Rigore, ma con discrezione




Giorgio Primiceri



Una politica monetaria unica per tutti gli Stati membri sarà la principale conseguenza della realizzazione dell'Unione Europea. In altri termini, questo significherà indipendenza della politica monetaria sia dalla struttura economica dei Paesi dell'Unione sia, soprattutto, dai governi degli Stati stessi. E' facile pensare che la nascente Banca centrale europea si ispirerà all'operato della Bundesbank, sia perché la stabilità dei prezzi è prevista dallo statuto della banca stessa come obiettivo primario, sia perché risulta difficile supporre che i tedeschi possano così facilmente rinunciare alla stabilità economica e, soprattutto, monetaria.
Se, da un lato, queste considerazioni permettono di guardare fiduciosi a un futuro di stabilità, di bassa inflazione e bassi tassi di interesse per tutti i Paesi membri dell'Unione, dall'altro lato, sembra lecito chiedersi se tale indipendenza nella conduzione della politica monetaria non sia un minimo "dannosa", quantomeno per alcuni Stati. Il problema cui ci si riferisce è annoso e particolarmente vasto, ragion per cui ci si sofferma su uno soltanto degli aspetti analizzabili, vale a dire quello connesso alla gestione del debito pubblico.
Nonostante, infatti, i parametri di Maastricht abbiano imposto ad alcuni Paesi sforzi fiscali notevoli per conseguire l'obiettivo del tre per cento del deficit in rapporto al prodotto interno lordo ed uniformarsi agli altri Paesi, enormi differenze tra gli Stati membri permangono per quanto riguarda sia il rapporto debito/Pil, sia la composizione del debito pubblico. A tal proposito, l'Italia risulta chiamata in causa più di ogni altro Paese: il suo rapporto debito/Pil non solo si posiziona in testa alla graduatoria europea (è confrontabile solo con quello belga), ma il distacco dagli inseguitori "illustri", come la Germania è, a dir poco, abissale. Per non parlare della composizione del debito stesso: se in Germania prevalgono di gran lunga i titoli di Stato a lunga scadenza, in molti altri Paesi (soprattutto in Italia) la maturità del debito pubblico è notevolmente più bassa.
Ora, la domanda che sorge spontanea e a cui si vuole tentare di rispondere è la seguente: data l'indiscutibile influenza che la conduzione della politica monetaria esercita sulla gestione del debito pubblico, è possibile pensare a una politica monetaria unica e indipendente, anche per Paesi dalle caratteristiche "fiscali" così diverse?
La spesa per il pagamento degli interessi sul debito rappresenta il canale principale attraverso cui la conduzione della politica monetaria influenza le variabili fiscali. E' dunque facile capire come l'importanza e l'attenzione che un Paese concede agli "effetti fiscali" della politica monetaria crescano al crescere del rapporto debito/PIL. In altri termini, l'effetto provocato da un aumento dei tassi di interesse reali a breve termine sulla spesa per interessi tedesca è notevolmente inferiore allo stesso effetto sulle variabili italiane a causa della differente entità del rapporto debito/PIL. E' dunque lecito aspettarsi che, potendo, le autorità italiane, nella conduzione della politica monetaria, tengano maggiormente conto degli effetti fiscali della stessa rispetto ai colleghi europei. E' improbabile che la Banca centrale europea possa tenere conto di considerazioni di questo genere.
Ma, come si è preannunciato, l'entità del debito pubblico non rappresenta l'unica fonte di eterogeneità dal punto di vista delle variabili fiscali tra gli Stati dell'Euro. La maturità del debito gioca, infatti, un ruolo fondamentale nella determinazione della spesa per interessi e, in generale, degli effetti della politica monetaria sulle variabili fiscali. Si ipotizzi una politica monetaria restrittiva che, come in precedenza, innalzi i tassi di interesse reali a breve termine: gli effetti di una manovra del genere sulla spesa per interessi in termini reali della Germania sono assolutamente inferiori a quelli sulla spesa per interessi italiana. Questo va ora addebitato non solo alla diversità del rapporto debito/Pil tra i due Paesi, ma anche al fatto che, come anticipato, gran parte del debito pubblico tedesco è finanziato tramite l'emissione di titoli a lungo termine, mentre per l'Italia vale esattamente l'opposto, nonostante i recenti sforzi compiuti per allungare le scadenze. Per passare ad un esempio concreto, se (come qualcuno pensa), all'inizio del suo mandato, la Banca centrale europea vorrà dare un segnale forte attraverso delle manovre monetarie restrittive che innalzino i tassi a breve termine, saranno proprio i Paesi con il debito pubblico con bassa scadenza come l'Italia a farne maggiormente le spese.
In termini più tecnici, si può dire che la spesa per interessi, e quindi il deficit di un Paese, dipende dalla maturità del debito pubblico e dai tassi di interesse alle varie scadenze e, cioè, dalla curva per scadenza dei tassi di interesse. La conseguenza dell'entrata in vigore dell'Euro sarà rappresentata da curve dei tassi di interesse molto simili (per tutti gli stati membri) e assolutamente identiche per quel che riguarda i tassi a breve, controllati dalla Banca centrale europea che, in questo modo, influenzerà il deficit pubblico dei diversi Paesi.
E' inutile negare che tutti questi sono sicuramente aspetti negativi della futura politica monetaria indipendente della Banca centrale europea. Sembra chiaro che una politica monetaria "accorta" e coordinata con la gestione del debito pubblico permetterebbe ai Paesi caratterizzati da problemi fiscali di trarre discreti vantaggi.
Nonostante questo, ciò che non si deve dimenticare è che l'Unione Europea non solo sarà in grado (una volta attuata) di garantire tassi di interesse più bassi, ma ha già permesso considerevoli risparmi sulla spesa per interessi grazie agli sforzi attuati per rientrare nei parametri di Maastricht da parte di molti Paesi.
Soprattutto per quanto riguarda l'Italia, i passi in avanti compiuti sono stati enormi; i tassi italiani si sono via via adeguati agli standard europei, consentendo un grandissimo risparmio in termini di spesa per interessi, risparmio che certamente non si sarebbe avuto rimanendo, almeno in un primo momento, fuori dall'Unione.
Per concludere, dal punto di vista della gestione del debito pubblico, gli svantaggi di una politica monetaria europea unica e indipendente ci sono e sono stati messi in evidenza, ma i benefici, per il momento, sembrano superiori. E' utile pensare ad un trade-off tra "forza" e discrezionalità nella conduzione della politica monetaria.
Per ogni Paese, ma soprattutto per l'Italia, l'ideale sarebbe avere una Banca centrale sufficientemente forte, cioè capace di un controllo sulle condizioni monetarie che garantisca bassi tassi di interesse, e, nello stesso tempo, attenzione per i problemi interni (vale a dire un certo grado di discrezionalità). Ma se l'unico modo per avere una Banca centrale forte è quello di far fare la politica monetaria agli altri, ci si può accontentare ugualmente.


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