Quando i consumatori
esercitavano la loro domanda direttamente all'azienda agricola, i
produttori potevano facilmente adattarsi al mercato modificando le
loro produzioni in funzione delle esigenze dei consumatori, che avvertivano
direttamente. Le aziende agricole erano poco specializzate e prevaleva
la poliproduzione. Con lo sviluppo economico e l'allungamento dei
circuiti commerciali, altre figure economiche sono comparse tra la
fase di produzione e quella del consumo, trasformando la domanda di
prodotti agricoli da domanda "diretta" in "derivata".
In questa nuova condizione, la domanda di prodotti agricoli all'azienda,
esercitata dai grossisti, dall'industria di trasformazione, dai centri
di raccolta, dai mercati ortofrutticoli, ecc., ha obbligato le aziende
agricole a specializzarsi in poche produzioni rispondenti ai requisiti
di queste nuove figure commerciali.
La dinamica dei consumi alimentari, lo sviluppo delle forme di distribuzione
e commercializzazione e la crescita della concorrenza sui mercati
nazionali e internazionali hanno ulteriormente accentuato il processo
di trasformazione organizzativa e produttiva del settore agricolo,
non solo nell'attività produttiva ma soprattutto nell'aspetto
organizzativo e commerciale.
La competitività, quindi, non dipende solo dalla possibilità
di migliorare la tecnologia e le strutture, ma soprattutto dalla capacità
di vendere non quello che l'azienda produce ma quello che il consumatore
richiede. Ciò naturalmente ha imposto un cambiamento del comportamento
degli operatori e la ricerca di nuove linee strategiche al fine di
mantenere una posizione di mercato vantaggiosa.
Infatti diventano sempre più importanti elementi come la standardizzazione
dell'offerta, caratteristica fondamentale per i gruppi distributivi
che devono assicurare un approvvigionamento costante e uniforme in
tutti i punti di vendita. Di conseguenza anche le tecniche di acquisto
e di vendita dei prodotti, specie di quelli deperibili, come l'ortofrutta,
rappresentano per i produttori che vogliono affrontare con efficacia
i mercati esteri o le moderne forme distributive un vantaggio competitivo
notevole.

Altro importante elemento è la qualità dei prodotti,
che richiede un'azione coordinata dei diversi operatori della filiera
e un elevato impiego dei derivati tecnologici.
Di fronte a tali evoluzioni la produzione agricola salentina non presenta
un adeguato e soddisfacente grado di dinamicità. L'analisi
delle caratteristiche evolutive dell'agricoltura leccese evidenzia
la scarsa capacità di adattamento strutturale e organizzativo
imposto dalle nuove condizioni del mercato. Le produzioni provinciali
incontrano notevoli problemi sui mercati a causa della mancata o insufficiente
organizzazione produttiva e commerciale, le cui difficoltà
di penetrazione si sono accresciute con i rapidi processi evolutivi
del sistema distributivo e della globalizzazione dei mercati.
Il disagio delle aziende agricole deriva principalmente dalla mancanza
di un comune e coerente percorso evolutivo capace di rispondere con
prontezza alle tendenze innovatrici del settore E' facile osservare
come lo sviluppo dell'agricoltura leccese, inizialmente, è
stato essenzialmente legato alla presenza di un mercato locale in
grado di assorbire le modeste produzioni. Questa crescita non è
supportata, però, da una logica programmatoria che tenga conto
delle esigenze evolutive della domanda e dello sviluppo delle moderne
forme distributive, ma resta ancorata ai fattori competitivi tradizionalmente
riconosciuti, quali le condizioni ambientali, le tradizioni culturali,
ecc. nella convinzione che tali fattori siano sufficienti a esercitare
e mantenere una competitività nel confronti di altre regioni.
Va evidenziato che non basta disporre di un'offerta adeguata al soddisfacimento
dei bisogni, ma occorre che i prodotti siano messi nella disponibilità
del consumatore finale, nelle condizioni di tempo e di luogo idonee
a soddisfare le esigenze del consumo. Questo significa individuare
i più idonei canali di commercializzazione e organizzare il
funzionamento dei flussi logistici in modo da assicurare la presenza
dei prodotti nei punti vendita.
