§ L'AUTORE E IL SUO LINGUAGGIO

L'IMMAGINE FOTOGRAFICA




Franco Barbieri



Durante una trasmissione radiofonica gli ascoltatori, interpellati telefonicamente, si lamentavano della valanga di immagini televisive che li sommergeva; la preferenza andava alla radio, che può consentire di liberare l'immaginazione.


Nella sostanza, secondo il discorso fin qui seguito su queste pagine, i suoni, i rumori e le voci provenienti dall'apparecchio radio permettevano la formazione di una "visione interna" dell'ascoltatore, e cioè di una "immagine mentale".
Nella percezione della realtà, infatti, i nostri sensi reagiscono a fenomeni, visioni e suoni, ma le sollecitazioni da questi prodotte vengono "tradotte" dal piano dell'esperienza sensoriale a quello della psiche ove gli eventi psichici successivi risentono di un numero indefinito di fattori sconosciuti in quanto assorbiti subliminalmente senza la partecipazione della nostra coscienza.
Ora sappiamo che la materializzazione dell'immagine mentale si realizza nello sdoppiamento fotografico e che la televisione è un particolare modo di comunicare immagini in successione.
Perché, viene da chiedersi, gli ascoltatori, anche televedenti, hanno voluto sottolineare la loro diversa reazione in contrasto con la logica che vorrebbe un maggior gradimento per ciò che è di più facile acquisizione rispetto a quanto presuppone una "fatica", anche se mentale? La spiegazione possibile: le immagini date già formate non sempre posseggono quella qualità-emozione che comporta l'esistenza di significati simbolici ma, invece, restano unicamente segni. Nello sdoppiamento fotografico, fatto di segni e di simboli, solo questi riescono a raggiungere l'intero essere. I segni "dimostrano", i simboli "suggeriscono"; i primi sono svelati, i secondi reconditi.
Come afferma Jung, "il segno è sempre qualcosa in meno rispetto al concetto da esso rappresentato, mentre il simbolo rappresenta qualcosa che sta al di là del suo significato ovvio e naturale. I simboli sono naturali e spontanei. Nessuno può prendere un pensiero più o meno razionale, raggiunto come logica conclusione o per intento deliberato, e dargli una forma simbolica".
Il pensiero di Jung è stato ben sintetizzato da John Freeman, secondo il quale " ... il suo massimo contributo alla comprensione psicologica è dato dal concetto di "inconscio": esso non è (come il subconscio di Freud) solo una specie di ripostiglio di desideri repressi, ma un mondo vero e proprio che è altrettanto vitale e reale nella vita dell'individuo quanto lo è "il mondo conscio", riflessione dell'ego infinitamente più esteso e più ricco di esso. Il linguaggio e i personaggi dell'inconscio sono i simboli, e i sogni i suoi mezzi di comunicazione". I sogni, cioè l'insieme di immagini.

