La lezione di Aron




Corrado Fertilia



Lo scontro è duro, da sciabola e non da fioretto. Ma, anche se con imperdonabile ritardo, finalmente è emerso. Il Sud, si dice, deve rifarsi una reputazione. La lotta alla criminalità resta una priorità assoluta. Si sta parlando di economia e di sviluppo, non di astratte proposizioni sociologiche. E l'economia si basa su appalti e contratti, e non c'è firma se non c'è fiducia. Fino a quando un industriale sarà costretto a mettere delle guardie attorno alla sua fabbrica per evitare i furti delle auto o gli incendi intimidatori degli estorsori, non potrà esserci fiducia. Ci vuole un controllo esemplare del territorio, primo atto per riconquistare una buona reputazione. Poi vanno cancellate le criminalità organizzate, che condizionano tutto e tutti: investimenti, nascita di reticoli imprenditoriali, sviluppo della società, indotto, vita civile, garanzie di libertà.
Puro e semplice piagnisteo di settentrionali che, in tal modo, creano l'alibi per non investire nelle regioni meridionali? Esagerazioni gratuite, strumentali, che trascurano le aree meridionali nelle quali il ritmo di crescita è stato anche superiore a quello di molte fasce del Nord opulento? Non proprio, o almeno non del tutto. Che molti, troppi industriali del Nord si siano comportati da bucanieri, e in alcuni casi da autentici farabutti, non lo diciamo noi, (che pure lo abbiamo scritto in tante circostanze); lo ha sostenuto il Capo dello Stato quando ha affermato che costoro hanno "avuto tutto" e non hanno fatto niente, se non prendere i soldi e tagliare la corda.
Certo, erano anni da cappa bulgara, con montagne di quattrini pubblici che consentivano a tutti (investitori per modo di dire, imprenditori per modo di dire, ingegneri finanziari per modo di fare) di non rischiare nulla e di scaricare sull'intera società italiana il costo dei loro malaffari. Erano gli orribili Anni Ottanta, ed erano rapinatori a mano disarmata del Nord, del Centro e del Sud. La criminalità organizzata c'era anche allora, e nella prima parte di quel decennio la situazione era aggravata dall'azione lacerante del terrorismo. Era in quel tempo che bisognava dispiegare una controffensiva anche contro cosche, famiglie e 'ndrine. Si consentì, al contrario, la nascita della cosiddetta "quarta mafia", quella pugliese, con tutte le sue articolazioni territoriali, con i suoi riti, con le tracotanze che hanno fatalmente spogliato i cittadini delle garanzie primarie: sicurezza, tutela della proprietà privata, del patrimonio, dell'iniziativa imprenditoriale non condizionata dal sopruso.
In questo contesto, non ha senso fare ricorso alle statistiche e dichiarare che a Milano ci sono più scippi che a Palermo: è un dato risibile. E ha meno senso affidarsi all'eterno tutor statale, quell'Agenzia per il Mezzogiorno che è una sorta di Cassa per il Mezzogiorno con maquillage aggiornato: perché nel Sud non sarà lo sviluppo a battere le mafie, sarà la sconfitta delle mafie a consentire uno sviluppo possibile.
Uno dei misteri ingloriosi della penisola, com'è stato già sottolineato in questa sede, è il seguente: delle mafie meridionali si conosce proprio tutto, famiglie e rispettivi ambiti territoriali, capi dei gruppi e sottogruppi, numero degli adepti, alleanze, tipo di attività criminose, e quant'altro. Eppure, non si viene a capo di nulla. E ciò alimenta il sospetto che ci sia una volontà politica di non voler risolvere il problema criminalità organizzata, con l'indotto della microcriminalità diffusa; e che la rendita parassitaria delle connessioni mafia-politica e mafia-affari abbia maggior forza di persuasione di qualsiasi altro argomento.