Il problema
dell'adattamento dell'offerta
Caratteristiche delle strutture agrarie salentine sono le dimensioni
aziendali molto modeste, mediamente intorno ai 2,6 ettari, l'elevata
presenza del fenomeno del part-time, la scarsa mobilità della
terra e la mancanza di forme di integrazione verticale o orizzontale.
Ciò, naturalmente, rallenta qualsiasi processo evolutivo e
la possibilità di investimenti capaci d'introdurre innovazioni
di processo e di prodotto e di adottare moderne forme gestionali più
remunerative ed efficienti. Nel 1995, la PLV provinciale ammonta a
circa 1.000 miliardi e rappresenta il 12% di quella regionale. Nell'ambito
dell'economia agraria leccese i settori che forniscono il maggior
contributo sono l'olivicoltura con il 55% della PLV complessiva, l'orticoltura
e la floricoltura, entrambe con il 10%, le coltivazioni industriali
con il 9% e la viticoltura con il 5(Y0. Dall'andamento evolutivo nella
composizione della PLV si possono constatare alcuni segnali rispetto
ai cambiamenti delle esigenze di mercato; tra il 1980 e il 1991 aumentano
la floricoltura e l'orticoltura, mantengono livelli più o meno
costanti la patata e l'olivicoltura, diminuiscono i cereali, la vite
e il tabacco, si sviluppano le colture "no-food".
Se da un lato si riscontrano fenomeni di intensivazione, dall'altro
si denota una forma di disattivazione dei processi produttivi in cui
si manifestano una riduzione dell'impiego di risorse e la volontà
di non investire. Non a caso la provincia di Lecce, rispetto al resto
della Puglia, presenta l'incidenza maggiore di colture che rientrano
direttamente o indirettamente negli Interventi di sostegno comunitari
e nazionali. Riguardo al comparto orticolo, questo occupa nell'ambito
dell'agricoltura provinciale un posto di rilevante importanza per
l'elevato impiego di manodopera e per il valore della produzione lorda
vendibile ottenuta.
Il settore orticolo si è affermato sul territorio per le concrete
potenzialità produttive espresse grazie alle favorevoli condizioni
pedoclimatiche, esaltate dagli incrementi di superfici irrigabili,
che consentono una continuità di produzione e un ampliamento
della gamma produttiva. L'orticoltura salentina è tipicamente
orientata al mercato fresco.
Dal punto di vista strutturale, il comparto interessa una superficie
di 10.265 Ha, un cospicuo numero di aziende di modeste dimensioni
con elevata parcellizzazione colturale, il che determina una notevole
dispersione dell'offerta.
La gamma dei prodotti realizzati non presenta una razionale differenziazione
né tantomeno un cambiamento nel tempo. Ciò deriva da
un lato dalle caratteristiche
dell'imprenditore spesso poco propenso a modificare la propria attività
e dalla scarsa conoscenza tecnologica e di mercato, dall'altro dalla
mancanza di idonee strutture locali per la commercializzazione e la
trasformazione di determinate specie orticole, tali da incentivare
l'introduzione di nuove colture.
Se a tali considerazioni si aggiunge che nella stragrande maggioranza
dei casi l'avvicendamento colturale è conseguenza della specifica
struttura aziendale e degli obiettivi prioritari che l'imprenditore
intende perseguire, come la massimizzazione dell'impiego di manodopera,
spesso familiare, e del reddito di lavoro disponibile, si ha un'idea
più esatta dei limiti oggettivi che si incontrano nella riconversione
degli ordinamenti orticoli tradizionalmente seguiti.
Quanto accennato spiega chiaramente anche i motivi che spingono l'orticoltore
a continuare con produzioni che trovano difficile sbocco sul mercato,
risultando incapaci di fornire non solo redditi adeguati, ma anche
di far cogliere quelle soddisfazioni correlate alle compiute valorizzazioni,
di prodotto e di processo, delle produzioni attuate.
Ai problemi di carattere aziendale si aggiungono anche quelli di tipo
organizzativo, dovuti alla mancanza di forme associative capaci di
favorire un processo di concentrazione e orientamento dell'offerta.
