Euroland, oppure,
se si preferisce, Eurolandia: così il quotidiano inglese Financial
Times ha deciso di chiamare la nuova "Cosa" dell'economia
mondiale nata con l'Unione monetaria europea. Non si tratta (ancora)
di un Paese, ma rappresenta già molto di più di un puro
e semplice accordo monetario tra Paesi. E' in realtà un pianeta
sconosciuto, la cui esplorazione, per quanto sommaria, svela risultati
sorprendenti.
Dimensioni economiche. Eurolandia è un colosso dell'economia
mondiale. Il peso può essere calcolato in vari modi, ma complessivamente
poco meno di un quarto di ciò che si produce nell'intero pianeta
proviene da questo angolo di mondo che conta circa 290 milioni di
abitanti, un ventesimo degli uomini presenti sulla Terra. Ciò
significa che Eurolandia "pesa" all'incirca quanto Giappone,
Cina e "Tigri asiatiche" messi assieme e solo un po' meno
degli Stati Uniti. Mediamente, i suoi abitanti sono un po' meno ricchi
dei nordamericani, ma il reddito di Eurolandia è distribuito
in modo più uniforme e le punte di povertà sono assai
meno acute, anche grazie ai meccanismi dello "Stato sociale".

A un peso produttivo così grande si accompagna un peso finanziario
assai meno importante. La capitalizzazione di Borsa delle imprese
europee è pari ad appena un sesto di quella delle imprese degli
Stati Uniti, appena un po' superiore a quella di un Giappone colpito
da una crisi piuttosto grave. Londra e Zurigo, due delle piazze finanziarie
più importanti del Vecchio Continente, non appartengono a Eurolandia,
la quale può contare su due mercati azionari di prima grandezza,
come Francoforte e Parigi, e almeno su tre di dimensioni medie, come
Amsterdam, Milano e Madrid. Più o meno rapidamente, questi
centri unificheranno le procedure e lavoreranno in sintonia, ma la
sfida con Londra per il primato delle grandi operazioni è tutt'altro
che vinta.
Verso il mercato. Dietro alla finanza c'è l'economia reale,
e questa sta subendo una grandiosa spinta verso la liberalizzazione
e il mercato. Negli ultimi anni sono stati liberalizzati - o si apprestano
ad esserlo nel prossimo futuro - settori che vanno dalle assicurazioni
alle telecomunicazioni.
Gli Stati nazionali, compresa, negli ultimi tempi, l'Italia, hanno
ridotto o annullato la loro presenza diretta in compagnie petrolifere,
società elettriche e linee aeree, e negli ultimissimi tempi
sono uscite, o stanno uscendo, dall'orbita pubblica anche attività
per le quali ciò era una volta impensabile, come le poste olandesi
o la Borsa italiana.
In Eurolandia non si privatizza "all'inglese", vale a dire
vendendo genericamente sul mercato, ma si cerca di solito un nucleo
duro di azionisti stabili. Esiste così una via europea continentale
al capitalismo di mercato, in cui talora gli Stati non rinunciano
all'ultima parola sulle decisioni strategiche. Mantengono magari una
sola azione, ma è un'azione "d'oro", la cosiddetta
golden share. Il tempo solo potrà dire se questo sistema sia
più efficiente di quello anglo-americano, che comporta una
vendita senza tanti complimenti.
I mercati azionari in Eurolandia si gonfiano non solo perché
vi si collocano azioni di grandi imprese pubbliche, ma anche perché
cominciano ad accedervi imprese private talora di dimensioni piccolissime.
In questo, però, Eurolandia, anche se di gran lunga avanti
rispetto ai Paesi asiatici, è in forte ritardo rispetto agli
Stati Uniti, dove chiunque abbia un progetto imprenditoriale con qualche
possibilità di riuscita trova facilmente i capitali necessari
per realizzarlo. Ritardi di questo genere dovranno essere inevitabilmente
colmati.
La produzione. Eurolandia produce letteralmente ogni ben di Dio. Provengono
da Eurolandia, e soprattutto dalla Francia e dall'Italia, i più
raffinati prodotti di lusso, i cibi più succulenti, i vestiti
più eleganti del pianeta: e qui è anche localizzata
la parte più cospicua del patrimonio artistico mondiale.
Eurolandia, però, è in posizione di forza anche in settori
avanzati, come le costruzioni aeronautiche, in cui compete ad armi
pari con gli Stati Uniti, nel settore petrolifero, grazie a italiani,
francesi e tedeschi, nella chimica, grazie a tedeschi e francesi.
