperienze che rappresentano le loro controparti al livello
della coscienza. Una delle ragioni di questo fenomeno è che,
in sogno, questi concetti sono in grado di esprimere il loro significato
inconscio. Molti sogni presentano immagini ed associazioni analoghe
ad idee, miti e riti primitivi".
Il continuo richiamo a questo stretto legame che collega ed unisce
il sogno e l'immagine, tanto che l'uno è inscindibile dall'altra,
ci invita a riflettere, riguardo al discorso sull'immagine fotografica,
sull'analisi dei sogni e, quindi, sui simboli che li pervadono. Attraverso
essi, si può tentare di riscoprire il significato dell'immagine
ed in particolare quello dell'immagine fotografica assumendo una valenza
che va oltre l'individuo coinvolgendo l'essere umano quale specie
e collettività.
Gli organi del corpo umano posseggono una lunga storia evolutiva,
egualmente la mente si è conformata nel tempo.
I resti arcaici dei nostri primordi, elementi non individuali e non
ricavabili dall'esperienza personale, sono stati definiti da Jung
"archetipi" o "Immagini primordiali".
Gli archetipi hanno un fascino e una energia specifica tale da aver
dato vita a miti, religioni e filosofie che possono essere interpretati
come una sorta di terapia collettiva capace di far sopportare e affrontare
sofferenze e ansietà, gioie e speranze. Le origini delle "immagini
collettive" si collocano nel punto d'incontro di molteplici modelli
archetipici fra loro connessi di cui da poco tempo si è iniziato
a prendere consapevolezza mentre, antecedentemente, venivano solamente
vissuti in maniera inconscia.
Nell'uomo contemporaneo la rinuncia alla fede e alla superstizione,
che mediavano il rapporto tra l'uomo e l'agire, a causa della consapevolezza
acquisita, ha determinato una rottura della relazione tra l'uomo e
le forze naturali; ma la relazione continua ad esistere, e quindi
si è venuta creando la necessità di nuove e diverse
superstizioni ma, questa volta, materiali (farmaci, alcool, tabacchi,
cibo, droghe ... ) con, molto spesso, conseguenti e gravi reazioni
psicologiche (nevrosi).

In aggiunta a questi "surrogati" più o meno momentanei,
la scienza e la tecnica hanno messo a disposizione un così
grande numero di nuovi mezzi e strumenti (il cui uso ha concesso di
modificare i comportamenti umani) che, ancora una volta, si tende
a perdere di vista la consapevolezza della mancanza e della perdita
dell'unità dell'essere.
Il sintomo sta in quanto detto in apertura di questo scritto: sono
così numerose le immagini, che ci travolgono e senza "qualità",
che continuamente rinasce il bisogno di guardare, all'interno di se
stessi, la propria visione interna.
Ma nel guardarsi dentro si scopre la scissione tra l'essere razionale
e quello emozionale, e, come in un autoritratto, l'interpretazione
dei simboli è di aiuto, con la consapevolezza, però,
che nessuna immagine simbolica possiede un significato dogmatico,
fisso e generale.
L'immagine fotografica, materializzazione di quella mentale, è
una comunicazione dal profondo di resti arcaici celati nel tempo e
dal tempo e, quindi, può avere una funzione analoga a quella
dei sogni e, cioè, permettere la compensazione dell'essere
con una azione complementare a quella operata dalla coscienza.
E' per questo che ciò che caratterizza l'immagine è
la qualità-emozione, la quale viene a trovarsi nella "bussola
della psiche" dal lato del "sentimento" (il piacere)
contrapposto alla "riflessione" (il pensiero) e della "intuizione"
(la provenienza e il fine) contrapposta alla "sensazione"
(la percezione sensoriale), in definitiva dalla parte dell'irrazionale
(inconscio). Ed è anche per questo che alla base dell'immagine
sono i simboli la cui esistenza consente l'apparizione del doppio,
doppio che guarda su chi sta indagando, e indaga su chi sta guardando.
