PANZERBANK




Karl F. Liethner



Di solito, i turisti le conoscono come le torri di "Soll" (dare) e "Haben" (avere): due grattacieli giganteschi in vetro, 158 metri ciascuno, diventati, come l'Eiffel a Parigi, il simbolo visibile della strapotenza teutonica. Qui, infatti, nella modernissima sede della Deutsche Bank, a Francoforte, si giocano le grandi partite del potere in Germania, e di fronte alla luce di questi grattacieli diventa più opaca persino la stella di qualunque Cancelliere.
La Deutsche e le sorelle minori, la Dresdner Bank e la Commerzbank, rappresentano molto più di tre colossi del credito: sono gli autentici snodi della potente locomotiva tedesca. Coperti dal velo di un esercito di azionisti-padroni, (250 mila per la Deutsche e 160 mila per la Dresdner e la Commerz), e ispirati dalla parola d'ordine Allifinanz, la finanza globale che definisce le banche tedesche come "universali", sono in condizione di fare il bello e il cattivo tempo in ogni campo dell'economia. La "piovra di Francoforte" si allunga con partecipazioni di controllo nell'industria automobilistica (Daimler Benz); nell'edilizia (Philip Holzamn); nella produzione di pneumatici (Continental); nei grandi sistemi di distribuzione (Horten e Karstadt); nel settore dello shipping (società di navigazione Hapag Lloyd); nell'elettronica (Siemens).
Dai pacchetti azionari i tentacoli delle banche tedesche si allungano ai Consigli di amministrazione (dominati dai rappresentanti degli Istituti di credito), alla Borsa (il 90 per cento delle nuove emissioni in Germania passano per gli uffici delle tre grandi banche di Francoforte), agli affari con i Paesi stranieri. Quando il Cancelliere Kohl decise l'operazione-riunificazione, lo spericolato aggancio dell'ex Repubblica democratica tedesca alla locomotiva della Repubblica federale tedesca, prima di annunciare la sua sfida ai cittadini tedesco-occidentali scettici e preoccupati, si recò ai piani alti di Soll-Haben per ricevere l'indispensabile benedizione dei banchieri. E la Grande Germania è stata ricostruita in tempi da primato grazie innanzitutto ai generosi finanziamenti erogati dai rubinetti delle tre sorelle.
Alfred Herrhausen, il mitico presidente della Deutsche Bank, saltò in aria la mattina del 30 novembre 1989; i terroristi della Raf, la Frazione Armata Rossa, avevano capito perfettamente chi era l'uomo-simbolo del Paese, il personaggio più potente, immortalato da una copertina di Der Spiegel, il quale, con il suo sguardo da "padrone del mondo", veniva definito "Il signore dei soldi". Herrhausen, figlio di un geometra e nipote di un macellaio, è stato per anni il formidabile emblema del self made tedesco, e il Muro di Berlino era caduto da pochissime ore, quando lui, con il tono di un moderno dittatore, annunciò:
"Se lasciano lavorare le nostre banche, in pochi anni porteremo i cittadini della Germania dell'Est agli stessi livelli di vita di quelli della Repubblica federale". Una profezia diventata realtà.
Sul sistema capillare dell'Allifinanz vigila la Bundesbank, che chiude, così, il cerchio di un potere economico parallelo (e in molti casi ben più forte, deciso e decisivo) a quello politico. Quando in Germania sono scoppiati conflitti tra il Governo e la Banca Centrale, ha sempre prevalso la volontà dell'autorità monetaria. Anche Cancellieri del peso di Konrad Adenauer e di Helmut Schmidt si sono dovuti piegare alle decisioni irrevocabili della Bundesbank. Nel 1966 il capo del governo Ludwig Erhard, dopo aver chiesto inutilmente alla Banca centrale di allargare la base monetaria per favorire sviluppo e occupazione, fu costretto alle dimissioni.
E prima di lasciare, espresse un giudizio passato alla storia: "Non dipende dal governo di Bonn, ma dalla Bundesbank, se in Germania le industrie fioriscono o falliscono o se i disoccupati aumentano o diminuiscono".
Hans Tietmeyer, attuale presidente della Bundesbank, con i suoi diktat sull'Unione monetaria europea, è il fedele erede di Karl Otto Poehl. Verso la fine degli anni Ottanta l'opinione pubblica internazionale capì che l'Europa unita e la moneta unica uscivano dal libro dei sogni e si avviavano a diventare realtà. Allora Poehl ruppe il suo tradizionale riserbo e spiegò a un giornalista del Financial Times la filosofia "europeista" della Bundesbank. La nuova moneta europea? "Non dovrà essere più debole del marco tedesco". Il nome? "Potrà chiamarsi anche Franco, ma in questo caso sarà un Franc Fort". E la sede della Banca centrale europea? "Francfort sur le Main". Sono trascorsi dieci anni, l'Euro è vicino al traguardo, ma l'inflessibilità della Bundesbank è ancora un macigno che pesa, e che continuerà a pesare, nel futuro della nuova Europa. E il Cancelliere tedesco sa bene che non potrà liberarsene, come sanno di non potersene liberare tutti gli altri partners europei.


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