Ha un'importanza mondiale nella farmaceutica e in una vastissima serie
di industrie meccaniche. Eccelle nell'editoria, nelle tecnologie dei
trasporti e delle comunicazioni. E', tra le altre cose, il maggiore
produttore mondiale di automobili.
Tutto bene, dunque? Non proprio, purtroppo. Ci sono aree vitali in
cui Eurolandia è scarsamente presente, a cominciare dal software
elettronico dominato dagli Stati Uniti e dai microchips, dove il predominio
è americano e giapponese. Appare complessivamente in ritardo
nei nuovi materiali e nelle biotecnologie. Sono poi gli Stati Uniti,
e non Eurolandia, a dominare i settori strategici delle informazioni,
delle comunicazioni, e quelli culturalmente importanti dello spettacolo,
della musica, del cinema e dell'istruzione superiore.
Per comunicare tra loro, gli europei di Eurolandia usano sempre più
spesso l'inglese, che è per tutti loro una lingua straniera.
Il pericolo che Eurolandia diventi una sorta di "museo industriale"
ancorato a tecnologie complessivamente antiquate non va sottovalutato,
ed è uno dei motivi che hanno portato alla costituzione dell'Euro.
La debolezza culturale. La frammentazione linguistica conduce ad una
più marcata debolezza culturale. Come i politici francesi non
si stancano di ripetere, gli abitanti di Eurolandia guardano soprattutto
spettacoli cinematografici e televisivi di origine americana, o più
genericamente anglosassone, leggono in buona misura romanzi americani,
ascoltano la musica americana. Il solo ispettore Derrick, cortese,
affabile, con addosso l'esperienza e la malinconia della vita, è
un prodotto di successo di tradizione europea. Il che, francamente,
è poco.
Continente vecchio. Proprio l'ispettore Derrick, del resto, ormai
sul punto di andare in pensione, pone l'accento su un'altra caratteristica:
Eurolandia ha i capelli grigi. Da un quarto di secolo vi nascono nettamente
meno bambini che negli Stati Uniti e certamente ancora meno che in
Asia (Giappone escluso).
Italia, Germania e Spagna occupano le prime posizioni in questa classifica
delle cicogne inoccupate, con circa dieci nascite ogni mille abitanti,
circa i due terzi in meno di quante ne sarebbero necessarie per mantenere
stabile il livello della popolazione. Francia e Paesi nordici vanno
un po' meglio, ma la tendenza è la stessa: ovunque il numero
degli adulti sopra i 65 anni si avvia, più o meno rapidamente,
a superare quello dei giovani sotto i 15 anni.
I risultati di questa situazione si riflettono in moltissimi aspetti
della vita. Il peso delle pensioni cresce dappertutto e costituisce
un carico non indifferente per i bilanci pubblici: assorbe all'incirca
un sesto del prodotto nazionale che non è disponibile per altri
usi, e soprattutto per gli investimenti.
L'effetto invecchiamento si fa sentire anche in politica, in quanto
un elettorato anziano, di destra o di sinistra che sia, ha una forte
propensione a non cambiare i meccanismi fondamentali delle ridistribuzioni,
e si oppone a riforme radicali del sistema di welfare. Tutto ciò
fa sì che Eurolandia sia decorosa e decente, ma anche scarsamente
innovativa. E la scarsità dello sviluppo, nettamente inferiore,
negli anni Novanta, a quello degli Stati Uniti e di gran parte dell'Asia
- escluso il Giappone degli ultimi anni - si riflette nella scarsità
dell'occupazione. Tra le aree avanzate, spetta a Eurolandia il poco
invidiabile primato della disoccupazione, soprattutto di quella giovanile.
La conclusione di questa sintetica esplorazione del pianeta Eurolandia
è che l'osservazione di queste caratteristiche aiuta a capire
le ragioni che hanno portato all'Euro. La nuova moneta avrà
successo se saprà dare la carica a un continente sufficientemente
addormentato, vissuto per decenni sotto l'ombrello difensivo americano
e senza prospettive di grandi contatti ad Est.
Una moneta nuova rappresenta ad un tempo una possibilità tecnica
e uno stimolo culturale a far cose nuove. Può darsi che Eurolandia
ci riesca, e può anche darsi di no. Se non dovesse riuscirci,
questo Vecchio Continente, che un secolo fa dominava il mondo, sprofonderà,
sia pure lentamente e maestosamente, nella soffitta della Storia.
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