Cosicché i simboli individuali sono messaggi che provengono dal nostro inconscio e, seppur camuffati, sono un contributo del nostro essere profondo a quello cosciente e consapevole.
I simboli collettivi, la cui origine è così sepolta nel mistero del passato da sembrare extraumani, cioè religiosi, sono rappresentazioni collettive di fantasie ed emozioni primordiali e creative.
La rottura dell'unità psicologica dell'individuo e di quella naturale della collettività, fa dimenticare e censurare quella parte, comune al singolo e alla specie, primordiale ed emotiva che, insieme alla parte razionale e acquisita, rappresenta il momento di equilibrio.
Dalla nostalgia di questa unità nasce la tendenza all'evocazione, che non è altro che la presenza dell'assenza.
Alla base dell'evocazione sono i simboli, quale mezzi per la ricerca dell'unità, che si presentano in immagini oniriche e, quindi, mentali.
Carl G. Jung, nel saggio Introduzione all'inconscio: l'uomo e i suoi simboli, afferma che "... colui che sogna si trova sommerso da ,.immagini" che sembrano contraddittorie e ridicole, il senso del tempo vien meno e le cose comuni possono assumere un aspetto affascinante e minaccioso"; ed aggiunge: "Le immagini che si producono nei sogni sono molto più pittoresche e vivide dei concetti e delle esperienze che rappresentano le loro controparti al livello della coscienza. Una delle ragioni di questo fenomeno è che, in sogno, questi concetti sono in grado di esprimere il loro significato inconscio. Molti sogni presentano immagini ed associazioni analoghe ad idee, miti e riti primitivi".
Il continuo richiamo a questo stretto legame che collega ed unisce il sogno e l'immagine, tanto che l'uno è inscindibile dall'altra, ci invita a riflettere, riguardo al discorso sull'immagine fotografica, sull'analisi dei sogni e, quindi, sui simboli che li pervadono. Attraverso essi, si può tentare di riscoprire il significato dell'immagine ed in particolare quello dell'immagine fotografica assumendo una valenza che va oltre l'individuo coinvolgendo l'essere umano quale specie e collettività.
Gli organi del corpo umano posseggono una lunga storia evolutiva, egualmente la mente si è conformata nel tempo.
I resti arcaici dei nostri primordi, elementi non individuali e non ricavabili dall'esperienza personale, sono stati definiti da Jung "archetipi" o "Immagini primordiali".
Gli archetipi hanno un fascino e una energia specifica tale da aver dato vita a miti, religioni e filosofie che possono essere interpretati come una sorta di terapia collettiva capace di far sopportare e affrontare sofferenze e ansietà, gioie e speranze. Le origini delle "immagini collettive" si collocano nel punto d'incontro di molteplici modelli archetipici fra loro connessi di cui da poco tempo si è iniziato a prendere consapevolezza mentre, antecedentemente, venivano solamente vissuti in maniera inconscia.
Nell'uomo contemporaneo la rinuncia alla fede e alla superstizione, che mediavano il rapporto tra l'uomo e l'agire, a causa della consapevolezza acquisita, ha determinato una rottura della relazione tra l'uomo e le forze naturali; ma la relazione continua ad esistere, e quindi si è venuta creando la necessità di nuove e diverse superstizioni ma, questa volta, materiali (farmaci, alcool, tabacchi, cibo, droghe ... ) con, molto spesso, conseguenti e gravi reazioni psicologiche (nevrosi).