Nell'autoritratto, ove si sovrappongono e si confondono l'immagine
del sé conscio e inconscio, l'essere e l'aspirazione di essere
danno espressione e forma autonoma ad un l'altro", nello stesso
tempo autorappresentazione e proiezione. Nella riflessione e nell'analisi,
si può rilevare l'insieme dei simboli, corrispondenti ai vari
sentimenti, dall'aggressività alla dolcezza, caleidoscopio
confuso dell'intero essere. Diversamente dallo specchio, la macchina
registra, coglie e conserva l'immagine e come strumento si colloca
tra il soggetto e l'oggetto che è lo stesso soggetto, e quello
che si forma è un nuovo soggetto più "intiero"
di ciascuno dei due, ricco di simboli e carico di emozioni.
Il medesimo fenomeno, così evidente nell'autoritratto, avviene
per ogni immagine fotografica per la quale essenziale è l'emozione
non scissa dalla consapevolezza, per la ricostituzione dell'unità
dell'essere.
L'aver ipotizzato l'emozione quale parametro essenziale, anche se
non unico, può trovare, quindi, una conferma e una giustificazione.
Se l'immagine si forma, come sostenuto, con il contributo di quella
parte della psiche inconscia - al fine di tendere all'unità
e identità dell'essere (e non appaia ciò stravagante
e forzato in una analisi più profonda delle motivazioni e dei
comportamenti umani) -, allora un fenomeno rappresentativo fonda la
sua essenza e il suo significato anche nella parte inconscia, la cui
importanza acquista particolare rilievo in quanto celata e velata,
al contrario della componente razionale di più semplice e diretta
esperienza.
I simboli della rappresentazione sopraffanno i segni; l'immagine deve
essere intesa non solo dalla luce e dalle ombre, dalle linee e dagli
spazi, ma soprattutto dall'insieme dei messaggi che si sottraggono
alla vista ma che si scoprono allo sguardo.
Tutto ciò può, quindi, essere la spiegazione del gradimento
che può provarsi nel confronti di una immagine fotografica
e il giudizio, dichiarato o meno, che di essa si formula.
La vastità dei fruitori raggiunta, generalmente, si associa
alla "grandezza" della fotografia e cioè alla sua
dimensione artistica o per lo meno creativa.
La differenza tra la "grande" e la semplice fotografia,
nella comune opinione, sta a dimostrarlo; la dimensione artistica,
generalmente, si riferisce alla vastità dei fruitori e quindi
alla sua universalità.
Spesso l'immagine del proprio figlio, nella fotografia del dilettante,
non è dissimile da quella del bambino, quale figlio, dell'autore:
la prima è una risonante evocazione per "quel" genitore,
l'altra lo è per l'un', qualunque genitore, per un essere umano.
Così ogni altra rappresentazione, sdoppiamento fotografico,
può essere "grande" o "comune", a seconda
che i messaggi simbolici abbiano, o meno, universalità, profondità
e durata nel tempo.
Semmai la vera differenza può risiedere nel modo in cui avviene
la rappresentazione e nelle ulteriori considerazioni indotte dalla
cultura, cioè da quegli aspetti in cui prevale la razionalità.
Ma il comune generalizzato modo di sentire risente fortemente della
prevalenza dei semplici, banali ma evocativi modi di rappresentazione
che inducono a "sentire" maggiormente l'impatto emotivo
nella rappresentazione calligrafica e tradizionale di un tramonto
piuttosto che nell'espressione riflessa nella luce di uno sguardo.
L'unità dell'essere, in definitiva, non ammette la prevalenza
di una parte sull'altra ma necessita l'equilibrio tra di esse. Già
Pascal identificava nell'armonizzazione tra l'esprit de finesse e
l'esprit de geometrie la condizione per non avere l'intelligenza senza
cuore e per non dare origine al male".