Che cosa opporre, infatti, all'azione di un Rudolph Giuliani, sindaco di New York, che ha reso sicure le strade di Manhattan, cancellando il motto secondo il quale fino ad una certa strada si era in città, fino ad un altro confine si era nelle mani della polizia, e oltre quello si era nelle mani di Dio? E che cosa opporre a un Tony Blair, che da Londra al centro-nord dell'Inghilterra si è comportato allo stesso modo, con la sua operazione "tolleranza zero", in nome della quale andava punito severamente chi rompeva il vetro di una finestra, altrimenti sarebbe stato incoraggiato a fracassarne altri? Questo possiamo opporre, esempio emblematico: il quartiere napoletano Scampia, abitato dalla malavita, sorto negli Anni Settanta come modello di edilizia pubblica per quarantamila abitanti, immediatamente dopo raddoppiati, ma nel quale il primo commissariato di polizia è stato istituito solo nel 1997! Oppure, in alternativa, il quartiere San Paolo di Bari, o la splendida città vecchia del capoluogo pugliese, dove si può entrare soltanto se scortati dalla polizia. E, peggio ancora, i veri e propri covi di fuorilegge che sono le villette-bunker sparse non solo nelle periferie delle città siciliane e calabresi, e quelli certamente meno blindati e più terragni, ma non per questo meno feroci, dei cacicchi salentini.
Com'è accaduto che l'intelligenza del Sud, (politici, magistrati, inquirenti, cittadini stradali), è arrivata a tollerare l'intollerabile, e in alcuni casi a giustificare l'ingiustificabile? E fino a che punto le autodifese dei meridionali hanno intenzione di saldare i conti con il loro passato e con l'altrettanto tragico presente?
Per dare un'unica risposta a queste domande è necessario trasporre dal piano ideologico a quello politico il pensiero di Raymond Aron, espresso nell'aureo L'oppio degli intellettuali: nella psicologia politica degli intellettuali - dice - l'istinto più forte è sempre l'indignazione contro le imperfezioni della realtà. Ma quelle imperfezioni sono un dato ineluttabile che può essere corretto soltanto da chi non si rassegna a ciò che non è tollerabile. "Chi non si aspetta alcun cambiamento miracoloso da una rivoluzione o da un progetto non è costretto a rassegnarsi a ciò che non si può giustificare".
Si possono giustificare le mafie e l'arretratezza del Sud, che pure è parte integrante di uno dei Paesi più sviluppati del pianeta? Si possono giustificare leggi permissive, condanne buoniste conseguenti, libere circolazioni di criminali senza scrupoli, condizionamenti di estorsori, ricchezze veloci ingiustificate, traffici persino disumani, pentiti che accusano (anche per "sentito dire", con l'inquietante assioma secondo il quale se più pentiti dicono le stesse cose, in questo caso per "sentito dire" collettivo, le loro dichiarazioni vanno considerate verità), altri pentiti stipendiati dal pubblico erario che carsicamente continuano a sviluppare le loro attività criminose, parenti e vicini di casa, di cortili e di vicolo che attaccano gli investigatori che tentano di arrestare un fuorilegge, saccheggiatori di patrimoni che escono di galera due o tre giorni dopo l'arresto e tengono sotto tiro chi li ha denunciati, e via delinquendo?
La nuova sfida è la "cultura del vincere". E' lo spirito di frontiera. E' l'ottimismo possibile, che però non alimenti inutili e fuorvianti attese messianiche. E' la politica del fare, anche se non è ancora facile individuare nuovi protagonisti di una politica di sviluppo nel Sud. Nel momento in cui le forze politiche restano nell'ombra di antiche logiche, e quelle sindacali non riescono a mettersi alla testa dei "lavoratori atipici" che stanno diventando numerosi anche a Sud e dei giovani che restano disoccupati o sottoccupati, il processo diventa ancora più intricato, e secondo alcuni osservatori dovrebbe coinvolgere simultaneamente pezzi della Chiesa, pezzi dell'imprenditoria, pezzi delle istituzioni, e i sindaci in testa. Osservazioni: intanto, vanno messi nel conto anche pezzi della giustizia e pezzi d'Europa; e, al tempo stesso, non si può più restare vincolati al totem della contrattazione nazionale, che ormai sta perdendo, per ogni giorno che passa, importanza, peso e persino credibilità; e occorre mettere definitivamente in mora clientele e assistenzialismi, il che rappresenterebbe una radicale rottura col passato e, dunque, l'elemento assoluto di novità.
