Le radici profonde dei diritti umani




Vāclav Havel



Alcuni testi hanno avuto un ruolo fondamentale nella storia dell'umanità. La Dichiarazione universale dei diritti umani differisce da tutti gli altri innanzitutto per un aspetto: non è stata concepita per restare confinata nell'ambito di una sola cultura o di una sola civiltà. Fin dall'inizio è stata elaborata come una lista di princìpi universali mirati a costituire la base della coesistenza umana e gradualmente è divenuta il punto di partenza per innumerevoli successive linee-guida volte a definire le regole di una valida convivenza per i popoli e per le nazioni sulla terra.
Testi di natura così fondamentale non vengono alla luce facilmente. La Dichiarazione fu ovviamente il frutto di un clima molto speciale che si era creato subito dopo la seconda guerra mondiale, quando l'intera umanità realizzò che se si voleva prevenire il ripetersi di orrori tanto apocalittici era necessario sollevarsi al di sopra degli interessi particolari e degli egoismi nazionali e accordarsi su un fondamentale codice di comportamento.
La vita della Dichiarazione dei diritti umani è stata caratterizzata dalle contraddizioni. Da un lato essa ha notevolmente influenzato l'attività delle Nazioni Unite per cinquant'anni. La sua impronta si ritrova in molti documenti dell'Onu e in centinaia di trattati internazionali o di costituzioni dei singoli Stati. Era anche presente nel ben noto Atto finale della Conferenza di Helsinki del 1975. L'importanza che in questo documento era data ai diritti umani generò la fine della divisione bipolare del mondo. Diede consistenza nei Paesi comunisti a quei movimenti di opposizione che avevano preso seriamente gli accordi firmati dai loro governi e intensificò la loro lotta per il rispetto dei diritti umani, sfidando così la vera essenza dei sistemi totalitari.
Dall'altro lato, è anche vero che nei cinquant'anni che seguirono all'adozione della Dichiarazione, i diritti umani sono stati violati, ignorati o soppressi in molti Paesi del mondo - in alcuni in forma blanda, in altri con molta brutalità. Ciò non deve sorprendere: l'immensa complessità del mondo nel quale viviamo può difficilmente essere cambiata in una notte semplicemente con l'approvazione di un documento. Ciò nonostante credo che le frequenti violazioni di questi princìpi siano state superate dall'importanza di questo impegno mondiale. Per la prima volta nella storia vi è stato un valido e rispettato strumento che si è posto come uno specchio di fronte alla miseria del mondo, stabilendo uno standard universale con il quale comparare costantemente la realtà e in nome del quale poter combattere le ingiustizie.
Dal momento che tutti hanno sottoscritto questi standard, pochi oserebbero criticarli e di questo devono tener conto coloro che commettono gravi violazioni di questi princìpi. Vale a dire: la vita di tutti coloro che non tengono conto dei diritti umani è più difficile con la Dichiarazione universale in atto di quanto non fosse prima.
Gravi violazioni dei diritti umani fondamentali (incluso il diritto alla vita) sono giustificate con la difesa di interessi nazionali. Ciò è ormai parte della realtà quotidiana alla quale, negli ultimi dieci anni, assistiamo "in diretta". Il genocidio in Ruanda, le uccisioni in Cecenia, Bosnia ed Erzegovina, la situazione in Tibet, nella corea del Nord, a Burma, a Cuba e nel Kosovo, quella in Cina, costituiscono solo una parte degli eventi che dobbiamo tener presenti.
Sulla base della Dichiarazione, le minacce alla vita umana, alla libertà e alla dignità debbono essere chiaramente identificate e denunciate.
Perché gli esseri umani hanno la prerogativa di poter beneficiare dei diritti umani? Mi sono posto spesso questa domanda, ne ho fatto cenno molte volte nei miei interventi. Sono giunto alla conclusione che ci si trovi in presenza di qualcosa di radicalmente diverso e molto più profondo di un semplice contratto fra individui che hanno trovato opportuno garantire e articolare i loro diritti in un modo o nell'altro, e avere al contempo uno strumento per condannare coloro che vorrebbero negarli o distruggerli. Formalmente la Dichiarazione è assimilabile a un contratto o a una convenzione paragonabili alle migliaia di leggi e di regolamenti che governano la convivenza civile. Ciò nondimeno queste convenzioni derivano da determinati paradigmi, da nozioni o da precondizioni già stabilite che non richiedono ulteriori spiegazioni come, ad esempio, il concetto di dignità umana, di cui praticamente sono permeati tutti i documenti fondamentali sui diritti umani. Lo consideriamo così naturale che non ci domandiamo nemmeno cosa significhi in realtà la dignità umana, o perché debba essere garantita all'umanità. E non riteniamo necessario spiegarci perché siamo d'accordo nel riconoscerla reciprocamente.
Sono convinto che le radici più profonde di ciò che oggi chiamiamo diritti umani affondino al di fuori e al di sopra di noi, con una profondità sconosciuta al mondo delle convenzioni umane. Esse appartengono ad una sfera che, per semplicità, definirei metafisica. Anche se non sempre ne sono consapevoli, gli esseri umani sono le sole creature pienamente coscienti della loro esistenza e della loro mortalità e che percepiscono il mondo che li circonda e al quale appartengono e dal quale derivano loro responsabilità e dignità. A immagine di Dio, dicono i cristiani.
Negli ultimi cinquant'anni tutto è profondamente mutato. Il pianeta è sempre più popolato, i regimi coloniali sono caduti, così come la divisione bipolare del mondo, e la globalizzazione avanza. La cultura europea, che ha largamente formato i caratteri della nostra civiltà, non è più predominante. Entriamo in un'era multiculturale, in una civiltà basata sulla coesistenza di molte culture, religioni e civilizzazioni ugualmente potenti.
In questo contesto, qualcuno ritiene che gli attuali diritti umani siano troppo "secolari" e materiali, poco rispettosi di un'autorità spirituale più alta, fonte di ogni imperativo morale. Ciò non è vero, perché essi in realtà sono l'applicazione moderna dei princìpi cristiani. Spesso però non sono percepiti solo come tali, e la situazione potrebbe peggiorare qualora li si considerasse una forma di imperialismo religioso in abito civile.
E' opportuno invece sottolineare che le più importanti religioni hanno gli stessi basilari princìpi e analoghi imperativi morali. Esse sono molto differenti fra loro per quel che riguarda il carattere esteriore e la liturgia, ma nel profondo si ritrovano gli stessi valori fondamentali, lo stesso atteggiamento di umiltà per ciò che è al di sopra di noi, lo stesso bisogno di solidarietà, lo stesso rapporto con l'universo, dove le nostre azioni contano soltanto per il loro vero valore, la stessa importanza data alla nostra responsabilità verso il mondo intero.
Se la speranza di un futuro migliore per il mondo può venire dalla dimensione spirituale dell'ordine morale e da un rinnovato senso di responsabilità, chi, se non le Nazioni Unite, dovrebbe continuare ad affermarlo? Penso anche che esse dovrebbero essere un organismo che rappresenta i popoli, nel quale ognuno può riconoscersi, e non una sorta di club riservato ai soli governi. Sarebbe il miglior contributo affinché la Dichiarazione non rappresenti l'utopia di quel che dovrebbe essere la società umana, ma si traduca in realtà vivente.


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