Esiste, ma forse è sempre esistito, un paradosso: apparentemente
sembra prevalere, e si vuole che prevalga, il conscio mentre, invece,
si constata un'effettiva e vasta supremazia dell'inconscio, del quale
però quasi nulla si sa.
La storia del nostro secolo e la cronaca dei nostri tempi, con i fenomeni
sbrigativamente definiti "incomprensibili", forniscono un
elenco d'impulsi che sembrano sfuggire al controllo umano e lo dimostrano
ampiamente. La presenza e la rilevanza delle immagini, che influenzano
ogni settore e ogni momento della nostra vita, mostrano anche quanto
esse siano contraddittorie e ambigue e come si configurino quali punte
di iceberg di eventi e fenomeni simbolici.
Le immagini che compaiono nei giornali e nei manifesti pubblicitari
dietro un apparente, solido e razionale aspetto formale nascondono,
e non sempre chiaramente, il coacervo di emozioni che le ispirano,
emozioni qualche volta suggerite, il più delle volte sfacciatamente
dichiarate. Così situazioni quotidiane e consuete celano ispirazioni
simboliche, messaggi archetipici: la rappresentazione del corpo di
bambini straziati è segno della violenza, il corpo di una donna
è quello della fertilità o del piacere, candide lenzuola
della pulizia e della sanità. Non meraviglia, quindi, che stia
avendo un gran successo il libro di Daniel Goleman - editore Rizzoli
- nel quale l'Autore conferma quanto diceva Aristotele nel Il libro
della Retorica: "le emozioni hanno relazione con l'apparato cognitivo
perché si lasciano modificare dalla persuasione", e afferma
che la nostra miseria -intesa come non conoscenza - rispetto allo
sviluppo intellettuale induce e comporta gli squilibri esistenti ai
quali si può rimediare con l'educazione della emotività.
L'emozione è essenzialmente "relazione" e quindi
richiede programmi di "alfabetizzazione emozionale" che
consentono di interpretare i messaggi che provengono dai "centri
emozionali", che sono i più antichi e che hanno permesso
l'evoluzione umana.

La carenza di
riflessione e di approfondimento porta a rendere i segni sempre più
espliciti e grossolani, pur sottintendendo sempre motivi simbolici.
L'archetipo sembra rivestirsi di una più adeguata e consona
forma al nostro modo di sentire, mentre, invece, l'attività
psichica, proprio nelle forme ritenute più moderne e razionali,
è maggiormente intrisa di un'attività che razionale
non è. Così, per esempio, la velocità, concetto
originario di mutazione della posizione di un corpo nel tempo, che
veniva rappresentata da un cavallo in corsa, oggi ha il suo modello
nel missile che, per la nostra cultura, sembrerebbe meglio avvicinarsi
all'idea che possediamo della scienza e della tecnica, cioè
del razionale, mentre è vero il contrario, poiché il
cavallo in corsa cadeva sotto la nostra esperienza sensoriale mentre
il missile in volo richiede la formazione, mediante l'immaginazione,
di una visione psichica che poi non è altro che il "doppio"
del missile vero e proprio. In definitiva, quello che all'apparenza
sembrava un prodotto razionale (il missile) è, invece, non
razionale ("immaginazione" del missile).
L'immagine che si forma nella nostra mente, "rappresentazione
della cosa", diviene per ciascuno la "cosa".
L'esistenza delle immagini oniriche e, più in generale, delle
immagini mentali è nota e confermata da più tempo, ma
solo nell'ultimo mezzo secolo sono divenute oggetto di studio più
approfondito e costante, derivato, in gran parte, dalle ricerche condotte
riguardo la formazione dell'intelligenza artificiale, come viene comunemente
detta.
Stephen Michael Kosslyn, autore del saggio Ghosts in the Mind's Machine
- pubblicato nel 1983, e in Italia nel 1989 dall'editore Giunti Barbera
di Firenze -, ha voluto sottotitolare il suo libro Creating and Using
Images in the Brain -Creare e utilizzare le immagini nel cervello,
per significare, con una teoria sostenuta da un'imponente base sperimentale,
la duplicità della ricerca volta sia verso la creazione che
l'utilizzazione delle immagini mentali.