In aggiunta a questi "surrogati" più o meno momentanei, la scienza e la tecnica hanno messo a disposizione un così grande numero di nuovi mezzi e strumenti (il cui uso ha concesso di modificare i comportamenti umani) che, ancora una volta, si tende a perdere di vista la consapevolezza della mancanza e della perdita dell'unità dell'essere.
Il sintomo sta in quanto detto in apertura di questo scritto: sono così numerose le immagini, che ci travolgono e senza "qualità", che continuamente rinasce il bisogno di guardare, all'interno di se stessi, la propria visione interna.
Ma nel guardarsi dentro si scopre la scissione tra l'essere razionale e quello emozionale, e, come in un autoritratto, l'interpretazione dei simboli è di aiuto, con la consapevolezza, però, che nessuna immagine simbolica possiede un significato dogmatico, fisso e generale.
L'immagine fotografica, materializzazione di quella mentale, è una comunicazione dal profondo di resti arcaici celati nel tempo e dal tempo e, quindi, può avere una funzione analoga a quella dei sogni e, cioè, permettere la compensazione dell'essere con una azione complementare a quella operata dalla coscienza.
E' per questo che ciò che caratterizza l'immagine è la qualità-emozione, la quale viene a trovarsi nella "bussola della psiche" dal lato del "sentimento" (il piacere) contrapposto alla "riflessione" (il pensiero) e della "intuizione" (la provenienza e il fine) contrapposta alla "sensazione" (la percezione sensoriale), in definitiva dalla parte dell'irrazionale (inconscio). Ed è anche per questo che alla base dell'immagine sono i simboli la cui esistenza consente l'apparizione del doppio, doppio che guarda su chi sta indagando, e indaga su chi sta guardando.
Nell'autoritratto, ove si sovrappongono e si confondono l'immagine del sé conscio e inconscio, l'essere e l'aspirazione di essere danno espressione e forma autonoma ad un l'altro", nello stesso tempo autorappresentazione e proiezione. Nella riflessione e nell'analisi, si può rilevare l'insieme dei simboli, corrispondenti ai vari sentimenti, dall'aggressività alla dolcezza, caleidoscopio confuso dell'intero essere. Diversamente dallo specchio, la macchina registra, coglie e conserva l'immagine e come strumento si colloca tra il soggetto e l'oggetto che è lo stesso soggetto, e quello che si forma è un nuovo soggetto più "intiero" di ciascuno dei due, ricco di simboli e carico di emozioni.
Il medesimo fenomeno, così evidente nell'autoritratto, avviene per ogni immagine fotografica per la quale essenziale è l'emozione non scissa dalla consapevolezza, per la ricostituzione dell'unità dell'essere.
L'aver ipotizzato l'emozione quale parametro essenziale, anche se non unico, può trovare, quindi, una conferma e una giustificazione.
Se l'immagine si forma, come sostenuto, con il contributo di quella parte della psiche inconscia - al fine di tendere all'unità e identità dell'essere (e non appaia ciò stravagante e forzato in una analisi più profonda delle motivazioni e dei comportamenti umani) -, allora un fenomeno rappresentativo fonda la sua essenza e il suo significato anche nella parte inconscia, la cui importanza acquista particolare rilievo in quanto celata e velata, al contrario della componente razionale di più semplice e diretta esperienza.
I simboli della rappresentazione sopraffanno i segni; l'immagine deve essere intesa non solo dalla luce e dalle ombre, dalle linee e dagli spazi, ma soprattutto dall'insieme dei messaggi che si sottraggono alla vista ma che si scoprono allo sguardo.
Tutto ciò può, quindi, essere la spiegazione del gradimento che può provarsi nel confronti di una immagine fotografica e il giudizio, dichiarato o meno, che di essa si formula.
La vastità dei fruitori raggiunta, generalmente, si associa alla "grandezza" della fotografia e cioè alla sua dimensione artistica o per lo meno creativa.
La differenza tra la "grande" e la semplice fotografia, nella comune opinione, sta a dimostrarlo; la dimensione artistica, generalmente, si riferisce alla vastità dei fruitori e quindi alla sua universalità.
Spesso l'immagine del proprio figlio, nella fotografia del dilettante, non è dissimile da quella del bambino, quale figlio, dell'autore: la prima è una risonante evocazione per "quel" genitore, l'altra lo è per l'un', qualunque genitore, per un essere umano.
Così ogni altra rappresentazione, sdoppiamento fotografico, può essere "grande" o "comune", a seconda che i messaggi simbolici abbiano, o meno, universalità, profondità e durata nel tempo.
Semmai la vera differenza può risiedere nel modo in cui avviene la rappresentazione e nelle ulteriori considerazioni indotte dalla cultura, cioè da quegli aspetti in cui prevale la razionalità.
Ma il comune generalizzato modo di sentire risente fortemente della prevalenza dei semplici, banali ma evocativi modi di rappresentazione che inducono a "sentire" maggiormente l'impatto emotivo nella rappresentazione calligrafica e tradizionale di un tramonto piuttosto che nell'espressione riflessa nella luce di uno sguardo.
L'unità dell'essere, in definitiva, non ammette la prevalenza di una parte sull'altra ma necessita l'equilibrio tra di esse. Già Pascal identificava nell'armonizzazione tra l'esprit de finesse e l'esprit de geometrie la condizione per non avere l'intelligenza senza cuore e per non dare origine al male".
Esiste, ma forse è sempre esistito, un paradosso: apparentemente sembra prevalere, e si vuole che prevalga, il conscio mentre, invece, si constata un'effettiva e vasta supremazia dell'inconscio, del quale però quasi nulla si sa.
La storia del nostro secolo e la cronaca dei nostri tempi, con i fenomeni sbrigativamente definiti "incomprensibili", forniscono un elenco d'impulsi che sembrano sfuggire al controllo umano e lo dimostrano ampiamente. La presenza e la rilevanza delle immagini, che influenzano ogni settore e ogni momento della nostra vita, mostrano anche quanto esse siano contraddittorie e ambigue e come si configurino quali punte di iceberg di eventi e fenomeni simbolici.
Le immagini che compaiono nei giornali e nei manifesti pubblicitari dietro un apparente, solido e razionale aspetto formale nascondono, e non sempre chiaramente, il coacervo di emozioni che le ispirano, emozioni qualche volta suggerite, il più delle volte sfacciatamente dichiarate. Così situazioni quotidiane e consuete celano ispirazioni simboliche, messaggi archetipici: la rappresentazione del corpo di bambini straziati è segno della violenza, il corpo di una donna è quello della fertilità o del piacere, candide lenzuola della pulizia e della sanità. Non meraviglia, quindi, che stia avendo un gran successo il libro di Daniel Goleman - editore Rizzoli - nel quale l'Autore conferma quanto diceva Aristotele nel Il libro della Retorica: "le emozioni hanno relazione con l'apparato cognitivo perché si lasciano modificare dalla persuasione", e afferma che la nostra miseria -intesa come non conoscenza - rispetto allo sviluppo intellettuale induce e comporta gli squilibri esistenti ai quali si può rimediare con l'educazione della emotività. L'emozione è essenzialmente "relazione" e quindi richiede programmi di "alfabetizzazione emozionale" che consentono di interpretare i messaggi che provengono dai "centri emozionali", che sono i più antichi e che hanno permesso l'evoluzione umana.