Ci si riferisce alla scarsa efficienza e operatività delle
strutture cooperative e delle associazioni dei produttori. In Puglia
sono presenti 2.209 cooperative agricole, di cui 357 dedite alla raccolta,
trasformazione, conservazione e vendita di prodotti ortofrutticoli.
La maggior parte di queste risulta concentrata in provincia di Foggia,
Lecce e Bari, nelle rimanenti province è presente poco più
del 20% delle cooperative (Graf. 3).
La maggior parte delle cooperative ortofrutticole pugliesi è
di limitata dimensione sia nell'aspetto patrimoniale sia nel numero
di soci aderenti e nelle quantità di prodotti trattati.
Per quanto riguarda il prodotto fresco, questi organismi non espletano
alcuna funzione di rilievo. Nella provincia, così come in regione,
infatti è molto diffuso l'utilizzo dello strumento cooperativistico,
spesso da parte degli stessi operatori commerciali all'ingrosso, solo
per ragioni di opportunità fiscale o contributiva.
La cooperazione nel comparto orticolo leccese, nell'ambito del trattamento
e della commercializzazione del prodotto fresco, si presenta nel complesso
strutturalmente debole nei confronti del mercato, con un volume totale
di offerta limitato ed estremamente polverizzato, uno scarso potere
contrattuale e una gamma di prodotti il più delle volte inadeguata
in relazione alle esigenze e ai nuovi orientamenti della domanda.
Un fattore che accomuna la maggior parte delle cooperative leccesi
e/o pugliesi sia di produzione che di trasformazione è la mancanza
di strategie commerciali adeguate al tipo di prodotto ottenuto. Le
politiche di vendita assumono un ruolo residuale in quanto la maggior
parte della produzione conferita dai soci viene ceduta ad operatori
privati che provvedono a commercializzarla.
Situazione analoga a quella della cooperazione si riscontra per le
associazioni dei produttori. Nate, in base alla legislazione comunitaria
e nazionale, come organismi atti a favorire la concentrazione dell'offerta
e contribuire a migliorare la commercializzazione dei prodotti, le
associazioni dei produttori ortofrutticoli in provincia di Lecce non
hanno fornito alcun contributo all'organizzazione del mercato.
L'attività di commercializzazione dei prodotti ad opera delle
associazioni è quasi del tutto inesistente in quanto risulta
limitata solo ad alcuni ridotti quantitativi destinati alle industrie
di trasformazione, con le quali vengono stipulati contratti in base
ad accordi interprofessionali.
A ciò va aggiunto che il produttore orticolo associato si considera
parte dell'associazione solo in presenza di situazioni di mercato
sfavorevoli, per poter beneficiare di eventuali contratti o dei ritiri
dal mercato, mentre in caso contrario preferisce collocare autonomamente
sul mercato le proprie produzioni. Operando in questo modo, le possibilità
di avviare forme di coordinamento tra le diverse attività capaci
di affrontare l'evoluzione del mercato vanno completamente eluse.
Le figure e
le strutture commerciali
L'assetto strutturale e funzionale del commercio all'ingrosso a livello
nazionale va ridisegnandosi allo scopo di adeguarsi alle tendenze
attuali. Le strutture annonarie vedono progressivamente ridimensionata
la loro posizione di riferimento nell'organizzazione degli scambi
tra gli intermediari commerciali. Questi ultimi, a loro volta, si
trovano sempre più sollecitati da parte della distribuzione
moderna a modificare le modalità e le tipologie di servizio
offerto, basato sulla rapidità, trasparenza ed efficienza.
Le strutture annonarie, realizzate e concettualmente valide all'inizio
degli anni Sessanta oggi presentano alcune difficoltà nell'affrontare
la dinamica del mercato.
Come risulta dal confronto temporale riportato nel grafico, dal punto
di vista delle capacità di assorbimento, si nota come i mercati
all'ingrosso non abbiano risentito, se non minimamente, delle consistenti
variazioni che hanno interessato la produzione orticola nel corso
del tempo (Graf. 4).
Del resto, l'impossibilità di incrementare ulteriormente la
produzione transitata, in seguito ad eventuali espansioni della produzione,
è dimostrata non solo dal fatto che ciò non è
avvenuto in passato quando tali incrementi produttivi si sono verificati,
ma anche perché i quantitativi trattati al loro interno sono
rimasti pressoché stabili anche quando si sono verificate variazioni
nel numero di operatori (grossisti e produttori) che svolgono la loro
attività in queste strutture.
