§ TEMPO DEL SALENTO

LA LEGGENDA DELL'ARCOBALENO




Marilena Nicolardi



Da antiche tradizioni e leggende, da rituali misteriosi, cerimonie sacre e culti pagani, tramandatisi nel corso dei secoli, traggono origine le numerosissime feste popolari di cui il calendario salentino è particolarmente ricco. La coesistenza di componenti religiose e aspetti profani è un elemento che caratterizza queste ricorrenze in cui la celebrazione del santo protettore (in epoche remote sempre connessa alla risoluzione prodigiosa di avvenimenti nefasti, come epidemie, incursioni, assedi o atti di brigantaggio), le processioni, le messe, si sovrappongono o si alternano alle fiere, alle sagre gastronomiche, all'esibizione di bande musicali e di gruppi folkloristici, allo spettacolo offerto dai fuochi pirotecnici e dalle luminarie che abbelliscono strade e piazze.
Tra giugno e settembre, nei novantasei Comuni della provincia di Lecce, si svolgono, con modalità pressoché identiche per ciò che concerne la durata e l'allestimento, più di duecento feste, la cui organizzazione è solitamente affidata ad un comitato popolare, coordinato dalla Pro Loco, dall'amministrazione comunale o da altri enti.
Fino ad alcuni decenni fa, queste manifestazioni costituivano un avvenimento importante per la vita del paese o della città in cui avevano luogo, poiché facilitavano la socializzazione e rappresentavano un'occasione di svago e di evasione dalla quotidianità; erano inoltre fonte di guadagno economico per i venditori e i mercanti che prendevano parte alle fiere ad esse collegate. Oggi numerose tradizioni sono ormai scomparse, tuttavia in alcuni centri le feste patronali conservano ancora la loro fisionomia originaria.
Rievoca un'antichissima tradizione dell'Asia Minore la suggestiva esposizione di lampioni che si tiene a Calimera il 21 giugno, in occasione della festa di San Luigi. I lampioni, realizzati con carta velina, canne, spago e colla, ricordano infatti quelli molto più rudimentali raffigurati in alcuni graffiti scoperti nelle grotte della Cappadocia. Probabilmente l'usanza di costruire lampioni di carta fu introdotta a Calimera da alcuni coloni bizantini stanziatisi nel Salento tra l'XI e il XII secolo. Inizialmente era connessa al culto di Sant'Antonio Abate; in seguito fu associata alla celebrazione di due ricorrenze: la festa di Sant'Antonio da Padova, il 13 giugno, e quella di San Luigi, il 21 giugno; rimase infine legata esclusivamente ai festeggiamenti in onore di San Luigi. Negli anni Settanta questa consuetudine era stata abbandonata; è stata ripristinata dal 1990, ad opera della Associazione culturale "Ghetonìa".
L'illuminazione dei lampioni, che inizialmente si otteneva con l'ausilio delle candele, oggi è realizzata elettricamente, mentre l'esposizione, che interessava le strade dei vari rioni del paese, si svolge in via Gramsci.
I lampioni hanno spesso forme bizzarre e fantasiose, rappresentano navi, aerei, dirigibili, sputnik. Anche le loro dimensioni variano: si parte dai più piccoli, che hanno pressappoco la grandezza di un secchio, per arrivare a quelli più maestosi, che possono raggiungere i cinque metri di lunghezza. La preparazione avviene parecchi mesi prima dei festeggiamenti e coinvolge soprattutto gli anziani, ma anche la partecipazione dei giovani è consistente.
Un fenomeno storico-religioso antichissimo è il "tarantismo", rievocato ogni anno a Galatina dal 28 al 30 giugno, in occasione della festa di San Pietro e Paolo. Secondo la tradizione popolare, il tarantismo era associato ad una singolare malattia causata dal morso di un ragno, la tarantola, o taranta, che si manifestava con sindrome depressiva, dolori allo stomaco, oppressione cardiaca, sudorazionze fredda e fissità dello sguardo. Per favorire la guarigione esisteva un rituale particolare che rimanda ad alcuni culti orgiastici della Magna Grecia e che, in epoca medioevale, era molto diffuso e si è ulteriormente propagato fino alla fine del '700, per arrivare ai giorni nostri.
Si riscontrava in tutta la Puglia e in altre zone del Regno di Napoli, con diramazioni in Marocco, Libia, Grecia e Spagna. Secondo questo rituale, i familiari della malata (il tarantismo colpiva soprattutto le donne) dovevano addobbare la stanza più grande della loro abitazione con ghirlande e tralci di vite e collocare per terra un lenzuolo bianco con accanto un tavolo coperto da una tovaglia, anch'essa bianca, sulla quale si disponeva un secchio, una spada e un catino colmo d'acqua. In questo contesto ambientale, la musica assumeva una valenza terapeutica: la tarantata infatti riusciva a liberarsi dalla malattia solo danzando ininterrottamente per ore, a volte per giorni, al ritmo della "pizzica" (forma locale di tarantella), e tenendo in mano delle fettucce di stoffa colorata.
Questa danza liberatoria provocava una crisi di pianto e, successivamente, il sonno che riportava alla normalità. Bisognava poi recarsi alla cappella di San Paolo, affinché il Santo scongiurasse il pericolo di una ricaduta. Oggi il fenomeno (che è stato ampiamente analizzato da Ernesto De Martino ne La terra del rimorso) è quasi scomparso, ma si può assistere ancora alle danze di alcune donne che bevono l'acqua, considerata miracolosa, di un pozzo sito all'interno del santuario. La leggenda vuole infatti che quell'acqua renda immuni dal tarantismo perché benedetta da San Paolo, al quale veniva attribuito il potere taumaturgico di preservare gli uomini dall'effetto del morso degli animali velenosi.


