Europa della stabilità




Tommaso Padoa Schioppa
Membro del Direttorio della Banca centrale europea



In un mondo in cui il cambiamento accelera, sia in Europa sia fuori, e sia sul terreno finanziario sia su quello politico, l'Europa e la Banca centrale europea costituiscono un punto fermo e un fattore di stabilità. Questo vale anche per quello che sta succedendo sui mercati mondiali.
La Bce è in un certo senso il punto d'arrivo di un'evoluzione che ha creato strumenti di governo sovranazionale già all'inizio degli anni Sessanta. Alle recenti riunioni di Washington, nella sede del Fondo monetario internazionale è diventato quasi un luogo comune dire che se non c'è un governo mondiale non ci può essere un mercato mondiale e le crisi degli ultimi venti mesi sono la prova di questa proposizione fondamentale. E' necessario che si pensi una nuova architettura del sistema monetario internazionale e che si ridefiniscano ruolo del Fmi e regole globali di trasparenza e di vigilanza bancaria. In un momento in cui queste osservazioni, un tempo eterodosse, sono diventate correnti, la gente si accorge che in Europa questo dibattito è già diventato realtà. Se ne accorgono anche i mercati, che non hanno minimamente investito le relazioni intraeuropee della tensione che invece percorre i mercati finanziari mondiali. Anche le opinioni pubbliche, che come quella tedesca opponevano maggiore resistenza all'idea dell'Euro, hanno potuto rendersi conto in questi ultimi tempi che quella stabilità che temevano che l'Euro avrebbe disperso proprio dalla moneta unica è stata garantita. Quanto all'Italia, ha sempre svolto un ruolo centrale in Europa, molto più di quanto gli italiani stessi sappiano. La straordinaria performance che ci ha portati nell'Euro ci permette oggi di svolgere un ruolo di primo piano nell'interesse nostro e del Vecchio Continente.
A Washington mi ha colpito il fatto che, per me improvvisamente, parlino Usa, Giappone ed "Europa": non c'è interesse particolare a sapere che cosa succede nei singoli Paesi, c'è interesse a sapere qual è la posizione dell'Europa intera. L'ingresso della Bce in tutte le sedi della cooperazione monetaria e finanziaria internazionale si è già verificato. Il presidente Duisenberg era presente al G-7, al G-10, al cosiddetto G-22, all'interim Committee e naturalmente alla sessione del Fmi. L'acquisizione di questo status si è materializzata a Washington. Qui si è vista una notevole diversità di percezione della situazione finanziaria mondiale, con una preoccupazione molto acuta da parte americana e un'analisi diversa da parte degli europei, che sicuramente non consideravano il momento molto facile, ma non avevano neppure una sensazione di crisi acutissima. Questo vale non solo per i rappresentanti istituzionali, ma anche per gli operatori, i mercati, i banchieri. Gli incontri di Washington non hanno annullato le differenze, ma le hanno ridotte.
Ci sono ragioni strutturali che distinguono l'Europa in questa crisi globale. Nei mercati di lingua inglese c'è un'enorme importanza del mercato azionario e un notevole ruolo di intermediari finanziari come gli hedge funds non controllati direttamente, e c'è un risparmio privato basso o addirittura nullo negli Stati Uniti. Ciò rende ansiosi mercati, famiglie e imprese, perché se la Borsa crolla in un Paese in cui il risparmio delle famiglie è zero, improvvisamente crea una crisi finanziaria per le stesse famiglie. Il sistema finanziario dell'Europa continentale è condizionato in modo più indiretto da variazioni di mercato, le famiglie sono meno indebitate e hanno un risparmio più alto.
Dunque, l'Europa ha ancora una mentalità da periferia, mentre l'America è il centro. Siccome l'Europa si sente periferia e la sua condizione economica non è negativa, perché anzi ha la migliore combinazione di crescita e stabilità dei prezzi degli ultimi trent'anni, c'è il rischio che, anche se il mondo si sente male, l'Europa creda di sentirsi bene. C'è ancora una notevole differenza tra i due lati dell'Atlantico nel modo in cui viene avvertita la responsabilità globale.
