A SCUOLA D'INTELLIGENZA




Dario Stefano



Che un'Associazione di imprenditori affronti con passione civile, continuità e competenza i problemi del mondo educativo, apparentemente così lontani dalla tutela degli interessi economici, può apparire insolito.
Va allora opportunamente esplicitato che, a differenza di quanto ci si potrebbe attendere, l'approccio di un'Associazione di imprenditori ai problemi della scuola risulta tutt'altro che ispirato da preoccupazioni di tipo economicistico ma, al contrario, nasce dal profondo rispetto che gli stessi imprenditori nutrono verso il valore sociale delle istituzioni educative.
Gli imprenditori hanno consapevolezza del fatto che la scuola non è certamente estranea alla formazione del capitale umano che ha determinato lo sviluppo economico, che ha creato ed affermato il made in Italy nel mondo, che ha saputo trasferire nelle qualità tecniche, estetiche e commerciali dei prodotti le radici stesse della nostra cultura.
La medesima consapevolezza però spinge gli stessi imprenditori a sollecitare da tempo l'attenzione sull'evoluzione del sistema generale e, quindi, sulla necessità che anche la scuola e il mondo formativo si sintonizzino ai mutamenti, per meglio rispondere, e con competenza, alle nuove esigenze. Per colmare le attuali lacune che senz'altro presentano.
Abbiamo infatti avuto la fortuna di vivere il passaggio storico dalla società industriale a quella post industriale, da una società in cui la maggioranza dei lavoratori delle imprese svolgeva un lavoro manuale ad una società i n cui si passa dalla manodopera alla ,,mente d'opera", ovvero dove il lavoro richiede sempre più apporti creativi e di intelligenza.
Nella società post industriale, in cui è protagonista la tecnologia elettronica, la percentuale degli addetti a lavori manuali è inferiore al 20% del totale; sono ormai declinate e anacronistiche le mode del lavoro standardizzato e del posto fisso e si diffondono le imprese reti.
Nella stessa società post industriale si parla inoltre con insistenza - a causa di bisogni reali -della creatività, ed è sempre più difficile scindere la fase giornaliera di lavoro da quella di tempo libero.
Non è casuale che le indagini sui fabbisogni formativi dell'industria svolte in questi anni nell'Italia del Nord (che hanno utilizzato un modello qualitativo/anticipatorio condiviso da Confindustria e Sindacati) confermino la richiesta di una più elevata formazione di base. Nel prossimo futuro infatti solo una quota marginale (meno del 10%) di giovani con la sola licenza media potrà accedere nelle aziende, a fronte dell'attuale 60% di adulti occupati con titolo di studio pari o inferiore. Quote che evidentemente si rafforzano, o quanto meno non perdono di efficacia, nel caso in cui si guardi a chi vuol fare impresa e quindi vuole diventare imprenditore. Appare allora evidente che in un Paese, in un mondo che cambia, non possono cambiare solo i modi di produrre e di fare impresa, ma devono contestualmente cambiare anche i modi e gli strumenti di fare formazione.
Oggi, lo sviluppo dei Paesi industrializzati ha assunto nuove caratteristiche: da una dimensione prevalentemente basata sulla competitività delle singole imprese si passa a una dimensione più vasta e complessa, nella quale cresce il rilievo del contesto in cui si opera. Il confronto oggi si gioca sempre più in termini di sistemi: su scala locale, nazionale, sovranazionale. Cresce cioè l'attenzione verso le variabili esterne alle aziende, che ne condizionano poi le effettive potenzialità. E tra queste, al primo posto, viene indicata la qualità delle risorse umane, intesa come cultura e saperi professionali diffusi.
Non è azzardato affermare che per entrare. in Europa non basterà mettere in ordine i conti, superare le difficoltà contingenti tipiche di ogni aggregazione. Ma bisognerà accettare e realizzare l'idea di costruire una società cognitiva, nella quale la formazione e il continuo adeguamento delle competenze diventano al tempo stesso fattori determinanti dello sviluppo economico e condizioni di piena cittadinanza nel mondo del lavoro.
Se queste considerazioni sono vere, e noi pensiamo che lo siano, tutti comprendiamo bene allora di quanta innovazione abbia bisogno la nostra scuola, per rispondere alla esigenza di elevamento degli standard di qualità dell'istruzione, oltre che a quelli di riduzione del grave fenomeno degli abbandoni, della dispersione scolastica e di efficienza del servizio, che pur presenta.
Fino ad oggi, purtroppo, nonostante apprezzabili sforzi fatti nelle amministrazioni pubbliche - e tra queste in quella scolastica -non sono stati ancora introdotti criteri di gestione innovativi e, soprattutto nella scuola, non è stato ridisegnato, come si doveva, il ruolo degli insegnanti e degli studenti.
Questi, gli studenti, in una nuova scuola concepita come azienda, dovrebbero infatti assumere non già il ruolo di passivi "consumatori" di insegnamento, ma quello di veri e propri "produttori" di apprendimento (come ama spesso dire Giancarlo Lombardi).
