Non
possiamo permetterei dì rallentare il nostro cammino verso l'Unione
monetaria, perché questo favorirebbe l'integrazione di fatto,
a beneficio di un solo Paese, la Germania. E' un rischio che dobbiamo
evitare a tutti i costi. Riflettiamo sui concetti di sovranità
monetaria reale e fittizia. Il pericolo di un'Europa in cui detti legge
il più forte si elimina solo procedendo nell'integrazione istituzionale,
cioè sulla strada intrapresa nel '92 col trattato di Maastricht.
Quel trattato, con tutti i suoi limiti, segna l'avvio di un processo
che non si deve interrompere. Perché se questo accadesse, l'Europa
ripiomberebbe nell'oscurantismo degli Anni Trenta, risorgerebbero i
nazionalismi e la disgregazione politico-sociale avrebbe esiti imprevedibili.
Il periodo di transizione che ci separa dal '99 è denso di ostacoli
e di difficoltà. L'optimum sarebbe realizzare, insieme all'integrazione
degli organismi monetari, anche quella tra le altre istituzioni economiche,
politiche e sociali. Ma è una pia illusione, perché manca
una forte leadership politica che invece dovrebbe governare questa transizione,
e attenuare, e se possibile annullare, gli inconvenienti legati al divario
che c'è nell'integrazione delle istituzioni politiche, ancora
molto indietro rispetto all'integrazione delle istituzioni monetarie,
che invece è già molto avanzata. Si pensi all'Istituto
Monetario Europeo, che ha avuto un ruolo importante nella trattativa
per il rientro nello Sme della marka finlandese e della lira italiana.
Voglio dunque essere molto chiaro. Dico a tutti gli italiani che se
salta Maastricht sarà la fine dell'Europa. E allora sarà
la rovina, il Vecchio Continente diventerà una colonia tecnologica,
salvo per il Paese più forte, cioè la Germania, che aggregherà
al suo carro solo chi le è più gradito.
Carlo Azeglio Ciampi
La questione dello sviluppo riguarda l'intera Europa, e in maniera
particolare il nostro Paese. Ad essa è collegato il problema
della disoccupazione che ha raggiunto, specie in alcune aree del Mezzogiorno,
un livello insostenibile sia sotto il profilo economico che, ancora
più, sotto l'aspetto sociale e - si può dire - etico.
E questo lo sottolineo sotto due aspetti: da un lato, perché
trovo veramente singolare che il problema dello sviluppo sia stato
in pratica accantonato un po' da tutti, forze politiche ed esperti
di economia; e dall'altro, perché sarebbe oltremodo interessante
discutere su "come" fare per rimettere in moto il processo
di crescita. Poiché non pensiamo più allo sviluppo,
ci attardiamo a cercare rimedi per distribuire i sacrifici o pensiamo
a soluzioni per dividere tra tutti il poco lavoro che c'è.
Ma questi rimedi spesso sono peggiori del male.
Continuando a fare solo sacrifici si rischia di imboccare una spirale
negativa, per cui si deprime la domanda sia di consumi che di investimenti,
si mettono in crisi le aziende, si riduce il gettito fiscale per lo
Stato, si creano altri disoccupati. Insomma, si innesca un processo
di depressione di cui non si vede la fine.
Rimettiamo al centro dei nostri ragionamenti il problema dello sviluppo,
delle cause del suo arresto e delle possibili ricette per rimettere
in moto la macchina della crescita. Innanzitutto, cominciamo a considerare
che innovazione tecnologica e globalizzazione non sono dei nemici
da cui difendersi, ma delle opportunità, delle grandi opportunità,
su cui costruire il futuro del nostro Paese e dell'intera Europa.
Bisogna prendere atto che i tentativi di difendersi da questi grandi
cambiamenti attraverso il moltiplicarsi delle reti di protezione,
non solo di tipo sociale, ma anche di vincoli amministrativi e dirigistici,
o col mantenimento di posizioni monopolistiche, hanno comportato costi
enormi per i cittadini e per le imprese. E questi costi vengono scaricati
sulla collettività sia attraverso le tariffe più elevate
di servizi inefficienti, sia, e soprattutto, attraverso una crescita
del prelievo fiscale e contributivo veramente abnorme, che colpisce
sia i singoli cittadini sia le imprese. Tutto ciò ha finito
col soffocare l'economia, con l'impedire la creazione di nuove iniziative,
col formare un esercito di disoccupati senza speranza.
E' chiaro quindi che il problema dello sviluppo va rimesso al centro
dell'impegno politico. Anche la nostra partecipazione alla moneta
europea sarà agevolata da una politica economica capace di
coniugare il risanamento allo sviluppo. E quindi occorrono lungimiranza
e coraggio per effettuare una politica di riforme che coinvolga la
revisione dello Stato sociale, insieme al miglioramento e al rilancio
dei mercati, primo fra tutti quello finanziario. Ma sarà possibile
far questo, solo se vinceremo le resistenze dei cittadini, che nascono
dall'incertezza, offrendo loro una possibile e concreta prospettiva
per il futuro.
Cesare Romiti
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