Nella presentazione al libro, Bruno Bara rintraccia, nella contestazione
di Roger Shepard all'approccio solo "proposizionale" alla
conoscenza, il riconoscimento e la dimostrazione che "gli esseri
umani sono capaci di formare immagini mentali e di confrontarle tra
di loro" e in Allan Paivio che "le immagini sono in grado
di facilitare le prestazioni della memoria"; ma attribuisce a
merito di Stephen Kosslyn l'aver dato piena dignità alle immagini
mentali e aver costruito una teoria coerente e valida.

Partito da Aristotele, che poneva nel cuore la sede della sensazione
e del pensiero e attribuiva al cervello la funzione di dispositivo
di raffreddamento del sangue per indurci al sonno; rilevata nella
citazione a Cartesio la dicotomia tra corpo e mente, in quanto il
primo è soggetto alle leggi fisiche e considerato un aggregato
di componenti riconoscibili e comprensibili mentre la seconda è,
sfuggente e indefinibile, rappresentata da pensieri, ricordi, immagini
e coscienza, cioè fantasmi che animano e abitano il corpo e
di cui non fanno parte, fuori dalla portata della scienza; ricordato
che in tempi recenti è stata ipotizzata l'esistenza della mente
da una parte e dall'altra quella della macchina-cervello con le sue
caratteristiche fisiche ed elettrochimiche, Kosslyn afferma che oggi
la "scienza cognitiva" - fusione dell'intelligenza artificiale,
psicologia, linguistica e filosofia - è in grado di affrontare
lo studio delle immagini mentali, dei fantasmi dentro la macchina
della mente.
Le immagini mentali sono rappresentazioni della mente che si formano
anche in assenza di stimoli "visivi" e sono contemporanee
all'esperienza cosciente della rappresentazione stessa.
L'origine non è congiunta alla presenza di un correlato esterno
e Kosslyn ha dimostrato che il "visualizzato" nella mente
conserva le proprietà degli oggetti reali.
Le immagini mentali vanno intese come "metafore", non come
creazione di fotogrammi letti e visti da un osservatore interno (homunculus);
l'informazione, utilizzata dagli esseri umani, si struttura per dare
l'impressione di un vero stimolo visivo e mette in atto procedure
di elaborazione "come se" i dati fossero percettivi.
Non sono ancora note le operazioni della costruzione e della gestione
delle immagini mentali anche se un notevole contributo proviene dalle
simulazioni al calcolatore, in un processo di retroazione ciclica
nel quale la ricerca sull'intelligenza artificiale induce ad una sempre
maggiore conoscenza della mente, conoscenza che, a sua volta, influisce
sulla formazione di procedure elaborative - algoritmi -che definiscono
nuove simulazioni.
Il processo seguito da Kosslyn consente di spostare il campo dell'immaginazione
dal settore esoterico della psicologia a quello scientifico-cognitivo
(e questo è il suo merito), purtuttavia, con riferimento alle
riflessioni condotte su queste pagine, non prende in considerazione,
volutamente perché rappresenta un parametro indefinito, anche
se esistente, l'influenza di quanto non cade nella sfera della consapevolezza,
cioè dell'inconscio.
Riflettere sull'immagine fotografica ci fa incontrare un vasto insieme
di motivi e ragioni basilari sulla formazione dell'immagine e della
conoscenza; sin qui ne abbiamo cercato di riconoscere l'esistenza,
ma converrà riprendere l'argomento con uno studio più
approfondito dopo aver conosciuto esempi concreti rappresentati da
alcuni autori e da eventi fotografici che per la loro diffusione e
notorietà possono costituire interessanti, curiosi, particolari
fenomeni. A questo aspetto dedicheremo le prossime note.
(7-continua)