|
|
SFIDA AI PRIVILEGI |
|
Franco
Orsenigo
|
Proviamo a riprendere
un vecchio schema dell'economista Graziani per tentare di spiegare
come i fenomeni della spesa pubblica e del Mezzogiorno siano collegati
più di quanto comunemente si creda, e come essi, nei fatti,
provochino più vantaggi che danni a coloro i quali ogni giorno
si lamentano e menano scandalo. Che cosa è successo in questi
anni? La spesa pubblica - la cui maggiore componente, com'è
noto, è quella per interessi - ha operato verso il Nord trasferimenti
a persone fisiche e soprattutto ad imprese che hanno consentito a
queste ultime processi semigratuiti di ristrutturazione e consistenti
sconti negli acquisti di nuovi beni capitali. Verso il Sud, invece,
si sono operati sostanziosi trasferimenti di reddito alle famiglie
e finanziamenti di pubblici appalti, attivando un consistente flusso
di domanda che non trova riscontro nella capacità produttiva
esistente in loco e che, di conseguenza, rende il Mezzogiorno strutturalmente
tributario dell'esterno.
L'industria del Nord con gli apporti del pubblico erario consegue dunque almeno due vantaggi: da un lato si ristruttura con ampi sconti, assai più dal lato dei processi. La prova è nel carente livello qualitativo dei prodotti italiani, via via sempre meno competitivi sui mercati internazionali, a cominciare dalla stessa Comunità europea. E' nota la scarsa percentuale di brevetti italiani sul mercato estero, ed è noto il basso livello, rispetto al Pil, degli investimenti in ricerca e sviluppo, tutti fatti che rendono l'industria italiana dipendente dall'estero. D'altro canto, la domanda attivata dal Sud fa di quest'ultimo un conveniente mercato domestico di consumo che molti nella stessa Europa ci invidiano. L'industria nazionale scarica sui costi interni, quindi sulla produttività, quindi sui posti di lavoro, la sua vista corta. E gli effetti di vera e propria falcidia di questi ultimi, soprattutto nei grandi gruppi, si sono fatti sentire pesantemente (ed era logico) particolarmente nelle unità produttive decentrate al Mezzogiorno nei lontani anni Cinquanta e Sessanta, ed ora in via di progressivo, sostanziale smantellamento. Ma, per tornare alla spesa pubblica, essa è lievemente superiore, contrariamente a quanto si suole o si vuole far credere, al Nord rispetto al Sud, ove invece - come è ovvio - si raccolgono meno imposte a causa del più basso livello dei redditi. E' questo il meccanismo che determina il formarsi di circa l'80 per cento del deficit pubblico nelle regioni meridionali. Come si è ricordato, la componente maggiore di quest'ultimo è costituita dagli interessi, dal momento che ormai il disavanzo primario è in pareggio. La necessità per lo Stato di tenere alti i tassi d'interesse sul debito deriva dall'esigenza di attrarre con continuità e rapidità capitali dall'esterno per pareggiare gli strutturali deficit di bilancio derivanti dalla precaria situazione dell'industria del Nord e dalla persistente domanda non in equilibrio del Sud. Come si vede, quindi, non è poi così difficile mettere insieme i pezzi per capire (e spiegare) che i nodi dell'economia italiana finiscono per essere tra loro strettamente correlati e per recare sostanziali benefici ad una classe imprenditoriale della quale i recenti fasti (e nefasti) confermano la strutturale e originaria debolezza. Chi è favorito dalle pensioni? Il Sud, si dice. Allora facciamo un po' di conti in numeri assoluti di questa che è stata definita "una corsa verso il baratro". Pensioni di anzianità dei dipendenti pubblici: secondo il Tesoro, ammontano a 742 mila, 334 mila delle quali statali, 333 mila riguardanti gli enti locali e la sanità, 75 mila le ferrovie. Con un assegno medio annuo di circa 26 milioni di lire, il loro costo complessivo ammonta a circa 19 mila miliardi. Con una pietra dello scandalo al loro interno, costituita dai pensionati baby: ben 190 mila, a considerare quelli con età fino a 50 anni (spesa di 3.600 miliardi l'anno). Nel settore privato i pensionati di anzianità sono complessivamente un milione e 225 mila. Il loro assegno annuale ammonta mediamente a 21 milioni e 500 mila lire, per un costo complessivo di oltre 27 mila miliardi. In gran parte sono lavoratori dipendenti (517 mila), coltivatori diretti, mezzadri e coloni (240 mila). Gli artigiani sono 200 mila, i commercianti 77 mila. Tra questi dipendenti sono anche conteggiati i 105 mila prepensionati, un numero destinato a salire in questi prossimi mesi con gli "esuberi" nell'industria, nei servizi, banche comprese, e nei trasporti. Proprio queste cifre sono lo specchio della società industriale al tramonto: pochi braccianti, pochi edili (con un settore messo in crisi da tasse e balzelli degni del Medio Evo); e tanti operai e impiegati, impegnati nelle grandi imprese, che sono localizzate soprattutto al Nord. Un'analisi confermata anche da uno studio sulla distribuzione territoriale delle pensioni condotto dall'Inps. Risulta che la gran parte delle pensioni di anzianità sono proprio distribuite al Nord. Resta il discorso delle pensioni di invalidità, che sicuramente sono state distribuite in Italia a piene mani, con prevalenza nelle regioni meridionali. E proprio qui è la distorsione suprema: quelle pensioni servivano ad alimentare al Sud un mercato di consumo di base (il mercato interno invidiatoci da altri Paesi europei), e che sarebbe meglio definire "di sopravvivenza". Oggi, questo tipo di pensioni è in fase fortemente decrescente, anche perché chi ci ha messo dentro le mani ha finalmente scoperto gli enormi giri truffaldini realizzati a spese dell'intera collettività italiana. Giri che comunque hanno riguardato un po' tutte le regioni della penisola, e che hanno fatto comodo un po' a tutti: a chi le elargiva in nome del voto di scambio, e a chi le riceveva per grazia di Dio e volontà della Nazione.
|
![]() Tutti i diritti riservati © 2000 |