Tale situazione è confermata dalla dinamica del dato che esprime
in percentuale il rapporto tra le quantità introdotte nei mercati
annonari e la produzione orticola regionale in diversi anni.
Come si vede nella tabella di pag. 62, dunque, la produzione orticola
transitata dalle strutture annonarie è diminuita nel corso
del tempo, passando da oltre un quinto del totale al 9% circa del
1994.
Da quanto detto in precedenza, risulta che tale situazione si è
determinata non in seguito ad una riduzione dei quantitativi commercializzati
nei mercati all'ingrosso, quanto piuttosto per l'incremento avvenuto
nella produzione orticola che in parte ha avuto la possibilità
di essere collocata sui mercati utilizzando altri canali di commercializzazione
diversi dai mercati pubblici. Questi ultimi conservano quindi la loro
importanza e funzionalità nel circuito commerciale tradizionale
e locale poiché risultano ancora perfettamente confacenti alla
struttura della rete di vendita al dettaglio provinciale e regionale,
ancora composta in prevalenza da tipologie di vendita quali il piccolo
dettaglio e l'ambulantato, le cui esigenze di approvvigionamento e
di servizio vengono ampiamente soddisfatte.
Il comparto ortofrutticolo comprende un elevato numero di operatori
commerciali. L'espansione si è verificata nel decennio compreso
fra gli anni '70 e '80 quando la crescita di questi operatori è
stata del 130%, mentre nel decennio successivo ha sfiorato il 25%;
la provincia di Lecce, fino al 1991 ha visto aumentare consistentemente
gli operatori ortofrutticoli, il cui numero è passato da 69
a 613 (Graf. 5, pag. 63).
Per quanto riguarda la composizione, il maggior numero degli iscritti
è rappresentato da grossisti, i quali costituiscono oltre il
90% del totale. In particolare, nelle province di Bari e di Foggia
risulta iscritta la maggior parte dei grossisti e dei commissionari.
Dal punto di vista strutturale l'elevata consistenza numerica appare
il principale fattore che limita lo sviluppo dimensionale delle imprese
grossiste. Nel Leccese, infatti, persiste ancora una quota cospicua
di imprese commerciali all'ingrosso (circa il 90%) che impiega al
suo interno un numero di addetti inferiore a dieci unità; mentre
le aziende di medie dimensioni sono il 10% circa. Gli operatori all'ingrosso
più "piccoli" (prevalentemente raccoglitori e incaricati
d'acquisto) svolgono la loro attività nell'ambito locale e
su volumi ridotti di merce che successivamente viene venduta a grossisti
di maggiori dimensioni con i quali quasi sempre hanno stipulato accordi
commerciali che vincolano entrambe le parti.
La quota della produzione orticola provinciale che passa attraverso
il canale rappresentato dai grossisti che operano al di fuori di qualsiasi
struttura di mercato è pari al 60% circa del totale; ciò
evidenzia la particolare importanza che questa figura commerciale
assume nella fase di commercializzazione.
Per quanto concerne il sistema di commercializzazione, le tecniche
di acquisizione e vendita dei prodotti si basano prevalentemente su
accordi verbali tra produttori e grossisti, definiti a campagna di
produzione già avviata e soggetti spesso ad un elevato grado
di aleatorietà. Ciò, naturalmente, preclude qualsiasi
forma di programmazione e di trasferimento delle informazioni indispensabili
per attivare qualsiasi strategia di sviluppo del comparto.
Per quanto riguarda la clientela dei grossisti ortofrutticoli, la
sua composizione è fortemente influenzata dalla posizione geografica
che impedisce di essere a contatto diretto con le aree di maggior
consumo delle produzioni interessate, il che comporta ulteriori interventi
da parte di soggetti residenti fuori provincia con funzione di intermediazione.
