Il continente dimezzato




a. b.



Caduto il Muro di Berlino, al di là dell'Atlantico si inaugurò una stagione di nuove profezie, nessuna delle quali è stata poi confermata dai fatti. Aprì il fronte Francis Fukuyama, nell'89. Fukuyama annunciò che le democrazie vittoriose avevano perso il nemico esistenziale e che, per questo, si stava navigando verso la fine della Storia. Non è stato così: le guerre nel Golfo, i genocidi nei Balcani, il crollo albanese, la Storia che tumultuosamente ricominciò in Europa centro-orientale, stroncarono queste visioni neo-hegeliane pacificate e stanche.
Sopraggiunse, nel '93, Samuel Huntington, il politologo americano che descrisse un mondo non idillico, ma percorso da agghiaccianti brividi di guerra, teatro non più di conflitti ideologici, ma di Scontri fra Culture accanite, irriducibili, radicalmente incompatibili: culture religiose, assai più resistenti e ostinatamente più nemiche dell'Occidente di quanto fossero stati i messianismi ideologici. Huntington profetizzò immani scontri con l'Islam e col Confucianesimo in ascesa, dimenticando, fra l'altro, che Confucio sarebbe rimasto un illustre sconosciuto, se il suo pensiero non fosse stato strumentalmente enfatizzato dai missionari gesuiti, e consigliò all'America e all'Europa di praticare l'"astinenza preventiva", di coltivare i valori cristiani in un giardino recintato, di abbandonare la secolare abitudine ad interferire negli affari di civiltà ormai aliene, sempre più lontane, disormeggiate dalla risacca dei tempi, incapaci di concertazione collettiva, e dunque irrimediabilmente avversarie. Ma anche questa visione isolazionista del giardino cattolico-protestante non ha resistito alla prova dei fatti. Popoli in fuga disconoscono vecchi e nuovi Muri europei, ignorano le nitide frontiere religiose tracciate dagli specialisti in pessimismo storico: ed ecco albanesi, armeni e curdi musulmani approdare nell'Italia meridionale; russi e ucraini ortodossi cercare scampo in Polonia e in Boemia-Moravia; bosniaci e croati cattolici riversarsi in Germania; algerini islamisti e sudanesi cristiani e animisti perseguitati in terre sporcate da torbide guerre civili chiedere all'Europa di non estraniarsi, di non restare indifferente e muta di fronte a olocausti teologico-politici che seminano morte e macerie.
Spaventata, l'Europa scopre che l'hortus clausus altro non era che una chimera inventata dal messianismo americano (e poco o nulla importa che si tratti di una creatura ottimista alla Fukuyama o pessimista alla Huntington), e che la sfera di plexiglass nella quale si era rifugiata era del tutto inconsistente. E sempre più sgomenta, si accorge che la Storia non concede riposi, e che la sfida può venire da culture "altre", non proprio estranee, comunque non necessariamente nemiche. Può essere portata anche dal profugo, dal fuggiasco, dall'emigrato preso da disperazione, che abbatte nuovi Muri senza essere avversario e senza essere complice della cultura occidentale; o come dice Ceronetti: in un rapporto "né amico né nemico" molto più crudele, che stiamo appena cominciando a sperimentare in questi tempi di approdi notturni in Italia.
Tutto questo vuol dire che l'Europa dell'Euro non solo è insufficiente, ma accusa un pesante vizio di partenza: è stata pensata come una risposta politica alla caduta dei Muri dell'89-90; ma come una risposta chiusa al mondo esterno, nostalgica dei vecchi equilibri, retrattile strategicamente, impreparata ai sommovimenti (e ai disordini) che circondano il continente dal giorno in cui si è concluso il capitolo della guerra fredda. E' stata pensata per i Paesi che erano già nell'Unione e ha negletto sistematicamente i pericoli, le sfide, le nuove opportunità che si moltiplicavano ai suoi confini. Pericoli e sfide avrebbero dovuto suggerire e imporre una ridefinizione delle frontiere europee, e dunque una riconquista sia del nostro Oriente continentale sia del nostro Sud anche oltre il Mediterraneo.
Pericoli e sfide sono stati ignorati, il disordine che rimescolava le Storie è stato respinto, perché l'Euro è appunto quell'hortus clausus illusoriamente protetto dentro la sfera di plexiglass, disattento (per viltà e per incapacità predittiva) alle grandi questioni geopolitiche, teso a praticare la politica dell'astinenza e la rinuncia a farsi grande potenza politica e culturale dell'Occidente.
E' mancato un progetto paneuropeo verso l'Est inteso a integrare subito l'Europa post-comunista e a curare in anticipo le patologie poi emerse nell'ex Jugoslavia: patologie medicate grazie all'intervento americano, non europeo. E' venuta meno la volontà di escogitare una risposta all'integralismo del Sud mediterraneo, come dimostra il rifiuto di accogliere la Turchia - nazione musulmana, ma ancora laica - nell'Unione. Sappiamo bene che la Turchia non offre credenziali del tutto credibili, perché da anni reprime le minoranze dentro e anche oltre (in Iraq) i propri confini naturali, e viola cronicamente i diritti dell'uomo. Ma sappiamo bene anche che è cronaca antica, che risale al primo dopoguerra mondiale, quando inglesi e francesi disegnarono una ragnatela di confini artificiosi fra i territori dell'ex Impero Ottomano; quando le armate di Lenin assalirono e sottomisero le libere Repubbliche dell'Armenia, del Kurdistan e della Georgia; e quando Ataturk fece altrettanto con quel che dell'Armenia e del Kurdistan restava al di qua del Caucaso.