Trae origine dal culto pagano della dea Iris la festa di Santa Marina che si celebra il 17 luglio a Ruggiano, piccola frazione di Salve. Secondo la tradizione popolare, la santa protegge dall'itterizia, denominata anche "male d'arcu", malattia dell'arcobaleno. Esisteva infatti la convinzione che chi indossava vestiti tesi ad asciugare ai piedi dell'arcobaleno si ammalava d'ittero. Anche in questo caso la guarigione era associata a un rituale: nel pellegrinaggio al santuario bisognava fermarsi sotto un arco o un tronco arcuato per mingere. Questo gesto, unito alla recitazione di una giaculatoria, serviva ad allontanare e a esorcizzare la malattia. Ancora oggi, dopo la visita in chiesa, si acquistano le "zigareddhe", strisce di stoffa colorata che, secondo la credenza popolare, legate al braccio preservano dall'itterizia.
Risale al periodo medioevale la celebrazione della festa della Madonna della Neve che si svolge a Copertino il 5 agosto. Fu Manfredi, principe di Taranto e conte di Copertino, a introdurre il culto della santa, donando, il 5 agosto del 1235, un affresco con l'immagine della Madonna ad Nives alla basilica, che fino ad allora era stata intitolata all'Assunta. Da quel giorno, ogni anno a Copertino si organizzava una fiera che durava otto giorni, con un imponente corteo che coinvolgeva tutti gli abitanti del paese. li corteo partiva dal castello, costeggiava le mura, rientrava nel centro abitato da Porta Malassiso e si fermava nei pressi della basilica. Era aperto dal popolo, a piedi, seguito dal clero, a cavallo, e dal carro con la famiglia del conte e l'arciprete. Intorno al carro v'erano i reggenti con le fiaccole e subito dietro le congreghe e i militari. Questa tradizione si è conservata fino ai giorni nostri e il singolare corteo viene riproposto con i costumi tradizionali dell'epoca: vi prendono parte circa cento figuranti, alcuni dei quali impersonano i componenti della famiglia del conte e i rappresentanti dei cinque casali in cui anticamente era diviso il paese (Cigliano, Mollone, Casole, Cittadella, Cambrò). Intervengono inoltre gli sbandieratori di Oria che si esibiscono in Piazza del Popolo e in Piazza Umberto I. Il corteo si chiude con la lettura di un proclama in lingua medioevale. Subito dopo, nel fossato intorno al castello, si svolge una sagra gastronomica.
Una tradizione secolare salentina che trae origine dalle antiche lotte saracene è la danza scherma, diffusa anche in Calabria, Sicilia e Campania. Viene riproposta ancora oggi durante la festa in onore di San Rocco, che si celebra il 15 agosto a Torrepaduli, piccola frazione di Ruffano.
La danza, accompagnata dal ritmo della "pizzica" e dai canti di alcuni gruppi folkloristici, simboleggia un duello figurato tra due sfidanti che usano il braccio e la mano destra a mo' di coltello, per affondare o parare i colpi. Il vincitore si batte con un altro avversario e il rituale va avanti fino all'alba del giorno successivo. La danza-scherma, denominata anche "danza dei coltelli", è la trasposizione dei duelli che anticamente si svolgevano tra i malavitosi o tra i mercanti e i venditori ambulanti. Di solito si trattava di un regolamento di conti, oppure di una discussione o di una lite che degeneravano e si trasformavano in sfide armate.


