Frontiere della pace




Norberto Bobbio



Non bisogna nascondersi che la situazione del secondo dopoguerra mondiale era obiettivamente difficile. La guerra era finita con la vittoria di una coalizione di alleati uniti non per amore ma per forza. In una lotta mortale fra tre sistemi in conflitto fra loro, democrazia, fascismo, comunismo, era inevitabile che fosse sconfitto quello dei tre che si era trovato di fronte coalizzati contro di lui gli altri due. Ma non era prevedibile, e di fatto non è avvenuto, che gli alleati uniti per la vittoria sul comune nemico dovessero restare uniti anche dopo, a guerra finita.
Al contrario della prima guerra mondiale, che aveva acceso la speranza di essere l'ultima guerra, la guerra che pone fine a tutte le guerre, quando finì la seconda guerra mondiale, questa speranza non si aprì agli osservatori più illuminati. Non era ancora finita la guerra calda che già cominciava la guerra fredda. La seconda guerra mondiale fu considerata da molti, tanto da una parte quanto dall'altra, non l'ultima, ma, se mai, la penultima.
Tuttavia, dopo quarant'anni di questo stato dei rapporti internazionali, la terza guerra mondiale non è scoppiata. Era dunque possibile ciò che non era mai accaduto nei secoli passati, che un conflitto tra grandi potenze finisse con la vittoria di uno dei due avversari senza che fosse necessario il ricorso alle armi.
Dopo la seconda guerra mondiale, nei rapporti fra gli Stati si erano trovati, fianco a fianco senza mai incontrarsi, due sistemi di rapporti internazionali diversi: il vecchio, fondato sull'equilibrio con la sola differenza che le potenze del sistema in equilibrio instabile erano ormai soltanto due e non più di due, come nei secoli precedenti, e il nuovo sistema, nato con le Nazioni Unite, che si potrebbe chiamare il sistema del "potere comune". Non solo il vecchio ha continuato a sopravvivere durante tutti quegli anni accanto al nuovo, ma nella risoluzione del conflitto tra le due superpotenze, il nuovo sistema, quello delle Nazioni Unite, paralizzato dal diritto di veto, non ha avuto nessuna parte.
La pace è stata la conseguenza della fine dell'equilibrio, vale a dire del prodursi di uno squilibrio delle forze tanto grande da rendere superfluo l'uso effettivo della forza minacciata. E' bastata la minaccia della forza. La rottura dell'equilibrio a favore di una delle parti ha reso inutile l'intervento esterno del Terzo al di sopra delle parti che rappresenta il potere comune. Naturalmente una soluzione pacifica ottenuta attraverso la fine di un equilibrio, per intimidazione, non può dar luogo alla "pace concordata", o consensuale, ma rischia di condurre a un altro ben noto genere di pace, che è poi quello prevalso nella storia dell'umanità, alla "pace d'impero", ovvero alla pace non concordata ma imposta, mantenuta da una potenza egemone, come sono state la "pax romana", la "pax del Sacro Romano Impero", la "pax britannica" e, negli anni del potere staliniano, la "pax sovietica", proclamata dai Partigiani della pace, che non erano in realtà pacifisti, ma fautori di una sovietizzazione del mondo.
Per quarant'anni il nuovo sistema di pace concordata, previsto dallo Statuto dell'Onu, è stato conteso dalla pace di equilibrio. Entriamo forse in una nuova fase della storia destinata ad essere contrassegnata dalla pace dell'impero? La risposta è incerta, ma, di fronte al ripetersi di trattative di pace che si svolgono alla Casa Bianca, anziché nel Palazzo di Vetro, la domanda è lecita. Per contraccolpo, mentre la pace in grande è avvenuta non per effetto dell'esistenza di un potere comune, ma entro il vecchio sistema di equilibrio, molte guerre minori sono scoppiate, nonostante le Nazioni Unite, e non sono mancate all'umanità, per riprendere nostre stesse parole, "infinite afflizioni".
La verità è che, nonostante gli innumerevoli istituti di ricerca sulla pace sparsi nelle più diverse parti del mondo, non sappiamo nulla o quasi nulla delle cause delle guerre: economiche, sociali, politiche, ideologiche, religiose, nazionali e, come in questi ultimi tempi, tribali ed etniche. Ma come si può trovare il rimedio ad un male di cui non conosciamo la causa?
Difficile, dunque, evitare che i realisti paragonino le manifestazioni per la pace alle processioni che un tempo facevano i contadini per invocare la pioggia, e inducano i giornali a non parlarne. Nessuna intenzione offensiva in queste parole. Ho partecipato anch'io a marce per la pace negli anni della guerra fredda, nonostante la preferenza più volte dichiarata per il pacifismo istituzionale. Se le gambe mi reggessero, lo farei ancora. Lo farei ancora, perché? Perché so che se anche tutti i contadini del mondo si unissero per far piovere, la pioggia, qualora cadesse, non dipenderebbe dalle loro invocazioni. Non ho dubbi, invece, che, se tutti i cittadini del mondo partecipassero a una marcia della pace, la guerra sarebbe destinata a scomparire dalla faccia della Terra.


Banca Popolare Pugliese
Tutti i diritti riservati © 2000