§ SUONI CIECHI VIA ETERE

L'ARTE RADIOFONICA




Sergio Bello



Quando mi capitava di salire le scale di via del Babuino per incontrare mio padre, al termine dell'ultimo giornale radio, gettavo automaticamente lo sguardo oltre le finestre che danno verso il cortile interno; un lussureggiante giardino ricopre il costone che viene giù dal Pincio e abbraccia le ali del palazzo: monumento nazionale, mi veniva detto.
Sotto quell'incanto, a qualche metro di profondità, un motore marino tenuto in perfetta efficienza e pronto a generare energia sufficiente a tenere in piedi le trasmissioni radiofoniche, qualsiasi cosa accada. In una delle sale di regia, poi, un grosso, plumbeo registratore a bobine tenuto un po' discosto, simile ad un armadietto da spogliatoio con due occhioni perlacei: per le trasmissioni in stato di emergenza, sapevo. Mi sono sempre domandato cosa diavolo fosse inciso sul nastro di quelle bobine; probabilmente non molto più che Haydn e qualcosa tipo "Le trasmissioni sono momentaneamente interrotte: riprenderanno il più presto possibile".
Questa impressione della radio di Stato come di un ultimo baluardo intorno al quale si fa quadrato nelle situazioni più estreme, si intrecciava, in quegli anni densi e convulsi, con l'umore di clandestinità e polvere da sparo che aleggiava attorno ai nomi di emittenti filo-eversive come Radio Onda Rossa e Radio Sherwood, o con lo spirito provocatorio di una Radio Radicale che non si riusciva a tenere al morso.
L'immersione notturna in questo oceano di voci, rumori e suoni - la mano alla manopola del sintonizzatore - in ore in cui anche le necessità commerciali dei canali privati più disimpegnati venivano meno, lasciando spazio allo sperimentalismo creativo e propositivo di programmazioni meno attente a mantenere la sincronia con un livellante gusto medio, non mancava mai di rivelarsi prodiga di stimoli acustici e verbali, tipicamente imbevuti dell'ovattato riverbero captato dal microfoni delle stazioni radio che trasmettono in quelle ore.
La radio in effetti ha sempre lasciato un margine più ampio alla sperimentazione e all'innovazione di quanto non abbia fatto la televisione; la "maneggevolezza" stessa dello strumento consente maggiori margini di manovra; tuttavia il peso della diffusione oramai capillare della televisione costringe entro confini sempre più angusti la sorella cieca.
Credo sia indicativo notare come la televisione abbia eroso ambiti di utilizzo fino a poco tempo fa considerati ineludibilmente legati al mezzo radiofonico: in Romania come in Cecenia come altrove si è assistito a scontri furibondi intorno ai rispettivi palazzi della televisione; i messaggi alle popolazioni assumono una valenza e un peso decisamente diverso se una delle parti in causa può permettersi la trasmissione attraverso il canale televisivo.
Il caso recente di Radio B92, la radio dell'opposizione scesa in campo nella ex Jugoslavia per denunciare il velato golpe portato a segno da Milosevic, è un episodio dal sapore un po' retrò che proprio per questo forse ha fatto guadagnare ai giornalisti e ai tecnici di quella emittente l'immediata simpatia di chi osservava il succedersi degli eventi da fuori.
Ma per quanto la televisione possa ostentare primati di ascolto e di attenzione oramai impensabili per la radio, non è mai riuscita ad eguagliare lo spirito propositivo e sperimentale dello strumento radiofonico. A tutt'oggi la varietà dell'offerta radiofonica non ha riscontro nella sostanziale omogeneità delle programmazioni televisive, siano esse pubbliche o private.
Laddove la televisione sembra essere solo in grado di promuovere, la radio propone: trovando supporto, in questo, nel maggiore spirito di avventura del radio ascoltatore, quasi del tutto assente nel telefruitore.
Questo iato è ancora più esasperato se guardiamo a quella fetta di programmazione che esula dal mero intrattenimento: è pur vero che il pubblico della radio è più selezionato di quello televisivo; tuttavia, anche non volendo sostenere che ogni artista vanta il pubblico che si è costruito nel tempo, la divaricazione tra le rispettive programmazioni appare ancora sproporzionata.
