SCRUTANDO IL FUTURO




Maleo Rublo



Ha scritto Alessandro Marotta che la grande inquietudine del nostro tempo riguarda i giovani, "la difficoltà di disegnare nel loro futuro un minimo di certezza su percorsi formativi adeguati alle mutevoli dinamiche del mercato del lavoro". Durante gli anni Ottanta l'impianto del mondo delle professioni, delle competenze e delle abilità già scricchiolava a causa dell'incapacità di orientare le scelte formative su collaudate e dunque prevedibili evoluzioni del nostro sistema produttivo. Che è come dire che c'era già allora nell'aria la premonizione di nuovi scenari e di una dimensione planetaria dell'economia, che avrebbe finito per trascendere gli schemi sui quali riposava fiduciosamente la promessa di uno sviluppo senza fine, che avrebbe comunque premiato i giovani forniti di talento e di volontà.
Allora, che cosa è accaduto? Semplicemente che, prese nella morsa della competizione globale, ossessionate dalla necessità di abbassare i costi di produzione, le imprese in tutto il mondo - dal Giappone agli Stati Uniti, dal Canada all'Australia e ai Paesi Scandinavi -sono state e continuano ad essere spinte a sostituire il lavoro umano con quello delle macchine. I continui progressi dell'elettronica, i prodigi dell'informatica e della robotica consentono di automatizzare non solo i lavori meramente esecutivi e ripetitivi, ma persino quelli che implicano attività mentali complesse. Anche nei Paesi nei quali le imprese possono godere di un bassissimo costo del lavoro, l'automazione è destinata a breve periodo a creare un'epoca di disoccupazione e di sottoccupazione di enormi dimensioni, con conseguenze sconvolgenti per l'ordine sociale e morale delle popolazioni interessate.
Senza alcun dubbio, a questa previsione Il catastrofica" si contrappone la risposta degli economisti ortodossi, per i quali continua a rimanere valida la teoria dell'effetto a cascata della tecnologia: l'applicazione della tecnica ai processi di produzione, aumentando la produttività delle imprese e diminuendo relativamente il costo dei beni, farebbe crescere il potere di acquisto dei consumatori che in tal modo potrebbero procacciarsi beni ulteriori. Ne conseguirebbe lo sviluppo di nuovi settori, e di conseguenza ci sarebbe la creazione di nuovi posti di lavoro.
Questo processo virtuoso, d'altro canto, si sarebbe già verificato almeno una volta, nell'ormai secolare storia dell'industria, quando, in coincidenza con la prima guerra mondiale, l'intensa applicazione di nuove fonti di energia, più efficienti di quelle utilizzate in precedenza (l'elettricità al posto del vapore), e le nuove forme di organizzazione del lavoro (la fabbrica fordiana) determinarono vertiginosi aumenti della produttività. Pur contenendo molti elementi di verità, questo quadro riuscirebbe nel suo insieme abbastanza fuorviante se non fosse completato anche dalla considerazione di altri fattori.
Non si deve dimenticare, infatti, che soltanto a partire dal 1945, dopo una lunga crisi economica e soprattutto dopo la fine del secondo conflitto mondiale, tale intensa crescita delle capacità produttive venne davvero socializzata, coordinandosi necessariamente con una drastica riduzione degli orari di lavoro e con un forte aumento delle retribuzioni. Oggi, le prospettive generali appaiono del tutto diverse.
L'informatizzazione e le possibilità offerte alle imprese - e non soltanto alle grandi multinazionali - dalla globalizzazione fanno venire drammaticamente meno questo circolo virtuoso: a meno che non si invertano le attuali linee di tendenza, che richiedono e richiederanno, anche nell'immediato futuro, capacità professionali inaccessibili ai più. Ma per chi è destinato a entrare nella potente élite dei professionisti legati all'economia globale ad alta tecnologia, nelle sempre più anguste nicchie del pubblico impiego o nelle professioni liberali il destino si prospetta molto oscuro. Per tutti costoro rimarrà, nelle realtà economiche più dinamiche, molto lavoro non garantito e sottopagato (alla stregua del nostro lavoro nero o dei cosiddetti "lavori spazzatura" negli Stati Uniti). Declineranno irrimediabilmente, invece, i lavori manageriali di livello dirigenziale non alto, con il rischio di vedere inabissarsi parti consistenti delle classi medie. Ed è del tutto inutile dire che queste prospettive non schiudono alcun vero orizzonte di progresso sociale.
Quali soluzioni possono immaginarsi per evitare il compiersi di queste previsioni. L'impegno o la buona volontà di pochi, per quanto lodevoli e necessari, non riusciranno mai a risolvere i problemi posti dalla globalizzazione. E riporre ancora speranze nello Stato sarebbe altrettanto illusorio. L'ultima conseguenza della globalizzazione, infatti, è proprio la crescente impotenza degli Stati nazionali.
Sotto l'effetto dell'accelerazione della mobilità internazionale del lavoro, della globalizzazione dei mercati e dell'integrazione delle economie, i governi vedono ridursi a vista d'occhio le loro possibilità d'azione macroeconomica. A questo proposito è sufficiente ricordare come i prodotti a più alto contenuto tecnologico oggi incorporino componenti di provenienza talmente varia, che il contributo di ciascuna nazione non è più riconoscibile. Quando uno statunitense acquista per ventimila dollari dalla General Motors un'automobile, di questa cifra soltanto ottocento dollari, e anche poco meno, finiscono ai produttori degli Usa.
Rassegnarsi alla propria e all'altrui impotenza avrebbe comunque conseguenze devastanti. L'avvenire dei nostri giovani, dei nostri figli e dei nostri nipoti si presenterebbe tanto buio da scoraggiare qualsiasi tentativo di immaginarlo.
Una soluzione "micro", che ovviamente deve coordinarsi con altre, quelle "macro", è meritevole di essere sperimentata, se non altro per offrire una prospettiva minima proprio ai giovani: estendere e consolidare l'economia sociale del cosiddetto "terzo settore" (né pubblico né privato) nella tutela dell'ambiente e del paesaggio, nello sviluppo del turismo legato alla cultura, nella creazione di centri di servizi alle imprese, anche nella cura e nell'assistenza di anziani e di disabili. Sono possibilità sulle quali è necessario riflettere e per le quali vale forse la pena di impegnarsi.


Banca Popolare Pugliese
Tutti i diritti riservati © 2000