La carenza di riflessione e di approfondimento porta a rendere i segni sempre più espliciti e grossolani, pur sottintendendo sempre motivi simbolici. L'archetipo sembra rivestirsi di una più adeguata e consona forma al nostro modo di sentire, mentre, invece, l'attività psichica, proprio nelle forme ritenute più moderne e razionali, è maggiormente intrisa di un'attività che razionale non è. Così, per esempio, la velocità, concetto originario di mutazione della posizione di un corpo nel tempo, che veniva rappresentata da un cavallo in corsa, oggi ha il suo modello nel missile che, per la nostra cultura, sembrerebbe meglio avvicinarsi all'idea che possediamo della scienza e della tecnica, cioè del razionale, mentre è vero il contrario, poiché il cavallo in corsa cadeva sotto la nostra esperienza sensoriale mentre il missile in volo richiede la formazione, mediante l'immaginazione, di una visione psichica che poi non è altro che il "doppio" del missile vero e proprio. In definitiva, quello che all'apparenza sembrava un prodotto razionale (il missile) è, invece, non razionale ("immaginazione" del missile).
L'immagine che si forma nella nostra mente, "rappresentazione della cosa", diviene per ciascuno la "cosa".
L'esistenza delle immagini oniriche e, più in generale, delle immagini mentali è nota e confermata da più tempo, ma solo nell'ultimo mezzo secolo sono divenute oggetto di studio più approfondito e costante, derivato, in gran parte, dalle ricerche condotte riguardo la formazione dell'intelligenza artificiale, come viene comunemente detta.
Stephen Michael Kosslyn, autore del saggio Ghosts in the Mind's Machine - pubblicato nel 1983, e in Italia nel 1989 dall'editore Giunti Barbera di Firenze -, ha voluto sottotitolare il suo libro Creating and Using Images in the Brain -Creare e utilizzare le immagini nel cervello, per significare, con una teoria sostenuta da un'imponente base sperimentale, la duplicità della ricerca volta sia verso la creazione che l'utilizzazione delle immagini mentali.
Nella presentazione al libro, Bruno Bara rintraccia, nella contestazione di Roger Shepard all'approccio solo "proposizionale" alla conoscenza, il riconoscimento e la dimostrazione che "gli esseri umani sono capaci di formare immagini mentali e di confrontarle tra di loro" e in Allan Paivio che "le immagini sono in grado di facilitare le prestazioni della memoria"; ma attribuisce a merito di Stephen Kosslyn l'aver dato piena dignità alle immagini mentali e aver costruito una teoria coerente e valida.