(Un ricordo personale. Conducevo un'inchiesta sulle vie dell'eroina, per esigenze professionali, e simultaneamente sulla caduta della Sublime Porta e dell'ultimo Sultano, Maometto VI Wahid ed-Din, per passione. Ero alle spalle del lago di Van, dove oggi ai crocicchi vigilano i killer della narcomafia, col fucile a tracolla, e il Tigri si fa largo come il mare e ha tramonti da vertigine. Lungo il suo corso superiore erano stati fatti passare i curdi: venivano da una lunga marcia di deportazione attraverso le montagne innevate, mesi e mesi di trasferimenti forzati a piedi, la pelle delle donne e dei bambini crepava se non veniva unta con grasso di capra, i morti restavano abbandonati sui cigli delle piste e i feriti erano preda dei lupi e degli orsi. Giunsero in pianura dopo che i fellah, i contadini, avevano mietuto il grano. Venivano da tutte le direzioni e si accampavano alla rinfusa. Fino a quando Ankara - la città di re Mida e del testamento inciso di Augusto, l'Ancyria da poco divenuta capitale, avendo soppiantato la Costantinopoli sultanale - liberò i cetè, i criminali condannati a morte o all'ergastolo, e affidò loro il compito della pulizia etnica. I cetè erano armati di asce, di sciabole, di coltelli. Fu lungo e faticoso uccidere all'arma bianca, si doveva fare a pezzi un curdo alla volta, mentre i fellah reclamavano la terra per le nuove semine. I superstiti seppellirono un popolo in brandelli. E Stalin avrebbe imparato la lezione, applicandola alle deportazioni di tartari, caucasici, uzbeki, turkmeni, khazaki...).
Eppure, i democratici turchi (che ci sono, e sono coraggiosamente impegnati anche sul versante dell'adesione all'Europa) invocano una politica aperta dell'Unione e denunciano i veti che questa oppone, sebbene sappia che solo includendo la Turchia sarà possibile esercitare pressioni su Ankara e negoziare accordi che tutelino i curdi e gli altri e frenino l'esodo verso le nostre coste. Soltanto se Maastricht apre al Sud, così come ha aperto - tardi, e per volontà e interessi tedeschi - all'Est e al Nord; soltanto se l'Europa ricorda se stessa come terra di dialogo di Federico II e non come fortezza turrita di Carlo Magno, e se rammenta il moderno Stato laico che seppe inventare per metter fine alle proprie guerre di religione e alle notti di San Bartolomeo; soltanto se rifiuta il terzomondismo conservatore predicato dagli Huntington nostrani e si presenta al mondo che la circonda non come club religioso e isolazionista, ma come civiltà capace di creare spazi pubblici vasti, luoghi d'incontro culturali e politici, dove le appartenenze di pelle e di Libri non diventino preminenti né decisive; soltanto allora potrà essere matrice di cultura planetaria (cioè di politica in atto) e di democrazia politica.
Non è in Italia - una volta tanto, anche se vi sono forti componenti ipernazionalistiche e sotterranee venature razziali e xenofobe - che vanno ricercati i responsabili delle odierne difficoltà. Ma in Germania, e più in genere nella unilateralità dei Protocolli di Maastricht. La Germania è stata la sola a prefiggersi un progetto ambizioso, dopo l'89, di riconquista democratica del proprio Oriente e dell'Oriente e Nord europeo. L'allargamento ad alcune nazioni dell'Est e del Baltico si fa grazie alla politica di Berlino e del marco. Ma il disinteresse germanico per il Sud e il Mediterraneo è profondo e determina in ampia misura le pavide sordità europee sulla Turchia, sull'Algeria, sui Balcani, su Cipro e sulle minacce integraliste islamiche nel bacino mediterraneo.
La Bundesbank e la Cancelleria hanno progetti geostrategici forti per quanto riguarda il loro retroterra centro-nord-europeo, e al resto guardano con miope, se non sprezzante fastidio. Di qui, le loro polemiche con l'Italia, accusata di permissivismo alle frontiere e sospettata di politiche troppo ardite non solo verso l'Est, ma soprattutto verso il Sud. Guai, dunque, a disturbare il manovratore. Al quale si è riaccodata Parigi, tiepida sostenitrice dell'apertura meridionale, ma - dopo il fallimento della sua politica verso l'Est - opportunistica partner delle strategie tedesche.
Un'Europa che si ripiega sul solo problema tedesco e su quello dei rapporti tedeschi col Nord-Est non è precisamente un'Europa unitaria e potente, quale l'Euro promette. Non è neanche un'Europa in grado di ridurre in modo intelligente gli eccessi delle singole sovranità. Lo Stato-Nazione lascerà sicuramente lungo la strada alcune prerogative di quella sovranità (nella gestione delle monete, dell'economia sociale e di altro ancora) il giorno in cui sarà varata la Moneta. Ma nei rapporti con il mondo è grande il rischio che prevalgano non una comune cultura, identità, idea condivisa della civiltà. E' reale il pericolo che abbiano il sopravvento le singole ossessioni storiche, le individuali eredità dei vecchi Stati-Nazione. In ultima analisi, c'è il rischio reale che quelle germaniche diventino le uniche ossessioni di un'Europa terricola, continentale, schizofrenicamente ruotante attorno alla Russia, incapace di concepire una presenza creativa anche nei Mari del Sud. Allora ogni Stato traccerà una segreta linea Maginot, o Sigfrido, o Muraglia, o altro ancora, e soltanto quella vorrà difendere a oltranza. Lo Stato-Nazione forse non avrà più armi economiche, ma filosoficamente e strategicamente sarà ben lontano dall'essere morto.


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