Ma torniamo all'Euro. La moneta unica è punto di arrivo e punto di partenza. Punto di arrivo perché senza moneta unica un mercato unico come quello europeo non è davvero tale. La politica monetaria comune è la chiave di volta che dà stabilità all'arco. Con l'Euro inoltre per la prima volta nella storia della costruzione europea si raggiunge in un campo fondamentale del potere il punto terminale dell'evoluzione. Non è un punto di arrivo invece nel senso che la stessa costruzione economica non è completa. Il Patto di stabilità non dà in alcuni casi la possibilità di fare politiche concertate. Una volta si credeva che l'attivismo fiscale fosse necessario sempre, oggi si crede che lo sia solo in casi molto particolari. L'attivismo fiscale di cui oggi c'è bisogno in Europa è ancora nel segno del consolidamento di bilancio e da questo punto di vista il Patto è adeguato, perché dà strumenti sufficienti. Ma vedendo le cose più da lontano, considerando le condizioni economiche che possono presentarsi in futuro, il Patto non consente di attuare in maniera efficace orientamenti di bilancio comuni, se non quelli rivolti a conseguire il famoso deficit dell'1% o il pareggio di bilancio.
Bisogna dunque intensificare l'integrazione delle politiche economiche nazionali, anche se il più è fatto. Se si guarda al complesso delle politiche economiche, cioè a politiche di bilancio, monetarie, del mercato e del lavoro, si osserva che in questo quartetto la parte incompleta è proprio la politica di bilancio. C'è inoltre un senso di incompletezza di natura istituzionale, perché un'unione monetaria alla lunga ha bisogno dell'unione politica. Nel quadro dell'avanzamento nell'integrazione europea, ci sono problemi di competenze e di istituzioni. Mentre le competenze economiche ci sono quasi tutte, altri campi sono estremamente carenti: è ovvio citare politica estera e politica della sicurezza, sia interna sia esterna. In questi campi, l'Ue non ha le competenze che anche il minimo degli Stati federali normalmente ha.
Poi, le istituzioni. Se guardiamo ai princìpi fondamentali che reggono il costituzionalismo dell'Occidente e ogni sistema statuale, ciò che più colpisce è che alcuni dei princìpi fondamentali non sono contemplati dal sistema costituzionale europeo. Cito il principio maggioritario: le decisioni devono essere prese a maggioranza, perché se ciò non avviene non si riesce a decidere e si è legati alla dittatura della minoranza. Un altro principio è quello di legare sia la nomina dell'esecutivo sia le scelte legislative fondamentali al voto popolare. Ancora oggi una parte notevole della legislazione europea può essere adottata contro il parere del Parlamento europeo. Ancora oggi inoltre la scelta dell'esecutivo, la Commissione europea e il suo presidente, ha un legame molto debole col voto popolare che si esprime nell'elezione del Parlamento europeo. Se queste carenze fossero colmate almeno nell'economia, si sarebbe raggiunto il punto terminale dell'evoluzione in un campo, e questo, secondo me, trascinerebbe il discorso delle competenze non economiche, perché dare oggi competenze non economiche a un'istituzione che viola i canoni del costituzionalismo occidentale è quasi impossibile.
In ogni caso, per la Bce la pluralità delle piazze non è un rischio di perdita di efficacia della politica monetaria comune. L'unità di attuazione della politica monetaria sarà molto maggiore di quanto si creda, perché si realizzerà attraverso un tasso di finanziamento "repo" su base europea, nella forma di un'asta unica per gli Undici Paesi. Dal punto di vista del mercato finanziario, ci sarà un processo molto rapido di unificazione che non porterà alla scomparsa di piazze finanziarie, ma alla creazione di reti. L'avvio di una collaborazione tra Londra e Francoforte è in questa linea. Restare indietro comporta costi notevoli. L'industria finanziaria ha alto valore aggiunto, se non ci sarà una localizzazione dei mercati si sposteranno operatori, intelligenze e know-how.
E il rischio di restare indietro per l'Italia è molto forte. Il nostro Paese è ancora parecchio indietro nell'unificazione del mercato nazionale. L'avvio del Comitato per la piazza finanziaria, che la Consob aveva promosso, è avvenuto, ma mi sembra che i tempi siano troppo lenti per la rapidità con la quale la ristrutturazione dei mercati europei sta avvenendo. In Italia ci sono ancora molti problemi irrisolti nell'unificazione delle diverse strutture di mercato. Per questo l'Italia non è oggi in grado di parlare come interlocutore unico e interessante con i mercati degli altri Paesi. L'Italia sta rischiando moltissimo.


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