La quota di prodotto destinato ai mercati esteri corrisponde a un
quinto circa del totale commercializzato da questi operatori. Per
i grossisti-esportatori di maggiori dimensioni la clientela è
rappresentata in larga misura dalla grande distribuzione, mentre le
imprese minori trovano nei mercati all'ingrosso dei Paesi importatori
lo sbocco per la maggior parte delle vendite. Va tenuto presente inoltre
che la capacità di entrare in contatto diretto con la grande
distribuzione estera dipende, oltre che dalla qualità del prodotto
inviato, anche dal grado di flessibilità di cui è dotata
l'azienda ad adeguarsi a nuove forme di confezionamento e condizionamento
del prodotto.
Pertanto, la comune interpretazione dell'esportazione come valvola
di sfogo per le eccedenze delle produzioni locali ha reso aleatorio
e difficile il processo di internazionalizzazione delle imprese commerciali
e ancora oggi, nonostante le esperienze di commercio con l'estero
siano ormai avviate da diversi anni, permangono delle difficoltà
di ordine organizzativo e strutturale:
- elevato numero di imprese esportatrici;
- limitato numero di referenze inviate all'estero, si tratta in particolare
di una mono-esportazione, in ragione dell'assoluta prevalenza della
patata (85-90%) rispetto alle altre specie;
- scarsa efficienza dei sistemi dei trasporti;
- sistema di vendita adottato, principalmente in conto commissione,
basato sulla definizione del prezzo sui mercati d'arrivo.
In ragione di ciò l'esportatore leccese e ancor di più
il produttore agricolo non conoscono il prezzo della merce se non
quando la stessa è stata esitata sui mercati lontani anche
migliaia di chilometri e dopo alcuni giorni dalla cessione effettiva.
Inoltre, anche quando si verificano contrattazioni con prezzi fissati
"fermo partenza" sul luogo di produzione, molto sovente
vengono arbitrariamente decurtati delle eventuali flessioni di prezzo
che si vengono a registrare nel periodo intercorrente fra la spedizione
e l'arrivo sul mercato estero.
E' possibile quindi individuare elementi di rischiosità nel
sistema esportativo leccese, dovuti alla forte concentrazione della
gamma di prodotti limitata a poche referenze e alla mancanza, di fatto,
di mercati alternativi a quello tedesco tanto da porre le produzioni
provinciali alle strette dipendenze di pochi importatori. Ciò
comporta la possibilità di pericoli derivanti da situazioni
contingenti che si possono venire a creare e riconducibili a crisi
di mercato, a cambiamenti nei' consumi individuali, alla presenza
di produzioni concorrenziali in termini di prezzo o di qualità.
Inoltre in termini di identificabilità delle produzioni, lo
scarso sviluppo della politica di marca, le confezioni e gli imballaggi
(quando previsti) diseguali tra loro rendono problematica qualsiasi
politica di valorizzazione del prodotto. In definitiva, l'export leccese
sembra che abbia come principale obiettivo quello di trovare mercati
in grado di assorbire le produzioni locali in eccesso, senza attuare
strategie e politiche che adattino il prodotto alla domanda estera.
Infatti, nonostante negli ultimi anni il flusso di esportazioni ortofrutticole
della provincia sia rimasto quantitativamente invariato, i profitti
degli operatori sono diminuiti a causa della forte concorrenza proveniente
dagli altri Paesi del bacino mediterraneo. Tale concorrenza infatti
ha portato alla luce le carenze del sistema commerciale rispetto alle
esigenze del mercato. Queste ultime hanno dimostrato quanto siano
obsoleti i sistemi di acquisto e di vendita che vengono tuttora adottati
nella regione.
Le dimensioni attuali non consentono agli esportatori di programmare
le coltivazioni per offrire qualità e gamma completa di prodotti
per l'intero arco dell'anno, ma, al contrario, consentono di perseverare
su politiche basate sulla quotidianità e sul realizzo immediato.
Pertanto, considerando le esigenze della distribuzione finale (standardizzazione
delle produzioni, servizio aggiuntivo sul prodotto, capacità
di approvvigionare la grande distribuzione e la garanzia della qualità),
si comprende perché non solo i mercati di partners europei,
ma anche quelli interni, possano trovare "non preferibili"
le produzioni leccesi, quando queste mantengono caratteristiche produttive
e commerciali tradizionali la cui competitività è affidata
solo a fattori di prezzo.
