§ ARTE NATIVA

LE VOCI DEL QUECHUA




Sergio Bello



Degli Inca, in sintesi, si è appurato questo: la loro civiltà influenzò scarsamente i popoli andini, di cui bloccò lo sviluppo culturale, senza modificarne sostanzialmente la tradizione; ebbero una civiltà rude più che austera; non sembra che conoscessero la scrittura; i loro disegni non furono né pittogrammi né ideogrammi. Dunque: la letteratura incaica non è stata mai scritta. Tutto quello che conosciamo su alcuni miti delle loro origini, sui racconti che rievocano fatti e gesta, lo dobbiamo a compilatori europei, e ovviamente va tenuto presente che la trasmissione orale rendeva tutto ciò particolarmente vulnerabile ad opera delle contaminazioni coloniali europee.
Trasmissione che, tuttavia, si mantenne viva ben oltre la conquista, e che contribuì al sorprendente - quanto effimero - fiorire delle lettere ispano-quechua nel 1700, come dimostrano il notevole dramma Ollantay e il lungo poema Apu Inca Atau Huallpamam, i cui personaggi tratti dalla storia incaica esprimono in lingua indigena sentimenti europei.
E' noto che i depositari della tradizione e delle narrazioni semi-storiche e semi-leggendarie che costituivano gli annali del passato incaico erano gli amautas. Come riferisce Cieza de León, "ogni imperatore si circondava di un certo numero di questi specialisti [ ... ] perché celebrassero la sua grandezza e ne conservassero il ricordo". Quando l'imperatore moriva, gli amautas "stabilivano se era stato abbastanza fortunato nelle sue imprese da meritare di figurare nella storia, e se era stato sufficientemente coraggioso in combattimento e sufficientemente buono verso i suoi sudditi, perché la sua fama restasse in eterno fra gli uomini". D'accordo con i discendenti del trapassato, sopprimevano nella relazione sul regno appena concluso tutte le vicende che potessero in qualche modo appannarne lo splendore. Dopo di che, codificavano questa storia in una specie di epopee o di chansons de gestes, che cantavano nelle più svariate occasioni. Coloro i quali avevano l'incarico di elaborare la storia ufficiale e di conservarne e tramandarne l'ortodossia erano tenuti in grande onore.
Nota Henri Favre che il sapere degli amautas si trasmetteva di generazione in generazione nel seno di certe famiglie: "Essi fornirono a molti antichi scrittori la materia prima delle cronache che ci hanno lasciato. Non sorprende quindi che queste cronache presentino sensibili differenze e, a volte, flagranti contraddizioni, dal momento che le epopee incaiche tendevano molto meno a glorificare l'Impero, mettendo in evidenza la continuità dell'azione dei sovrani, che non a celebrare gli imperatori mettendo sotto accusa la discontinuità dei loro regni". Queste epopee cantate non sviluppavano un'unica storia, ma parecchie storie militanti, "che corrispondevano ad altrettanti lignaggi imperiali" ed esprimevano il prestigio che era rivendicato da concorrenti, in nome dei loro antenati-fondatori. Ciò rifletteva la frammentarietà della coscienza storica fra i gruppi di discendenze rivali e la precarietà del consenso sul passato che si stabiliva in seno all'élite.
Alla poesia-musica di carattere storico si affiancava quella religiosa, il cui sviluppo sarebbe stato violentemente interrotto dagli spagnoli incaricati di radere al suolo tutte le manifestazioni dei culti autoctoni; Cristòbal de Molina ha registrato nella sua Relazione delle favole e dei riti degli Inca un buon numero di preghiere e di inni che i sacerdoti di Cuzco dedicavano alle divinità. Di questi inni, che fondono preoccupazioni morali e affanni materiali, quello elevato al dio Huiracocha diceva: "O creatore, / Beato creatore, sii misericordioso; / Abbi pietà degli uomini, dei tuoi uomini e servitori / Che hai creato e a cui ordini di esistere. / Abbi pietà di loro; / Che siano sempre sani e salvi / Con i loro figli e tutta la loro discendenza; / Che vadano per la retta via senza pensare al male; / Che vivano a lungo e non muoiano giovani; / Che mangino e vivano in pace".
Una lingua così ricca e duttile come il quechua si prestava meravigliosamente all'espressione poetica e musicale di tutte le sfumature del sentimento. La poesia-musica, in particolare quella amorosa ed elegiaca, era un genere apprezzato e dunque molto coltivato. Il poeta evocava, in testi generalmente brevi, la solitudine dell'amante in assenza dell'essere amato, il tormento di chi non aveva alcuna speranza di essere ricambiato, la nostalgia del tempo che scorre inesorabile, l'inflessibilità del fato: "Come il fiore sono nato in un giardino. / Così sono cresciuto. / Dopo vennero gli anni, sono invecchiato. / E quando venne l'ora della morte, sono appassito / e sono morto".
Odi ed elegie, come le epopee e gli inni sacri, erano cantate sulla base di una scala pentatonica, che ancora oggi caratterizza la musica andina. Il canto era generalmente accompagnato da strumenti a fiato e a volte ritmato con tintinnii di sonagli, con percussione di tamburi o con squilli di trombe marine. I più notevoli strumenti a fiato erano i flauti. Alcuni di essi, come i piccoli pincullus intagliati in un osso, o le lunghe quenas ricavate da una canna, erano composti d'un solo cannello, con un numero variabile di buchi. Altri, simili alle siringhe, avevano diversi cannelli che potevano essere anche modellati in argilla e persino scolpiti nella pietra. Si ritiene che prima del 1500 non si conoscesse in tutta l'area andina alcuno strumento a corda.
Il vocabolo quechua taqui, col quale si indicano simultaneamente la danza e il canto sul cui ritmo si eseguiva, sottolinea l'intima unione esistente tra la letteratura, la musica e l'espressione del corpo. Le danze più comuni erano l'arahui e, soprattutto, lo huayno che, in forma sicuramente modificata, si è diffuso nell'intero Perù contemporaneo, e da qui negli Stati confinanti. Altre danze sono variamente citate: il llamaya, danza dei pastori; lo harahuayo, danza degli agricoltori; il cachihua, danza di gioia; lo haylli arahui, danza della vittoria dopo una battaglia. Appartengono tutte, queste danze, al contesto delle cerimonie rituali, nelle quali i danzatori, con maschere e sonagli, consumavano tanta birra, quanta era sufficiente per raggiungere uno stato di trance mistica. Soltanto le musiche e danze che si celebravano al momento della semina per ottenere la fertilità della terra avevano un indubbio valore orgiastico.


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