Fine delle regalie




Julius Schneider
Docente di Economia alla Columbia University



Le recenti vicende dei mercati finanziari hanno mandato in tilt non soltanto le risorse del Fondo monetario internazionale, ma la sua stessa identità. Nato nel 1944 dagli accordi di Bretton Woods, il Fini aveva lo scopo di alleviare temporanee carenze di valuta in un sistema di cambi fissi, in cui squilibri tra domanda e offerta non potevano essere risolti da un aggiustamento del tasso di cambio. Dato il sottosviluppo dei mercati finanziari internazionali dell'epoca, la creazione di un organismo intergovernativo che assicurasse credito ai Paesi aderenti all'intesa fu a suo modo un'assoluta necessità.
Nel 1971 il crollo del sistema di cambi fissi tolse al Fini la sua precipua ragion d'essere. Spinto più da un desiderio di sopravvivenza che da una precisa volontà politica, seppe inventarsi sempre nuovi ruoli. In particolare, negli anni '90, di fronte all'esplosione dei movimenti internazionali di capitali, assunse due ruoli. Il primo (valutare la solvibilità finanziaria di ogni Paese), lo assunse suo malgrado. Per statuto doveva redigere una "pagella" su ogni Paese membro. Da documento intergovernativo, queste pagelle sono diventate un importante indicatore di mercato. In questo ruolo di giudice, però, ha un enorme svantaggio. A differenza di altre agenzie private, come Moody's, il Fini è controllato pro quota dai Paesi membri che sono giudici e giudicati, posizione che non favorisce la serenità di valutazione.


Il secondo ruolo (prestatore di ultima istanza) l'ha assunto coscientemente. Quando nel '95 un peso sopravvalutato produsse una crisi valutaria in Messico, le pressioni politiche per un intervento divennero irresistibili. Usando lo spettro della crisi mondiale, il Fini (insieme con la Federal Reserve) prestò 40 miliardi di dollari al Messico. Questo prestito non risparmiò ai messicani una dura austerità economica, ma azzerò le perdite degli investitori americani. I mercati finanziari gioirono e questo intervento straordinario divenne prassi. Un'analoga politica, infatti, fu replicata in Thailandia, Indonesia, Corea, fino a che, per la Russia, le risorse finanziarie vennero meno. H Fini non avrebbe mai dovuto entrare in questo ruolo. Non solo non ne ha le risorse (i fondi totali a sua disposizione si aggirano attorno a 100 miliardi di dollari, mentre un solo fondo di investimento americano è in grado di controllarne 80). Ma, ancora più rilevante, questo ruolo è controproducente perché elimina la disciplina del mercato. Garantendo un intervento in caso di crisi, il Fini riduce il costo che gli investitori devono pagare in caso di crisi finanziaria del Paese debitore, riducendo i loro incentivi a valutare la solvibilità dei debitori. Questo favorisce un flusso eccessivo di denaro alle nazioni "a rischio", eliminando ogni pressione all'aggiustamento strutturale. Il risultato è il moltiplicarsi delle crisi. E' proprio con il salvataggio del Messico che il Fini ha gettato le basi della crisi attuale. Quando ha dovuto ammettere che non aveva più le risorse per salvare la Russia, il panico si è diffuso tra gli investitori che avevano prestato contando sulla sua garanzia.
Ideato per stabilizzare i mercati, il Fini è diventato ora la principale causa della loro instabilità. Allora, bisogna abolirlo? No, ma riformarlo sì. Esso ha sicuramente un ruolo fondamentale nella raccolta e diffusione di dati statistici sull'esposizione valutaria dei vari Paesi. Questa funzione va rafforzata, eliminando però il compito di emettere una valutazione "oggettiva" sui Paesi membri. Inoltre, può e deve giocare in futuro il ruolo di "tribunale fallimentare" per Stati sovrani. Nel diritto di molti Paesi esiste un istituto che permette la sospensione del pagamento ai creditori, per evitare che una temporanea crisi di liquidità comprometta la possibilità di riorganizzare un'impresa. Al Fini dovrebbe essere attribuito il compito di applicare questa procedura alle crisi internazionali. Ciò consentirebbe di evitare una fuga di capitali, senza assicurare un pagamento in toto ai creditori.
Uno dei princìpi fondamentali del capitalismo è che chi sbaglia paga. Ogni tentativo di ridurre questo costo mina la stabilità dei mercati. Solo una riforma del Fini può evitare che tutto ciò si verifichi.


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