Regole per i capitali




Paolo Savona



E' di pochissimi mesi fa la "Dichiarazione dei ministri delle Finanze e dei Governatori delle Banche Centrali dei G-7" sui modi per affrontare le crisi finanziarie che rischiano di far precipitare i Paesi in una recessione globale, dopo averne già pregiudicato la crescita. Il testo contiene un dettagliato elenco degli strumenti da attivare, escluso però uno: l'estensione dei controlli monetari interni alle attività in derivati e alla formazione di attività monetarie per uso internazionale.
In realtà, ci sono almeno due passaggi che possono essere letti come una risposta al problema. Si sostiene che il G-7 si prefigge "di identificare e propagare i princìpi, gli standard e i codici di condotta internazionali; rafforzare gli incentivi per adeguarsi a tali standard", e anche di "far rispettare un Codice di condotta sulla politica monetaria e finanziaria concordato internazionalmente". Affermazioni importanti, la cui traduzione in fatti concreti è però ostacolata dalla contrarietà che i principali Paesi del G-7 hanno verso l'estensione dei controlli interni.
Un'opposizione che è generata da un'errata valutazione: si confonde, infatti, tra libertà di movimento di capitali (da tutti desiderata) e quadro entro cui questa libertà si deve manifestare. L'esperienza ci insegna che la libertà economica è menomata se la quantità di moneta non è fissata d'autorità, ma dal mercato. La "Dichiarazione" in esame rivela questa errata concezione quando, invece di raccomandare esplicitamente l'estensione ai derivati e alla moneta internazionale dei controlli monetari interni, suggerisce che "l'apertura dei mercati dei capitali nelle economie emergenti deve avvenire in modo attento e graduale se vogliamo che i Paesi riescano a trarre benefici dall'integrazione dell'economia globale". Se vi è qualche cosa che disturba gli investimenti esteri, tanto utili allo sviluppo dei Paesi emergenti, sono proprio le limitazioni alla libertà di movimento dei capitali. Il problema è che questa attività non venga "assalita" dalla speculazione monetaria dotata di quantità di risorse incontrollate.
Se si estendesse la direttiva Bri sui "capital ratio" (le riserve di capitale necessarie per operare) a tutte le attività monetarie, compresi i derivati, l'attività del mercato si ridurrebbe ad un quinto dell'attuale dimensione. Non sarebbe risolutivo, ma rappresenterebbe un bel passo avanti e farebbe fruttare l'impegno preso dai G-7 di raggiungere una maggiore trasparenza delle operazioni e un rafforzamento della sorveglianza sull'attività degli operatori.
L'incompletezza del disegno di controllo monetario internazionale rende assai pericoloso rifinanziare il Fondo Monetario Internazionale per 90 miliardi di dollari. Non perché questi fondi accrescano le possibilità di comportamenti abusivi oppure di moral hazard (una sorta di "rischio morale") dei governi finanziati dal Fondo, come sostengono il Senato americano e autorevoli economisti, ma perché queste risorse "incitano" la speculazione. Infatti, in assenza di capitali da spendere nel vano tentativo di controllare un mercato incontrollato, la speculazione praticherebbe un "gioco a somma zero" , dove guadagni e perdite resterebbero nell'ambito degli speculatori, che diverrebbero per ciò stesso decisamente più guardinghi. In presenza del Fondo che fornisce risorse dall'esterno, il gioco sarebbe "a somma positiva", perché a quel punto tutti gli speculatori avrebbero la possibilità di guadagnare. Il Fondo va invece utilizzato per scopi ben più nobili di governo monetario internazionale.
Lord Keynes, il grande ispiratore della stabilizzazione monetaria postbellica con l'accordo di Bretton Woods, sosteneva che il problema delle riforme consiste nell'uscire dalle idee vecchie. La probabilità che ciò avvenga è minore se a negoziare l'entrata nelle idee nuove sono delegati quelli che hanno la responsabilità dell'attuale condizione.
Che cosa possiamo attenderci dall'incarico dato a Tietmeyer dal G-7 o dal contributo di idee di Duisenberg e degli altri membri del sistema? Una volta si delegava a questo compito chi aveva nuove idee, ora si delega chi detiene il potere. Quando mai ne usciremo fuori?


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