Caratteristiche, nel mese di agosto, sono anche le processioni a mare della Madonna di Santa Maria di Leuca, il 15, e della Madonna di Pompei a Castro, nella prima decade.
Quest'ultima si conclude con la festa del pescatore, nel corso della quale viene distribuito gratuitamente il pesce locale, preparato secondo ricette tipiche salentine.
Tra le fiere è particolarmente interessante quella della trozzella, che si tiene a Vaste il 7, mentre tra le sagre gastronomiche va segnalata quella della "Municeddha", organizzata a Cannole nella prima decade, che richiama oltre centomila persone. Merita infine attenzione la festa dei Santi Martiri che si svolge a Otranto il 13, 14 e 15, e rievoca il tragico martirio degli ottocento cristiani barbaramente trucidati dai Turchi nel 1480, sul colle della Minerva.


Chiudono il mese le celebrazioni che hanno luogo a Lecce in onore di Sant'Oronzo, nominato protettore della città al posto di Santa Irene dal vescovo Pappacoda, nel 1656. Secondo la tradizione popolare, il santo in quell'epoca risparmiò Lecce da un'epidemia di peste abbattutasi sul Regno di Napoli. I festeggiamenti per Sant'Oronzo durano tre giorni (24, 25 e 26) e richiamano più di duecentomila persone. Sono caratterizzati da imponenti luminarie, suggestivi fuochi pirotecnici e varie attrazioni, oltre che dall'allestimento di una fiera con numerosissime bancarelle dislocate nelle strade principali del centro della città.
Risale all'epoca medioevale la devozione per la Madonna della Strada, che si festeggia l'8 e il 9 settembre a Taurisano. Secondo la leggenda, intorno all'anno Mille, un mercante che trasportava oggetti d'oro, attraversando la foresta ubicata nel luogo dove oggi sorge il paese, venne assalito di notte da alcuni briganti. Fu salvato dall'apparizione della Madonna che mise in fuga i ladri. In segno di ringraziamento il viandante edificò in quel sito una cappella, dedicandola alla Madonna della Strada, e la avvolse con una catena, ottenuta fondendo gli ori che possedeva.
Verso la fine del 1200 la catena d'oro fu venduta per poter ingrandire la chiesa con i proventi, e al suo posto ne venne realizzata un'altra in argento. Anche quest'ultima, in seguito, fu utilizzata dai feudatari del luogo per finanziare alcuni servigi militari e sostituita con una in cera rossa, lunga più di cento metri: ne restano solo quindici, logorati in molti punti. Fino ad una ventina di anni fa, il giorno della festa la catena di cera veniva collocata all'esterno, in modo da cingere la chiesa; oggi si può ammirare ai piedi della statua della Madonna.


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