Occorre cambiare la prospettiva dalla quale guardare all'educazione, spostandola dall'insegnamento all'apprendimento. In altri termini, occorre mettere i giovani al centro di una scuola che intenda perseguire l'obiettivo della "qualità di massa", cioè che voglia estendere a tutti i cittadini i frutti dell'istruzione ed elevarne la qualità.
Oggi i giovani diventano adulti prima, anche se rimangono più a lungo in famiglia, ricevono dall'esterno continui stimoli, e spesso si annoiano in una scuola ancora dominata da modelli disciplinari e da concezioni organizzative che assegnano loro un ruolo essenzialmente passivo.
Gli studenti vivono ormai un paradosso quotidiano: custoditi ad horas in aula, sono poi gettati in una società che può illudere su un futuro di fantascienza; chini sui compiti in classe giocano a casa con il personal computer; motivati dalle speranze dell'innovazione e dalle infinite opportunità che l'intelligenza può offrire subiscono poi il trauma di sentirsi minacciati da disoccupazione a vita.
Se invece, al contrario, come ormai unanimemente si afferma, i nuovi orizzonti, le nuove sfide che il mondo del lavoro dovrà affrontare sono l'innovazione, la globalizzazione, la competizione, le reti (nel senso di lavoro in un team di interrelazioni), ne deriva che il mondo dell'impresa, e quindi il mondo della formazione al lavoro, ma ancor prima quello della scuola e dell'università, devono assumere come aspetti prioritari quelli della comunicazione, della creatività, della qualità, del merito, della ricerca.
Solo ciò potrà determinare un approccio alla mobilità diverso dal passato, assecondare l'esigenza di conoscere le lingue, di introdurre nei processi formativi strumenti che valorizzino la creatività dell'individuo, il suo senso di responsabilità, di lavorare in gruppo per obiettivi condivisi.
In tutto questo panorama l'impresa e l'imprenditore non vogliono e non possono più limitarsi, come in passato, a recepire passivamente il "prodotto scuola", provvedendo a colmare successivamente, ove possibile, e con iniziative autonome e a loro spese, le lacune del sistema educativo.
Oggi l'impresa rivendica la possibilità di partecipare attivamente alla costruzione di un nuovo sistema formativo, moderno ed efficiente.
Ciò a sottolineatura di una evoluzione che ormai è presente nella coscienza collettiva -anche se non trova ancora mezzi pratici attraverso cui esplicarsi compiutamente -ovvero la consapevolezza che il rapporto tra la scuola e l'impresa non è puramente di utilità o di fornitura di strumenti, ma è finalizzato allo sviluppo economico, alla crescita collettiva.
A tal riguardo alcune grandi alleanze tra il sistema formativo e le imprese, e in particolare tra università e impresa, sono infatti già state messe in atto, con obiettivi di formazione e ricerca. Attraverso queste iniziative si vuole costruire un sistema di education che porti la ricerca pura dell'università a trasformarsi in ricerca applicata, e poi in innovazione e diffusione di capacità e conoscenze, di modelli di comportamento da trasferire alle imprese.
Ora, sarebbe opportuno, partendo anche dagli indirizzi espressi dal Patto per il lavoro e dalla Proposta di riordino dei cieli scolastici del Governo, spingere il ricorso a tali metodi o alleanze per avviare alcune sperimentazioni con il coinvolgimento anche degli Organismi bilaterali regionali per la formazione. Dette sperimentazioni dovranno riguardare le modalità per favorire una migliore integrazione tra scuola e impresa, valorizzando al contempo il ruolo della formazione professionale.
Dovrebbero, in altri termini, essere favorite e sostenute sperimentazioni locali nell'ambito delle condizioni per la diffusione dello stage, anche attraverso forme d'incentivazione per le imprese, specie per quelle di minori dimensioni; o ancora, nell'ambito delle tipologie d'integrazione tra scuola e imprese per i contratti di apprendistato e per i Contratti di Formazione Lavoro.
Le proposte di riforma elaborate dal Governo, seppure ancora in chiave di prima stesura, lasciano ben sperare perché si indirizzino verso la realizzazione di quel modello integrato di formazione che le parti sociali, e il mondo dell'impresa in particolare, da anni tentano di promuovere.
D'altronde, questa impostazione che mira a promuovere lo sviluppo delle nuove generazioni, la crescita della professionalità dei lavoratori e la competitività delle imprese, prefigura un modello che è già una realtà per molti Paesi europei e che ha le sue radici nei due principali ambiti di attività in cui si divide il sistema formativo integrato: la formazione iniziale o di base e la formazione continua.
Peraltro, vorrei aggiungere, dovrebbe essere quasi naturale, in un momento come questo nostro attuale, di calo demografico e di crescente immigrazione (di ritorno o nuova), in un momento di tasso di occupazione in decremento, individuare come esigenza strategica principale quella di un'attenta valorizzazione delle risorse umane, prevedendo percorsi formativi nuovi, diversi perché coinvolgono tutti gli attori e quindi più adatti. Sarebbe l'unico modo per trasformare la crisi in opportunità e quindi anche per contribuire a creare nuova occupazione.


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