Partito da Aristotele, che poneva nel cuore la sede della sensazione e del pensiero e attribuiva al cervello la funzione di dispositivo di raffreddamento del sangue per indurci al sonno; rilevata nella citazione a Cartesio la dicotomia tra corpo e mente, in quanto il primo è soggetto alle leggi fisiche e considerato un aggregato di componenti riconoscibili e comprensibili mentre la seconda è, sfuggente e indefinibile, rappresentata da pensieri, ricordi, immagini e coscienza, cioè fantasmi che animano e abitano il corpo e di cui non fanno parte, fuori dalla portata della scienza; ricordato che in tempi recenti è stata ipotizzata l'esistenza della mente da una parte e dall'altra quella della macchina-cervello con le sue caratteristiche fisiche ed elettrochimiche, Kosslyn afferma che oggi la "scienza cognitiva" - fusione dell'intelligenza artificiale, psicologia, linguistica e filosofia - è in grado di affrontare lo studio delle immagini mentali, dei fantasmi dentro la macchina della mente.
Le immagini mentali sono rappresentazioni della mente che si formano anche in assenza di stimoli "visivi" e sono contemporanee all'esperienza cosciente della rappresentazione stessa.
L'origine non è congiunta alla presenza di un correlato esterno e Kosslyn ha dimostrato che il "visualizzato" nella mente conserva le proprietà degli oggetti reali.
Le immagini mentali vanno intese come "metafore", non come creazione di fotogrammi letti e visti da un osservatore interno (homunculus); l'informazione, utilizzata dagli esseri umani, si struttura per dare l'impressione di un vero stimolo visivo e mette in atto procedure di elaborazione "come se" i dati fossero percettivi.
Non sono ancora note le operazioni della costruzione e della gestione delle immagini mentali anche se un notevole contributo proviene dalle simulazioni al calcolatore, in un processo di retroazione ciclica nel quale la ricerca sull'intelligenza artificiale induce ad una sempre maggiore conoscenza della mente, conoscenza che, a sua volta, influisce sulla formazione di procedure elaborative - algoritmi -che definiscono nuove simulazioni.
Il processo seguito da Kosslyn consente di spostare il campo dell'immaginazione dal settore esoterico della psicologia a quello scientifico-cognitivo (e questo è il suo merito), purtuttavia, con riferimento alle riflessioni condotte su queste pagine, non prende in considerazione, volutamente perché rappresenta un parametro indefinito, anche se esistente, l'influenza di quanto non cade nella sfera della consapevolezza, cioè dell'inconscio.
Riflettere sull'immagine fotografica ci fa incontrare un vasto insieme di motivi e ragioni basilari sulla formazione dell'immagine e della conoscenza; sin qui ne abbiamo cercato di riconoscere l'esistenza, ma converrà riprendere l'argomento con uno studio più approfondito dopo aver conosciuto esempi concreti rappresentati da alcuni autori e da eventi fotografici che per la loro diffusione e notorietà possono costituire interessanti, curiosi, particolari fenomeni. A questo aspetto dedicheremo le prossime note.

(7-continua)


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