Alcune considerazioni
conclusive
La mancanza di forme di aggregazione e la concentrazione dell'offerta
e l'azione individuale e frammentaria degli operatori commerciali
costituiscono i principali fattori di debolezza dell'intero comparto
ortofrutticolo salentino.
Le condizioni di conservazione, collegate alla predisposizione di
efficaci ed economici sistemi di trasporto, la crescente competitività
dei mercati basata su azioni rivolte alla qualità e promozione
dei prodotti e lo sviluppo della tecnologia nel condizionamento e
lavorazione dei prodotti ortofrutticoli necessaria per far fronte
alle richieste di servizi della distribuzione moderna richiedono da
una parte notevoli investimenti e dall'altra un'efficace struttura
organizzativa. Tali esigenze superano la capacità d'azione
di singole strutture e necessitano l'individuazione di aree di attività
in cui possano operare solo gruppi di imprese al fine di ottenere
sostanziali vantaggi negli investimenti e nella gestione delle relazioni
commerciali.
Va evidenziato che le possibili ipotesi di sviluppo devono nascere
da un'azione comune tra produttori o loro rappresentanti e operatori
commerciali in maniera tale da consentire un utilizzo razionale delle
risorse umane e finanziarie nella ricerca di nuovi mercati, nella
definizione degli standard qualitativi lungo tutta la filiera e nella
messa a punto di un'efficace attività logistica.
Sul mercato salentino, come si è osservato, si riscontra una
riduzione del numero degli operatori commerciali all'ingrosso tradizionali,
solo parzialmente compensata dall'aumento del numero dei cosiddetti
"repackers" e "pakagers", vale a dire di quegli
operatori che provvedono a confezionare la merce nel modo più
adatto per la sua vendita ai consumatori finali.
Ciò evidenzia il lento processo di adattamento della componente
commerciale alle esigenze del mercato. Infatti gli operatori commerciali
sono chiamati, in misura sempre più frequente, a ricoprire
una funzione di coordinamento della produzione agricola e cioè
a fornire ai committenti quei servizi di coordinamento e d'informazione
indispensabili per l'incontro della domanda e dell'offerta. L'evoluzione
di tale forma organizzativa richiede una partecipazione attiva sia
della parte agricola nel recepire e mettere in atto gli interventi
adeguati sia della parte commerciale nel fornire in maniera trasparente
tutte le informazioni necessarie.
Tale evoluzione organizzativa richiede, però, la definizione
e il rispetto di norme e di regolamentazioni ben precise, un coordinamento
delle strategie aziendali e un impegno finanziario mirato all'acquisizione
di mezzi tecnici e di innovazioni tecnologiche. Per raggiungere tali
obiettivi si impone sempre più lo sviluppo di meccanismi di
coordinamento verticale che, attraverso strumenti contrattuali o forme
d'integrazione, possano rispondere in maniera tempestiva alle esigenze
del mercato.
Per concludere, l'errore frequente nel campo della programmazione
e dell'intervento pubblico a livello locale, vedi le iniziative della
Provincia, della Camera di Commercio e di altri enti locali, è
quello di non considerare l'attività produttiva e mercantile
intimamente collegate ed economicamente integrate. Sovente si è
pensato che l'obiettivo principale del pianificatore debba essere
quello di favorire e di accelerare lo sviluppo della produzione agricola,
limitando gli interventi esterni al solo settore della produzione.
Ciò col presupposto che una volta stimolata la produzione,
il mercato debba trovare autonomamente gli stimoli necessari per meglio
adattarsi alla nuova situazione.
Altre volte si è riconosciuta la necessità d'intervenire
nei settori distributivi allo scopo di favorire lo sviluppo dell'intero
settore agricolo, ma generalmente tali interventi sono stati limitati
alle sole attrezzature tecniche necessarie alla distribuzione fisica
dei prodotti, senza tenere realmente presenti tutte le caratteristiche
e le esigenze del mercato, sia quelle attuali sia, a maggior ragione,
quelle future. Bisogna tenere presente che un mercato non è
tanto un fatto tecnico quanto e soprattutto un fatto economico. E'
sulle caratteristiche e sulle deficienze economiche che bisogna guardare
in un primo momento per esaminare poi l'aspetto tecnico solo quando
le prime siano ormai conosciute a sufficienza.