Una prospettiva particolarmente interessante dalla quale guardare ai due mondi è quella relativa alla produzione artistica che scaturisca da una riflessione intorno alle peculiarità dello strumento di comunicazione di cui si è a disposizione.
Uno studio molto valido, seppur limitato all'ambito radiofonico, è stato presentato a Bologna alla fine del 1995, in occasione del X Colloquio di Informatica Musicale, dal lucano Nicola Scaldaferri. Lo studio intendeva ripercorrere la nascita della musica elettroacustica per tracciarne le intricate relazioni con il mezzo radiofonico.
Già parlammo su queste pagine dei tre più importanti studi radiofonici coinvolti nel processo di elaborazione teorica e realizzazione pratica delle opere maggiori della musica elettroacustica: Colonia (WDR), attraverso la spinta iniziale di Eimert e il genio compositivo di Stockhausen; la radio parigina RTF con Henry, Schaeffer e il suo Groupe de Recherche de Musique Concrete; e lo Studio di fonologia musicale della RAI di Milano, con Luciano Berio e Bruno Maderna.
Con la fondazione di questi e altri studi all'interno di istituzioni radiofoniche, avviene il passaggio tracciato da Scaldaferri tra musica radiogenica e musica radiofonica.
In un primo tempo il dibattito verteva semplicemente infatti sul tipo di musica che maggiormente si attagliava alla trasmirametro entro il quale far quadrare la musica strumentale tradizionale (oggi questo non vale più, almeno non del tutto), ma niente di più.
Sarà la radio stessa a promuovere la musica elettroacustica; attraverso concorsi quali il "Premio Italia", istituito nel 1948 dalla RAI, attraverso festivals di musica contemporanea, ma anche e soprattutto con la diffusione via etere di queste neonate forme compositive: la storica messa in onda degli "Etudes de Bruits" di Shaeffer del '48, o gli esperimenti elettronici di Eimert radiotrasmessi nel '51.
La lucida poetica di Karlheinz Stockhausen ci aiuta a comprendere il senso di quel che è stato in ambito radiofonico: "Che cosa hanno fatto finora i produttori discografici e radiofonici? Hanno riprodotto: hanno riprodotto una musica che in passato era stata scritta per le sale da concerto e i teatri d'opera: come se il film si fosse limitato a fotografare i vecchi pezzi teatrali. E la radio cerca di perfezionare tecnicamente questi reportages di concerti e di opere in modo che l'ascoltatore riesce sempre meno a distinguere la copia dall'originale: l'illusione deve essere totale [ ... ]. Ora, sebbene la radio fosse già diventata una tale fabbrica di conserve, accadde qualcosa di inaspettato: fece la propria apparizione la musica elettronica; una musica nata in maniera del tutto funzionale dalle particolari condizioni della radio. Essa non viene registrata con microfoni su un podio e conservata per essere poi in seguito riprodotta, ma nasce invece con l'aiuto della valvola elettronica, esiste solo su nastro e può venir ascoltata solo con altoparlanti [ ... ]. Si può giudicare la musica elettronica come si vuole: la sua necessità risiede già solo nel fatto di indicare alla produzione radiofonica una via di sviluppo. La musica elettronica non utilizza nastro e altoparlante solo per riprodurre, ma per produrre. Chi ascolta per mezzo di altoparlanti capirà prima o poi che ha molto più senso se dall'altoparlante esce una musica che non si può ascoltare altrimenti che con un altoparlante".
L'idillio tra musica elettroacustica e radio in realtà si troverà a dover affrontare problemi - quale quello della spazializzazione del suono - che, non trovando soluzione, hanno costretto il compositore di musica elettroacustica al recupero dei più tradizionali spazi votati alla esecuzione musicale.
Questa rottura poco o nulla toglie tuttavia all'intera vicenda: niente di così dirompente sul piano artistico è maturato in ambito televisivo, e questo è un dato di fatto straordinariamente negativo, a ben guardare.


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