Mentre si mette il passato alle spalle e mentre marcia contro le mafie, le omertà e gli assistenzialismi, il Sud ha a portata di mano gli esempi europei dello sviluppo, quelli italiani compresi, che privilegiando le piccole imprese del "made in Italy" nei settori della moda, del turismo, dell'alimentazione, dell'agricoltura di qualità, hanno generato un saldo commerciale attivo per il nostro Paese di 150 mila miliardi di lire. Fa impressione dover ascoltare un ingegnere chimico fiorentino trapiantato a Milano dire che l'Italia è deficitaria di energia e che il solo Mezzogiorno può produrne per l'intera Europa; o un direttore generale della Confindustria sostenere che troppe iniziative nel Sud sono bloccate da impedimenti di carattere procedurale, con eccessivi ritardi nell'adeguamento delle infrastrutture, per cui si scontano un'insufficiente rete autostradale, aeroporti e ferrovie le cui carenze sono note a tutti, telecomunicazioni ancora non competitive, una scuola di formazione che è quasi tutta da inventare; o un docente milanese di Scienza delle Costruzioni affermare che possiamo costruire case dai nobili profili interni ed esterni d'un tempo, salvando le nostre orride periferie, utilizzando nuove macchine di pre-confezionamento delle strutture, con adeguato sfruttamento della pietra tufacea nostrana, cui dev'essere speculare un tipo di economia ("civiltà e cultura") agro-floro-vivaistica e di prodotti tipici pregiati, incardinata in reticoli cooperativi, come sicura ricchezza del Sud e della Puglia in particolare; o un docente torinese di Scienza delle Finanze confermare che fino a che saranno attive le mafie il Sud non potrà decollare, perché i capitali illegali arricchiscono soltanto i gruppi criminali e i loro complici a tutti i livelli.
Detto in sintesi: il Sud da qualche tempo non dispone più di scuole di pensiero e neppure di quei "grandi spiriti solitari" di stampo crociano che influenzavano profondamente la vita culturale, ma anche politica ed economica del Sud, e che l'ineffabile avvocato Fiat definiva "intellettuali di Magna Grecia", con un evidente tono di disprezzo. La classe dirigente meridionale ha subìto la ventata nordista che strumentalmente indica il Mezzogiorno come terra di sperpero ad uso della criminalità organizzata, e, riconoscendone una sia pur parziale fondatezza, si è limitata a rivendicazioni generiche, adattandosi a gestire i residui del vecchio intervento assistenziale. Se però si ricomincerà a riflettere, la prima osservazione da muovere è che il Sud ha funzionato dove lo Stato meno è intervenuto. E' un dato statistico inossidabile. L'economia meridionale ha prodotto ricchezza e persino lavoro che l'imprenditoria privata ha investito secondo criteri economici sani; per il resto, le migliaia di miliardi deliberati dallo Stato per sostenere attività in perdita, come ad esempio quelle chimiche e siderurgiche, hanno prodotto solo immensi cimiteri di rottami, che hanno peraltro dissestato in misura irrecuperabile il territorio e lacerato la società. Là dove lo Stato sarebbe dovuto intervenire massicciamente, cioè nella lotta ai cartelli del crimine, almeno per la loro riduzione ai livelli fisiologici e controllati, come accade negli altri Paesi europei, ha accusato e continua ad accusare inspiegabili ritardi e latitanze. Qualche arresto clamoroso non fa alba di un'altra epoca. Fa solo cortine di fumo. Dunque è vero che il Sud non è ancora entrato in Europa. Ma è vero anche che non si vuole che l'Europa entri nel Sud?


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